Le Cento
Fontane
Il
Dragone.
Con cento
cannole disseccate
per insensata e colpevole incuria
e persistente disamore della memoria,
tra zoccole e muntoni di munnezza
oggi si disgrega e si spegne
l’ultima testimonianza
dell’antica fiumara
sepolta da secoli
un dì vitale
per la sete
e per l’industria
del casale della Torre.
Le Cento Fontane.
Retro
Il
fresco zampillio dalle cannelle
allineate sul fronte del fabbricato
in alto l’invito di dotta usanza,
sitientes venite ad aquas,
la serale lenta passeggiata
con giarri e buttiglioni
scendendo l’ampia grariata
consunta al centro
da generazioni di sciuliarelle
su tavole di legno.
Sotto le volte umide e buie
due file di cannelle si fronteggiano
per le lavandaie
ed il corallaro chino nella lustrata
come impastando il sacco
scricchiolante di rosse perle.
Dietro, verso lo slargo dei segatori
chiuso dal viadotto della ferrovia,
l’abbeverata bassa
per le bestie
e i bimbi.

La lustrata

Il Castello e la Ripa. Planimetria

Eruzione del 1794
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Tavola del Morghen
Era sotto la Ripa
che la fresca fiumara
si svelava tra scogli e rocce
uscendo fresca allo scoverto,
dopo quell’incendio del Vesuvio
che fece il mare seccato
e i vichi del mare,
sgorgando
al fresco dissetare
del poeta Francesco,
che l’amore patrio
vuole credere
cantore del suo tempo
sulle dieci corde della tiorba.
Sorto a formare un picciolo rio
placidamente portandosi al mare
a dare quello poco tributo che poteva.
E’ questo luogo dove l’acqua esce
con piccioli bolli generosi
buona ancora a bere
come quella del fonte discosto
dai paesani arcanamente chiamato
dello Monaco la fontana
fin da tempi lontani
quando donne zoccolanti
fugarono saraceni all’abbeverata,
luogo intorno recinto di mura
e disopra coperto di lamia
dà comodo ricovero
segreto alle donne
per lavarvi i loro panni,
proibito con pene dalla Università
del casale di Torre ed Ercolano
a chi sia huomo l’entrarvi
essendovi là femine.

Interno delle Cento Fontane
Per l’inefficienza dei condotti
nel volgere d’un secolo
l’acqua si impaludò
sgorgando avara
e torbida.
E avara sgorgò
fino a quando, prima ancora
della Muntagna del novantaquattro,
arditi scavi, in contrasti e diffidenza
e la tenacia di don Gaetano
riportaro l’acqua limpida
alla luce sotto la ripa
e nacquero grottoni
sotto al vecchio Castello
lungo la via del Fiumarello
per l’alloggio elegante
di un fonte copioso
che dà l’acqua
anco ai nuovi lavatoi
e a ventotto cannoncini
per la usanza dei paesani
e ancora tutta quella che rimane
volge un mulino che macina
trenta tomoli di grano
in ventiquattr’ore.
Il
dragone.
L’antico fiume sotterraneo di Torre, nelle memorie degli storici
torresi.
Francesco Balzano (1631-1690) descrive il fonte così come era,
prima della eruzione del 1631, nella memoria dei contemporanei. Da qualche
studioso torrese il poeta Balzano è ritenuto l’autore del poema “La
Tiorba a Taccone” di Sgruttendio da Scafati. Gli studi più recenti
attribuiscono a Giulio Cesare Cortese l’opera.
Gaetano De Bottis (1721-1790) recuperò l’antico fonte.
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