Torre il Corallo   pag 1 di 17

Tratto dalla pregevole opera di Basilio Liverino: "Il Corallo dalle origini ai nostri giorni"
Arte tipografica Editrice - S. Biagio dei Librai - Napoli -  Quarta edizione riveduta e aggiornata
(Opera unica al mondo, tradotta in quattro lingue).
Per gentile concessione dell'autore


    Corallina napoletana - Museo navale di Parigi

CENNI STORICI

Parlare di corallo senza accennare a Torre del Greco vorrebbe dire lasciarlo privo della propria dimora. Torre sorge ai piedi del Vesuvio, il suo territorio si e esteso su quello di due antichi, piccoli villaggi, Sola e Calastro. Della sua attuale denominazione le prime tracce si trovano in documenti del XVI secolo. Del clima di questa Citta il Mazzei-Megale nel 1880 scriveva:
«E danno prova della bontà dell’aria di Torre del Greco non pure gli ottimi risultati che ogni giorno si ottengono in persona di quelli che vi si riducono per cura, ma altresì la eccezionale longevità e fecondità della gente del luogo, potendosi osservare colla scorta delle statistiche che in pochi Comuni d’Italia si vive tanta lunga vita e si prolifica con tanta facilità come in Torre ».
Gli attuali 99.000 Torresi (oggi 11-2000 demografia in calo per spostamenti N.d.r.) sanno di quante eruzioni e stata vittima la Città, la quale, al verificarsi di ognuna di esse, doveva cedere al vulcano una parte della sua terra resa fertile quasi fin sul cono da anni di sudore e di fatiche. Malgrado questi pericoli, sempre incombenti, e benché, come dice Pietro Balzano, «il Vulcano in terra li ammiseriva», i Torresi non hanno mai voluto lasciare quel territorio. Anche quando, nel 1815, dopo un’ennesima eruzione, Ferdinando IV di Borbone offri loro il più sicuro circondario di S. Giovanni a Teduccio, essi ringraziarono il loro benefattore e vissero sul suolo arso e selvatico che il vulcano aveva cosi ridotto. Col passare del tempo gli abitanti di Torre si accorsero che, proprio per quella costante minaccia della «Montagna», la loro attenzione e tutte le loro speranze erano ormai rivolte al mare quale più sicuro cespite di lavoro e di vita.
E nel mare c’e anche il vermiglio corallo. Il Balzano dice: «E antica memoria che i Resinari avessero per prima esercitata la pescagione del corallo.

 
    Statua lignea di S. Maria di Costantinopoli,
  protrettrice dei corallini (fine 1500), si venera
      a Torre del Greco nella Chiesa omonima

Ma ora trovasi in Torre del Greco da cosi antico tempo che quasi e impossibile definire quando avessero queste vicine terre tramutato la loro industria o che usandola insieme fosse da poi solamente rimasta presso i Torresi».
Ma a parte questi vaghi riferimenti, e storicamente accertato che nel ’400 a Torre la pesca era gia molto fiorente. Il coraggio e la bravura dei suoi pescatori sono stati la base su cui e sorta, poi, tutta 1’attività. La loro superiorità sugli altri, dovuta proprio al pos- sesso di tali doti, nel 1771 richiamo l’attenzione di Bernardo Tanucci: come in precedenza (1734) Carlo di Borbone aveva richiesto gli ischitani a Ponza per istituirvi una colonia di validi agricoltori, così il Tanucci volle i Torresi a Ventotene (oltre che nella località Forna della stessa Ponza) sia per ripristinarvi in continuità la pesca del corallo, già praticatavi saltuariamente da quei corallini con una cinquantina di barche, sia per proteggere 1’isola dalle incursioni corsare. Il folto numero di questa gente di mare si era data, fin dal 1639, a proprie spese, una forma assistenziale piuttosto vasta ed oculata con la costituzione del «Monte dei Marinai».
I suoi diciotto capitoli fissavano norme per l’assistenza medica, gli onori funebri, le messe di suffragio ai defunti, al- cune doti all’anno per figlie di marinai e pescatori; inoltre, una quota del ricavato dalla pesca era desti- nata al riscatto degli uomini tratti in schiavitù dagli «infedeli» durante la navigazione. A queste e ad altre non menzionate forme di assistenza al «corpo» dei pescatori e dei marinai, se ne aggiungeva un’altra per 1’anima degli stessi con 1’obbligo mensile della confessione e della comunione. Il contributo che ogni socio era tenuto a versare era costituito, a detta del Tescione, da «un quarto del guadagno per ogni viaggio di barca, in mare vicino o lontano ». Naturalmente tutto ciò venne a mano a mano modi6cato in proporzione dell’evolversi dei tempi e dell’attività.