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Argomento presente: « GIORNALI CARTACEI TORRESI » | ||||||
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ID: 4655 Intervento
da:
Veronica Mari
- Email:
veronicamari@libero.it
- Data:
mercoledì 11 ottobre 2006 Ore: 11:59
Gentile Professore Ciro Adrian Ciavolino. Nell'Id. 4648 della proposta di discussione di Bruno Mennella. "Torre, origini mai conosciute" c'è scritto: > Dal forum si evince che alcune persone talvolte solo silenti, ma raffigurate, e soccombono sotto la scorza dell'orgoglio e della sedicenza soffocando le proprie emozioni nel contesto dialogante dei messaggi sotto il giogo terrorizzante del perbenismo; la contrapposizione, viceversa, grazie a Dio, si libera in autenticismo, verismo, emotivismo (che non è emotività) e contrae in se ricusando protagonismi e sedicenze al prezzo dell'impopolarità>. Il discorso di Bruno è analitico, ma esplicito. Ebbene Professore, Lei appartiene alla seconda ipotesi, pur integrato nel gruppo comune torrese. Non Le si voleva sottrarre tempo, sarebbe stata necessaria la Sua immagine. E' la simbologia del "vero" che conta. L'assenza di allineamento alla mercenarietà e alla complicità sfacciata e deleteria. E' la forza dell'intellettuale puro e idealista che muterebbe lo stagnarsi della commercializzazzione dell'arte, della letteratura e dell'informazione. La mia materia sono le "Scienze della comunicazione" , laureata a Salerno. Oggi sto all'università "La Sapienza di Roma". Ho condotto uno studio sulla comunicazione elettronica e cartacea dell'area vesuviana. Alcune persone passano come gregari attraverso praticantati di mass media e veicoli di comunicazione locali rotti a tutte le forme di sfruttamento redazionale e mirano a fare il grande salto direzionale personale con gli identici parametri negativi subiti. Solo che questi erano "gregari furbi e scaltri", che oggi cercano "gregari ingenui e servili" approfittando del sogno chimerico del giornalismo, ed adoperano proprio la simbologia del giornale come strumento egemonco ed intimidatorio pescando tra l'impiegato comunale, il fruttivendolo, il meccanico inoculando loro fumo ed illusioni al solo scopo di utilizzarli come manodopera gratuita per un prodotto comunque commercializzato e destinato legalmente alla probabilità di un marchio-testata proprietario. Proprio come nel medioevo vassallico quando i prototipografi si trinceravano di gregari sprovveduti e disoccupati che divenivano scrivani per conto loro assumendosi persino la dura fartica di torcolieri per imprimere una per una le gazzette per poi spingerli a venderle insieme ai figli per istrada nel paniere di vimini. La posizione di questi sventurati sognatori era ed è precaria ed alimentata solo dai sogni chimerici dell'arte e della cultura. Chi rimaneva immutabile era il prototipografo titolare che rafforzata nel tempo la sua produzione e la sua economia e per legge poteva effettuare il ricambio della materia umana a piacimento e senza spendere un centesimo. Torreomnia aborre queste tecniche di sfruttamento camuffate quando la collaborazione è impari, che inoltre rendono questi soggetti megalomani accentratori e a mano a mano sordi persino ai consigli della presunta dirigenza e a confondere l'amicizia con la complicità. Torreomnia anela un giornalismo puro, comune, sociale, libero e liberale. Persone che "Viaggiano per paesi propri, colorati di paesaggi di memoria". Che "vivono fino a tarda sera negli ideali covi uterini dell'arte, dove piace loro stare. E poi, si fanno fare compagnia dalle loro donne dipinte". Veronica Mari Redazione - Divisione comunicazioni www.torreomnia.it/forum/bacheca/veronica/veronica.htm |
ID: 4651 Intervento
da:
ciro Adrian Ciavolino
- Email:
ciroadrian@libero.it
- Data:
martedì 10 ottobre 2006 Ore: 17:31
Gentili redattori e/o redattrici di Torreomnia, perchè mai, per scrivere, vi rivolgete a me? Io sono solo uno che fa, suppongo quasi in punta di penna, se mi è consentito dire, un mestiere "intimista", non indulgo a polemiche o raffronti di idee. Viaggio per paesi miei, colorati di paesaggi di memoria, quando c'è. Grazie per volermi tra voi per redigere un giornale di carta, ma credetemi, io non ho tempo neanche per il mio lavoro, esco soltanto per qualche ora, quando posso, vivo fino a tarda sera qui, dove mi piace stare. E poi, mi fanno compagnia le mie donne dipinte. Internet e Torreomnia, e pagine di vita su qualche giornale, sono le mie parentesi, oltre a qualche divagazione per interessi che non posso trascurare. Bastano queste incursioni qui. Pertanto vi auguro il successo che ogni iniziativa del genere merita, quando è guidata dalla passione. Auguri. |
ID: 4645 Intervento
da:
Serena Mari
- Email:
sery_mari@hotmail.com
- Data:
martedì 10 ottobre 2006 Ore: 12:59
Gentile Prof. Ciro Adrian Ciavolino, questa è l'ultima parte di una piccola rassegna relativa al caratteriale vesuuiano in relazone alla stampa. Tratto "Da Magonza a Torre del Greco" 1980 TOTONNO PALLAPPESE, TIPOGRAFO IELLATO La sosta letteraria questa volta non ci induce a soggiacere spauriti sotto le occulte ed enimmatiche teorie come 1’Eros-Thanatos, e via dicendo, ma ci invita ad una pausa distensiva, dove, comunque sesso e morte non sono esclusi, dal. momento che si parla di essere umani. Chi dovesse cogliere solo trivialità e scurrilità nell’argomento che segue è meglio che volti pagina, con tutto il rispetto per le sue idee. Ma credo che nessuno si scandalizzi con la storia di Totonne Pallappese, perché una cosa è la villania da portuale e un’altra è l’umorismo erotico, anche se licenzioso. E poi, come posso ovviare al dato di fatto che tutti i colleghi tipografi della cintura vesuviana siano in un modo o nell’altro avviluppati nella problematica psicosessuale. Infatti il caso di Totonno è affine, anche se diametralmente opposto, a quello di Giorgio scarafone, precedentemente narrato. La storia di questo tipografo vesuviano, la cui virilità, appunto ignea, si rivelava insufficiente, e patetica ed ilare nel contempo. Un giorno, nella mia bottega di Via Purgatorio dichiarò pubblicamente che la sua coglia fungeva da guanciale, oramai, alla sua mentula logorata ed in avanzato stato di atrofia, e gli epididimi completamente aridi come le dune del Sahara. Non sarebbe il caso di ironizzare, dileggiando il povero Totonno, ma il sesso e il peto sono i temi centrali dell’umorismo vesuviano, quindi prendiamo la cosa sotto l’aspetto del beneficio sociale di carattere evasivo a base di flatulenza e sessuomania. Veniamo al "sodo", anche se non sarebbe proprio il caso di usare questa frase fatta, perché Totonno pallappese veniva insidiato dalla consorte ventiquattrore su ventiquattro, non escluso le feste comandate, anzi. Lo "possedeva" sempre e dovunque, molto spesso nella sua bottega, ad est del Vesuvio, contro le pianocilindriche, sulle pedane impilate, là dove definire ninfomania, quella della donna, equivarrebbe ad aggettivare piccolo l’Universo. L’ossessa, e non sono iperbolico, si rivelava un’autentica megagalassia erotica in espansione. E poiché non rientrava nel suo ordine di idee la trasgressione monogamica, essendo stata educata dalle teste di pezza, pretendeva il legittimo dovere coniugale solo dal malcapitato, minacciando, spesso, la richiesta d’intervento della Sacra Rota. Quando, ahilui, mi vidi apparire sull’uscio della mia tipografia Totonno, pallido, emaciato, bacucco che più non si può, venticinque chilogrammi abito e scarpe compresi, prognosticai la, quando prima, raccolta dei suoi resti dal suolo, col cucchiaino, per dirla in gergo. Gli dissi che, purtroppo, era condannato a soccombere sotto un assioma legislativo. Nessuna normativa sociale planetaria si oppone all’ottemperanza del dovere coniugale del maschio, da secoli detentore di priorità erotica attiva, anche se in misura da sanatorio. Doveva agire d’astuzia. Una volta falliti anche i tentativi, suggeritile, della pratica onanistica o del bambolo gonfiabile, doveva inevitabilmente ripiegare con un cavillo da paglietta, diventare, ad esempio, pazzo, a cui tutto e tollerato. «Con l’aiuto di Santa Veronica, protettrice anche dei tipografi, caro Totonno, - gli dissi - dovrai divenire pazzo, e risolvi, tutto ti sarà consentito e tua moglie si guarderà bene dall’usarti violenza...». «Io sono l’unico uomo al mondo - rispose Totonno con un fil di voce - che non saprei simulare mai la pazzia, con tutta la debolezza che mi ritrovo addosso mi scapperebbe a ridere... No, non è cosa». «Non devi simulare la pazzia, Totonno caro, devi diventare pazzo sul serio. Lo so che non è facile, ma a parte il fatto che sei sulla strada, basta una spinta e ti verremo a trovare a Capodichino o ad Aversa». Totonno pallappese al solo udire la parola spinta si afflosciò su di una sedia dietro il banchetto d’accettazione: «Solo una spinta ci vuole e poi escodalla porta coi piedi avanti... No... io non discerno più, scambio i testicoli di ciuccio per lampadine elettriche e prendo le sputazze per monete d’argento. Sono un uomo finito, ormai. Mi sono rassegnato, mi piange il cuore, pero, pensando ai ventidue figli miei, potenziali orfanelli». Io postulavo la mia tesi e gli suggerii di coricarsi per qualche giorno, onde guadagnare la giusta energia per mettere in atto 1’espediente, ma alla parola letto reagì con un mancamento. «Allora fai una cosa - insistevo - va’ in riva al mare e, ravvivato dalla brezza, mettiti a pensare all’Universo. Quante sono le galassie, Totonno? - L’uomo, o ciò che rimaneva d’esso, scosse la testa. - Sono migliaia - ripresi - se non milioni, o miliardi, chi sa. A che distanza da noi sta 1’ultima galassia sperimeritata dall’uomo? Totonno Pallappese aveva dei lampi di luce negli occhi, poi delle contrazioni maxillo facciali, quindi i primi sintomi frenopatici. "Milardi di anni luce - aggiunsi. - Toto’ la chiave per diventare pazzo a breve termine e questa. Abbandonati a queste elucubrazioni, intensamente: cosa c’e oltre 1’Universo, ammesso che abbia una fine, e oltre 1’oltre cosa c’e, Toto’, e oltre 1’oltre dell’oltre cosa ci sarà mai?». Questo episodio rivela un inedito. Nessuno sa che la barzelletta del pazzo e della mazza di scopa, fu ispirata dal caso di Totonno pallappese, che da quando, quel giorno, 1’accompagnai al pronto soccorso, non s’e più ripreso. Ma non mi sento colpevole per avergli insegnato il modo per imparare a volare, non già per tener fede al luogo comune che la pazzia e più vicina alla verità, o per avallare la tesi di Michel Foucault: Mai la psicologia potrà dire sulla follia la verità, perché è la follia che detiene la verità sulla psicologia, ma perché e meglio, tutto sommato, un pazzo vivo che un iper-eterosessuale morto. Avrei voluto dire, pero, a Totonno, ma non feci in tempo, che avrebbe dovuto spogliare il suo stato dall’elaborazione culturale dell’idea di pazzia, che alimenta la stessa proprio con il timore diabolico esorcizzante che la gente mostra nei confronti di essa e che si riallaccia sempre al thanatos freudiano, quindi all’angoscia primaria dell’uomo. Avrei voluto dirgli, antifreudianamente, che attraverso la libertà della follia, senza, però, l’angoscia culturale ad essa connessa, aveva adoperato la fuga dal sesso e non la sublimazione, per scongiurare l’angoscia della morte. Avrei ancora voluto dirgli che anche la solitudine, 1’emarginazione, scevre da qualsivoglia elaborazione culturale angosciante, sono tollerabili, anche se mai consigliabili, perché eludono il concetto del sociale, quindi dell’amore come inverso della paura. Forse aveva ragione il filosofo quando diceva: Nulla accade a un uomo che la natura (e non la cultura) non l’abbia fatto capace di sopportare. Appena Totonno Pallappese cominciò la spola tra le case di cura, secondo la legge 180, la moglie prese i voti, ritornando alle origini di quelle che erano state le cause dei suoi disturbi sessuali. Ma se i familiari non avessero guardato con sospetto e timore Totonno, egli non avrebbe preferito il covo uterino dell'ospedale per una famiglia di spaventati, perché ancora immersi nell’ignoranza culturale medioevale. Totonno, per dieci anni, ha puntato un asse di scopa verso la Via Lattea all’alba e al vespero. Non ho mai capito se la sua fosse pazzia autentica o scaltrezza napoletana. Quando alla fine gli tolsi la scopa di mano per imitarlo, come tutti sapete disse come nella barzelletta: «Sono anni che non vedo niente io, lui se ne viene fresco fresco e vuole vedere». Luigi Mari 1980 Nota: "Da Magonza a Torre del Greco" non è mai entrato nei circuiti commerciali. Oltre tremila copie sono stati distribuiti gratuitamente in tutta Italia, come tutto il matrriale elettronico e cartaceo di Torreomnia. Serena Mari potenziale redattrice del Nuovo quindicinale cartaceo di Torreomnia |
ID: 4644 Intervento
da:
Serena Mari
- Email:
sery_mari@hotmail.com
- Data:
martedì 10 ottobre 2006 Ore: 12:13
Gentile prof. Ciavolino, Abbiamo dimenticato la preziosa presenza di Vito D'adamo, direttore da sempre di prestigiosi giornali italiani e tedeschi, con la speranza che voglia partecipare a questo progetto in nuce. Una satira moderata sugli ILLUSI del giornalismo. Tratto da "Magonza a Torre del Greco" di Luigi Mari 1980 PAOLO FRINGUELLI, GIORNALISTA SUI GENERIS Ma in Campania vi è pure chi stampa il suo bravo foglietto quotidiano. Non si tratta del solito scrittore da dopolavoro comunale o poeta della domenica. Egli e uno strano filosofo che tira quotidianamente col ciclostile una modesta pubblicazione in folio. Il contenuto della stampa di Paolo Fringuelli, perché di estetica non si parla proprio, può essere riassunto in poche parole. La teoria di Paolo Fringuelli, bruno, tarchiato, con gli occhi piccolissimi dietro occhiali enormi, consiste in un movimento starei per dire paracristiano o ideal-politico cristiano, come meglio viene, che postula la giustizia sociale attraverso le sole pacifiche (? ) armi: carta, penna e calamaio. Questa particolare forma di giustizia, però, pretende un riscatto dei brutti, dei poveri, degli oppressi, insomma di tutto il negativo storico. Si tratterebbe, in pratica, di ribaltare i valori materiali universalmente riconosciuti. Ghettizzare e sottomettere, ad esempio, i ricchi, i belli, i saccenti, i detentori del potere, i quali, tutto sommato, costituiscono delle minoranze. Stabilire, in parole diverse, un classismo alla rovescia. Creare un’ inversione di interessi, un modello sociale di valori pratici più vicino alla massa. Egli è convinto che ciò sia possibile poiché la massa è più numerosa, e, da che mondo e mondo, la maggioranza vince. Si dirà, ad esempio, alla vista di una bella ragazza: Pussa via, bella e oca che non sei altro, che hai la marmellata al posto del cervello? Oppure: Disgraziato di un possidente, non ti aovicinare, sa’, con la peste bubbonica della ricchezza, con la tua solitudine squallida! E ancora: Meschino di un potente, sparati la tua bomba atomica nel didietro perché, sappi, che essa manderà all’inferno te per primo, e via ciarlando. Paolo Fringuelli ripete i moduli rancidi della protesta qualunquistica sostenendo che i poteri si camuffano di democrazia; che il sapere e la diffusione della stampa hanno scosso i giovani dal torpore dei vaneggiamenti filosofici, dall’illusione degli ideali politici, eccetera, eccetera. «La cultura è 1’informazione, caro il mio tipografo conformista Luigi - mi disse - fraternizza il figlio del ricco con quello del povero ed entrambi vanno nei fondelli ai genitori». Paolo Fringuelli si desta puntualmente alle quattro del mattino, ciclostila in fretta tutto ciò che rimugina durante la notte. Alle dieci in punto esce la sua edizione quotidiana che distribuisce a mano personalmente, ogni giorno in un paesello della provincia. A Napoli non sarebbe mai più andato perché un paio di volte «Mi indofarono di mazzate, chilli chiaveche! Fai bene, va’!». Gli risposi che il prezzo che pagano i messia è caro. Ci sedemmo su di una panchina nella Villa Comunale di Torre del Greco, e gli chiesi perché ce l’avesse in particolar modo con i fondelli dei suoi "nemici". Ed egli per tutta risposta mi accusò di essere certamente un tipografo venduto al sistema, una pedina della società capitalistica. Le sue spontanee reazioni non mi irritavano. Era sincero, in cuor suo, era solo un uomo mediocre affascinato dalla moda del giornalismo. Ma qualche idea originale non mancava, anche se astratta, fantasiosa ed utopistica. Non valeva la pena di compiere sforzi intellettivi per dire la mia, in fondo gli volevo bene, perché finisco col voler bene tutti, prima o poi, con la mia passionale tendenza all’analisi, ma compromessa, spesso, da un sentimentalismo che più partenopeo non si può. Il negativo nella nostra terra è rappresentato da una minoranza più esigua di quello che si pensa, ma lo sanno pure i neonati cosa provoca una pera marcia in un paniere di pere buone. Dissi a Paolo Fringuelli: «Non ricordo chi ha detto: l’illusione di ogni ideologo è quella di lusingarsi di cambiare il mondo, ma esso è fatto non gia di deliri mistici di tante idee separate, ma di tanti istinti separati, i quali, quando fraternizzano, finiscono sempre, in un modo o nell’altro, col farsi male a vicenda». IL SOGNO DEL GIORNALISMO "Da Magonza a Torre del Greco" 1978 Le tipografie artigiane vesuviane che ancora realizzano nella maniera tradizionale i giornaletti locali pressate dalle ambizioni letterarie degli oscuri docenti di lettere, o dei cultori di sogni nel cassetto, o dei poeti del sabato sera di fama intercomunale, arrotondano il fatturato dei tipografi in un contesto lavorativo molto compromesso dall’offerta satura. Ebbene, io appartengo alla categoria di questi sciagurati sognatori, conscio, però, del carmina non dant panem, non solo, ma pure del nemo propheta in patria, poiché queste sporadiche mie esperienze scrittorie desuetamente autofabbricate in tomi, sono destinate, volutamente, a non valicare il circondario urbano. (Oggi con internet il discorso cambia. N.d.r.) Sono comunque solidale con tutti gli sventurati come me, e quasi mi rammarico del privilegio di poter prevalere, almeno quantitativamente, sugli altri, che la sorte non li ha voluti tipografi. Comprendo, anche se non giustifico, coloro che non sanno valutare i propri limiti, e continuano imperterriti in questo cammino spinoso, attribuendo il loro insuccesso solo a fattori egemonici da circolo chiuso. Oggi, più che mai, in tutti i settori umani, l’estetica prevale sul contenuto, questo tende a soffocare l’espressione popolare nell’arte scrittoria. Chiunque ha il diritto di esternare i propri sentimenti, anche al di fuori di virtuosismi dottrinari, ma non ci si deve alzare sui piedi e sentire i "fumi del direttore" inebriarti la testa. L’importante è riconoscere la propria posizione di mediocrità e non ostinarsi ad apparire quello che si vorrebbe essere e non si è. Non è la semplicità d’espressione che è nociva, quando c’è contenuto, ma l’elaborazione culturale della povertà estetica ad alimentare il desiderio di abbarbicarsi verso i fastigi di castelli di cui non si è provveduto, negli anni, a mettere su con tenacia e abnegazione, dietro un allenamento estenuante, mattone su mattone. Gentile prof. Ciavolino, E così si parla di giornalismo invece di letteratura di terz'ordine. Serena Mari Inglese - Francese - Giapponese |
ID: 4643 Intervento
da:
Serena Mari
- Email:
sery_mari@hotmail.com
- Data:
martedì 10 ottobre 2006 Ore: 11:40
Gentile prof. Ciavolino, le facciamo omaggio di questo revival iniziando dalla quasi totalità delle testate torresi non sopravvissute che nella misura di una o due. www.torreomnia.com/attualita/giornali_torresi/le_testate.htm Eppure allora internet non esisteva. C'E' UNA ANTICA TESTATA CARTACEA GIA' DISPONIBILE CON GIA' UN DIRETTORE RESPONSABILE: L DOTT: FRANCO PENZA. BASTA UN DIRETTORE EDITORIALE: CIRO ADRIAN CIAVOLINO E UN CAPO REDAZIONE: CICCIO RAIMONDO. LA REDAZIONE E' IN ESUBERO CON FRANCESCA MARI DI TUTTOE', ECCO IL QUINDICINALE DI TORREOMNIA! OPPURE PUO' NASCERNE UNA NUOVA. VOLERE E POTERE! LA STAMPA DEL DOPOGUERRA Tratto "Da Magonza a Torre del Greco" di Luigi Mari SE GUTHEMBERG NON FOSSE NATO Cosa avrebbero fatto i nostri. Ferdinando Martello ed Emanuele Melisurgo se non fosse esistita la vecchia partenopea tipografia "Flautina" che stampava uno dei primi giornali umoristici della storia, intorno alla meta del secolo scorso: "L’Arlecchino". Fossilizzazioni borboniche avrebbero stagnato il torpore di un popolo in perpetua precarietà, sempre dominato e prevaricato dall’alto e dal basso. Sarebbe stato ancora condizionato ad oziose controre nei dedali spagnoli, negli androni sgraziati e disadorni dei centri storici di provincia, nell’acre delle fatiscenze, là dove visi olivastri statuavano assisi, in un’etra infestata da aculeati frugiferi (scusatemi i termini dell’epoca). Non si sarebbe diffuso, certo, alla fine del XIX secolo il famoso "Monsignor Perrelli", che dettava i primi veri spunti o sputi, se più vi piace, polemici ed anticonformisti, in contrapposizione ai millenni di oppressione stagnante, allineandosi ai grandi. meni riformatori: del pensiero scientifico del secolo scorso, se Gutenberg non fosse nato. Se Gutenberg non fosse nato, Antonio Scarfoglio non avrebbe potuto pubblicare il primo rotocalco d’Italia "Il Mattino Illustrato", del 1924, perché la moderna, meccanizzata versione della vecchia calcografia, non avrebbe potuto beneficiare della composizione alfabetica dei caratteri mobili. Se quel calabrese di tedesco, volitivo e testardo come tutte le persone geniali, non fosse esistito, ce la saremmo sognata a Napoli la rinomata "Emeroteca Tucci" e la "Biblioteca Nazionale ai Cavalli di Bronzo" (Largo Castello) che nacque con la raccolta farnesiana di Carlo III di Borbone e arricchita con la fusione di altre biblioteche napoletane. (Non tutti i campani sanno che si tratta di una delle più importanti biblioteche d’Europa, dove è possibile osservare, oltre ai famosi "Papiri di Ercolano", incunaboli, manoscritti e codici miniati di diversi orientamenti culturali). Grazie a Nonno Gutenberg la nostra Napoli ha potuto sfoggiare anche le sue tradizioni culturali, riallacciate anche alla vecchia Scuola Salernitana. Ma, a far ruotare a tutto spiano le piano-cilindriche tipografiche furono personaggi come lo scrittore popolare Francesco Mastriani, con i suoi 115 romanzi, poco valutati dalla critica, ma di larga diffusione e Vittorio Imbriani, che si distinsero nel periodo letterario della fine del secolo scorso. Più in luce la giornalista scrittrice Matilde Serao, coi suoi famosi "Ventre di Napoli" e "Paese di Cuccagna". Redattrice a Roma del "Capitan Fracassa", seguì, poi le orme del marito Edoardo Scarfoglio col suo "Corriere di Napoli" e "Corriere di Roma". Autrice dei noti "Mosconi" sul Mattino di Napoli, fondò infine "Il Giorno". Il tarantino Scarfoglio (Tartarin) fondò "Il Mattino" e scrisse saggi e varie prose. Tartarin influì positivamente il suo allievo Roberto Bracco, valido critico e giornalista, sprovvisto persino di licenza elementare. Esempio emblematico di autodidatta, fu deputato e persino candidato al Premio Nobel. Alla fine dell’Ottocento Benedetto Croce partorisce la "Critica Estetica", provocando una vera rivoluzione di pensiero filosofico-letterario. Fondatore della rivista "La Critica", compose centinaia di opere tra cui spiccano "La Letteratura della Nuova Italia", "Poesia e non Poesia", "Storia d’Italia"..., ecc. Pasquale Villari, alla fine del secolo scorso compose diverse opere di critica e di storia, altrettanto Ruggiero Bonghi che fondò, tra l’altro, "La Stampa" di Torino. Studi di Storia Letteraria Napoletana e Manuale della Letteratura Napoletana, furono, invece, valide opere di Francesco Torraca, Una specie di lazzarone letterato fu invece Ferdinando Russo, poeta dialettale di vivace realismo, come pure, anche se in maniera più pacata, Raffaele Viviani col suo teatro. Quindi Rocco Galdieri, che espresse nelle sue opere quel suo triste umorismo nel "Monsignor Perrelli", pubblicato a cavallo fra i due secoli. Ernesto Murolo, invece, scrisse molte poesie in vernacolo, diverse delle quali furono musicate. Ancora Libero Bovio ed il crepuscolare Eduardo Nicolardi, nonchè il famoso poeta Giovanni Gaeta, altrimenti detto E. A. Mario, che scrisse "La Leggenda del Piave" e la canzone "Balocchi e Profumi". "Dopo la Serao ritornarono a Napoli i tentativi ben riusciti di narrativa. Negli anni trenta Carlo Bernari pubblica I tre operai". Di Bernari sono "Guerra e pace", "Vesuvio e pane", fino al "Foro nel parabrezza" degli anni 70. Nel periodo tra le due guerre si distingue Anna Maria Ortese con "Città involontaria", i racconti "Angelici dolori", fino a "Il mare non bagna Napoli", degli anni 50. Intorno al secondo conflitto mondiale il narratore napoletano di spicco è Giuseppe Marotta col suo famoso "L’oro di Napoli", quindi "Gli alunni del sole", "San Gennaro non dice mai no", ecc. Dopo la guerra esordisce Domenico Rea di Nocera Inferiore, con "Spaccanapoli", "Una vampata di rossore", ecc. Quindi Michele Prisco, di Torre Annunziata, coi famosi racconti dell’esordio "La provincia addormentata", poi "Figli difficili", ecc. Altro romanziere del secondo dopoguerra sarà Luigi Compagnone che esordì con "La Festa", poi "La vita nuova di Pinocchio", "L’onorata morte", ecc. Infine Mario Pomilio con "Il testimone e Il cimitero cinese", "L’uccello nella cupola", ecc. Vi sono molti altri intellettuali napoletani di rilievo nel campo della filosofia, della critica, del giornalismo, della filologia che, secondo me, vanno citati in trattazioni specifiche più ampie, di natura critica, antologica, storiografica, per cui discrepanze od omissioni spero saranno qui tollerate. Un ultimo autore contemporaneo, però, degno di menzione, è il poliedrico Luciano De Crescenzo, filosofo, umorista e scrittore di cristallina fattura, che insieme a tutti gli altri intellettuali napoletani, citati o meno, ha contribuito allo sviluppo dell’editoria non solo napoletana. Serena Divisione lingue straniere |
ID: 4641 Intervento
da:
ciro Adrian Ciavolino
- Email:
ciroadrian@libero.it
- Data:
martedì 10 ottobre 2006 Ore: 09:44
Gentili signori della redazione di Torreomnia, siete carini, gentili. Effettivamente, se ci penso, quanto tempo è passato, ma sembra ieri. Sembra proprio ieri: era una fredda sera d'autunno quando dal mitico Cafè 'i Filippiello, ammiezatorre, telefonai all'avvocato Accardo chiedendogli se potevo mandare qualche mio scritto perchè sin da ragazzo avevo sempre sognato di scrivere sul "Giornale La Torre": portavo i calzoni corti e vedevo quel giornale come un sogno, trovandolo tra le mani di Donna Teresina 'a chianchèra, all'angolo di Vico del Pozzo, dove abitavo. Sarebbero passati molti anni fino a quella sera d'autunno. Alla redazione di quel giornale incontrai persone più grandi di me, gentiluomini di buona penna dai quali ho appreso i segreti della scrittura. Lì ho trascorso vent'anni della mia vita, ho imparato le tecniche di stampa alla Tipografia Palomba, mi inebriavo all'odore dell'inchiostro, al ritmo delle macchine, della lynotipe. Poi sono andato altrove, pellegrino della penna, ma fortunatamente bene accolto, mi davano sempre lo spazio che volevo e avevo sempre libertà di pensiero. Non ci credereste, non ho mai avuto tessera di pubblicista, non ci ho mai pensato. Per il resto delle cose che mi avete detto, scriverò più tardi. Grazie, davvero. |
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