Torre e il corallo     pag. 2 di 17

      
       Intarsi di marmi policromi per riprodurre
         una corallina (particolare dell’altare
        maggiore della Chiesa di S. Maria di 
   Costantinopoli, Torre del Greco). Sec. XVIII

Nel ’700 i pescatori di Torre prevalevano su quelli degli altri centri marinari (Ischia, Procida, Resina, Pozzuoli, Praiano ecc.). Nel 1747 essi dispone- vano di 400 barche con le quali, purché vi fosse co
rallo, raggiungevano qualsiasi destinazione.
Erano coraggiosi e perciò andavano a pescare sui banchi della Sardegna e della Barberia anche quando, prima del 1740, era loro vietato il lavoro. Tutte queste doti positive, però, raramente hanno assicurato ai corallini una vita facile e serena; anzi, essi hanno sempre dovuto combattere contro la miseria in terra e i pericoli in mare; e di questi il più temuto era costituito dalla cattura da parte dei Mori, anche perché quella schiavitù durava tanti anni quanti ne impiegavano le misere famiglie a racimolare il denaro sufficiente a pagare il riscatto preteso. Pietro Loffredo descrive autobiograficamente le traversie dei corallini del suo tempo:
«Il nostro povero padre Giosue, benché afflitto da diverse per- dite, aveva a cuore la liberazione del suo figlio Tommaso; ma le finanze non gli consentivano i capitali che per la liberazione esigeva il Bey di Tunisi». E più avanti:
«Secondo quanto abbiamo descritto, si vede che per i 10 anni che duro il primo Impero di Francia il nostro padre e tre miei fratelli stettero schiavi in Algeri; e nei primi anni mori uno dei fratelli essendosi fratturato un piede nel mentre era con gli altri lavorando e trascinando scogli per il porto di Algeri».

E proprio da questi Mori i pescatori di corallo e le loro famiglie hanno subito i dolori più atroci, come quello conseguente al massacro avvenuto nel maggio 1816 a Bona (Annaba); il padre spirituale dei pescatori torresi, don Gerardo Palomba, scampato all’eccidio, fece un dettagliato resoconto dell’accaduto: «Ed ecco una crudele tragedia, a chi aprivano il capo, a chi tagliavano le braccia, le mani; a chi 1’interiora cacciarono fuori, finanche a scannare i cristiani come porci, talmente che di 200 cristiani chiusi in quella stretta prigione, non eravamo 30 sani, ed il sangue dei medesimi copriva tutti i piedi». Parlando ancora della sua vita di pescatore di corallo, il Loffredo dice:
«Chi poteva far presente le loro sofferenze? Ignoranti e poveri rimanevano sottomessi a tanti tiranni, per i quali 1’utile era il proprio tornaconto e non la conservazione degli uomini».
Forse e vero, nessuno faceva nulla per tutelare la vita, gli interessi dei corallini di quell’ epoca; ma e pur vero che, quando qualche iniziativa venne presa a favore dell’attività (Codice Corallino, Reale Compagnia del Corallo), il fallimento della stessa fu totale.

             
Acquasantiera di marmo del 1700 con bassorilievo raffigurante una "corallina". Chiesa.di S. Maria
           di Costantinopoli. Torre del Greco

Comunque, gli uomini vivevano veramente tra difficoltà e disagi, anche di ordine affettivo e fami otto mesi di pesca (da Pasqua ai morti) si aggiungevano quelli necessari per raggiungere le piazze sia di raccolta che di vendita, perché « ... il corallo doveva portarsi ai negozianti lavoratori e questi si trovavano in Genova e in Livorno».


           

     "Supplica" al Re Ferdinando IV di Borbone
   (1813): i Torresi chiedono un intervento presso
      i Governi di Algeria e Tunisia per il rilascio
      di trecento "corallini" schiavi in quei Paesi


Tale peregrinare era dovuto al fatto che Torre ancora non aveva la lavorazione, sviluppatasi piuttosto tardi rispetto agli altri centri. Tutta questa situazione, compreso il trasferimento della merce, esponeva i corallini a ulteriori disagi tutt’altro che insignificanti: il pericolo di essere derubati strada facendo di quel carico da cui dipendeva la sopravvivenza delle famiglie, le condizioni da capestro imposte loro dagli acquirenti che, in particolare a Livorno, richiedevano sacrifici economici sino al 35% del corallo da vendere, erano certamente i più sentiti.
Furono queste condizioni a far maturare fin dai primi decenni del ’700 l’idea di vendere e lavorare il corallo nella stessa Torre del Greco, progetto che si materializzo solo nel 1790 con la costituzione della «Reale Compagnia del Corallo». Essa sorse con un capitale sociale, la cui sottoscrizione era aperta a tutti tranne che per un’aliquota riservata ai soli torresi.