IL GIORNALISMO
di Luigi Mari
Articoli sul
giornalismo e sulla stampa tipografica pubblicati su "Il Penzatore
di Franco Penza
Penza e Mari componevano a mano il "Penzatore" e
"L'Infinito" con i bastoncini di piombo, gutemberghiani uno
alla volta. Altro che Certosini.
NOSTALGIE DI
BOTTEGA
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Alla magia della stampa, sotto il
Vesuvio, si associa quella dell'espressione verbale
colorita. Quelle locuzioni argute ed ilari degli adolescenti
post-bellici si diffondevano in ogni ambiente, dalla scuola
alla strada, ai sodalizi, alle botteghe. I miei ex
apprendisti, durante le visite odierne, mi rammentano queste
gioiose mattizie adatte per farla in barba alla monotonia
d'una lunga giornata di lavoro. Ammesso e non concesso
che io ti dicessi di fare poco il berloffo, tu che faresti?
Oppure le caricate traduzioni letterarie di nutriti epiteti
in vernacolo, le quali suonano: Vai ad operare in cio che
sta sotto il naso di colui che un giorno ti si spense,
comunemente conosciuta come: Va' fa' mmocca a chi t' è
mmuorto. O, ancora: All'alma di colui che a te
percosse i funerei rintocchi dei sacri bronzi, che sta
per: All'anema 'e chi te sona 'a campana a mmuorto.
Inoltre: Adesso piroetto sulle tue guance una discreta
dose di enzimi orali, cioè: Mo te sputo 'nfaccia.
E via dicendo...
Le contumelie moderate si limitano a l'Eva t'amo tanto,
che faceva inviperire le ragazze d'allora. Ché, dire, oggi,
al coetaneo sessantottino: Levate 'a mutanda,
equivale al dammi un bacio d'una volta.
Noi anta ci scandalizziamo anche perché ignoriamo che i
giovani si sforzano a naturalizzare il linguaggio sessuale
(il che non è turpiloquio) allo scopo di esorcizzare
l'ipocrisia bigotta del passato. Infatti viene a cadere da
noi la priorità della barzelletta col doppio senso erotico.
E, fateci caso, alla fine si finisce ancora col parlare di
morte e di sesso, quando c'e di mezzo la vita.
Molte di queste trovate attingono, pero, da una tale
letteratura popolare teatrale pre-alfabetismo, come la
maggioranza dei proverbi e delle locuzioni popolari
partenopee. Le diffusero personaggi come Pulcinella o Felice
Sciosciammocca, i cui autori attingevano a loro volta dal
popolo.
Quando nella bottega annuncio qualche pubblicazioncella, la
prima cosa che mi chiede la gente è: Ma fa ridere?.
Il bello e che essa ride pure quando ho creduto di scrivere
cose serie. Non sarà per partito preso? Forse anche a
Napoli, oggi, si insinua quel proverbio che recita: Quante
volte le bocche ridono ed i cuori non ne sanno nulla.
Abbiamo finito col dottrinalizzare pure le risate? Abbiamo
fatto del proverbiale buon umore napoletano un'altra
elaborazione culturale? Se così fosse, poveri noi!
On Lui' - dicono sovente gli ex apprendisti quando
s'affacciano all'uscio della mia bottega - All'alma di
colui che a te percosse...
Ed io mi commuovo per stupidaggini del genere, perché
tali non sono. Esse sostituiscono i contatti umani d'un
tempo, il senso dell'amicizia, sempre più compromessi, per
questo tronco la frase dicendo: Curre, cammina, va a fa'
'o duvere tuoie. Ed egli docile come un cagnolino
riconoscente si avvicina soddisfatto alla napoletana.
Io noto la prima stempiatura, gli incipienti segni della sua
dissolta giovinezza. Penso a quando, paternamente, lo
dileggiavo dicendo mesci il caffè, ed egli, invece,
puerile ed ignaro lo zuccherava.
Ah, scarzuppulillo, non più imberbe, col tuo pomo d' adamo
che va su e giù, con qualche dente in meno e la consorte
incinta ogni nove mesi perché non si decide a fare il
maschio. Ricordo quando dicevi al cliente moroso che
cinchischiava nelle tasche inventando mille scuse: Ma
dicite ca nun tenita a «zuppa ».
Rieccovi a fare 'o duvere vuoste, come un tempo, con la napoletana,
dove il caffè scende. Ridico mesci, e voi, meno candidi, lo
versate, dietro un adulto sorriso sornione.
E' accaduto, l'ultima volta, appena un mese or sono. Un ex
scarzuppulillo centellinò con me quel nettare dell'amicizia
e si dileguò per l'ingresso borbottando di avere una fretta
del diavolo. Un attimo dopo ricomparve: « On Lui' - sbottò
- me scurdavo 'na cosa importante ». Pausa. «Dai,
parla», ruppi. E lui «Ammesso e non concesso che io
ti dicessi di fare poco il berloffo, tu che faresti ?».
Fu molto più d'un abbraccio. Grazie, ragazzi, grazie
perché mi fate, talvolta, riassaporare la giovinezza.
Grazie per aver tollerato i miei sbalzi d'umore dovuti alle
vostre inottemperanze, per aver saputo sorridere a qualche
mia verbale escandenscenza: 'Ata fa' 'e mmane comm' e
piede!
1970
Luigi Mari
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DON ANTONIO
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Don Antonio è un tipografo di campagna,
alle falde del Vesuvio, che un giorno mi interpellò onde
essere illuminato proprio sulla realizzazione di un
volumetto religioso. Mi assicurò che il prete era pipì e
un po' fariniello e che non ci teneva a fare brutta figura.
In più quando si arrabbiava, non potendo essere blasfemo,
profferiva le più variegate scurrilità e trivialità da
baccalaiuolo o portuale, giustificandosi con la teoria che i
peccati veniali sono sfoghi consentiti dal Signore.
«Una volta, caro Marittiello, (da noi si vezzeggiano
pure i cognomi), solo per scrivere culo, invece di culto,
me ne disse tante che mi fece venire la diarrea. E' vero che
in Chiesa ridevano tutti, ma benedetto Iddio, che è il suo
capo, urlava: devi fare le mani come i piedi; devono fare
ventiquattrore di terremoto con te all'epicentro; tu non
morirai nel letto tuo, disgraziato, ciuccio matricolato;
figlio di una meretrice (forse credeva che la buonanima di
mia madre vendeva le merende), insomma mi fece una chiavica!».
La bottega di Don Antonio aveva le pareti incastonate di
gabbie e mi chiarì subito che il suo era un paese d'amatori
d'uccelli. Gli feci intanto una chiara relazione sul da
farsi per realizzare quel libro. Ad un tratto mi prese
sottobraccio per guadagnare l'uscita in aperta campagna
«Quando esco dall'Alfa Sud - mi disse - il tempo
che mi rimane lo passo un po' a stampare, un po' a zappare.
Guarda che bella campagna! Ci pianto tutto, eh, ma solo per
il fabbisogno personale... e di quello dei clienti». Lo
fissai senza intendere. Mi scosse la falda della giacca
con cordiale veemenza ed aggiunse con un tono di
rassegnazione nella voce: «Quando sbaglio qualche lavoro
- abbassò gli occhi, poi li puntò in alto, in un posto
indefinito - e questo capita spesso, tu sei un caro
amico, a te lo confesso: quasi sempre, Lui'. - Poi ribadì
in tono perentorio, ma ironico - diciamo pure che non ne
azzecco una, va!... O i fogli vengono troppo scagnati, o
troppo 'nguacchiati... Il mio forte sono gli errori di
grammatica. - Sorrise - Mi volevano dare il premio
Nobello sugli errori di stampa, Marittie'... Basta! Dopo
ogni lavoro, al posto di rifarlo, accontento il cliente con
un paio di chili di pomodori freschi, una spaselluccia di
fave, che so, due mazzi di ravanelli... Vedessi, dopo, il
lavoro com'e buono!...».
Ridevo di cuore, fino ai singulti. Presi fiato per
domandargli cosa aveva offerto al prete quella volta.
"Offerto?" Quello se non lo fermavo si scippava
pure le radici da terra. Disse che doveva nutrirsi molto,
perché le arrabbiature gli portavano l'insonnia e lo
facevano dimagrire giorno per giorno. Intanto la perpetua
non fece la spesa per tre mesi... Vedi un « t » che mi
costò... Ma che vuoi, caro Mari, io non lascerei mai la
tipografia, le sono affezionato. Poi in paese hanno
soggezione di me, mi chiamano professore, scienziato, uno mi
chiama ministro; è gente ignorante, io almeno ho fatto la
prima alimentare tre volte, poi mia madre, disperata, mi
mandò a imparare 1'arte da Ciccio 'o solachianiello, che i
giorni pari aggiustava le scarpe e quelli dispari faceva i
manifesti di morto. Quello sì che era un maestro. Aveva
fatto fino alla seconda alimentare senza ripetere neanche un
anno».
Mi congedai da Don Antonio perché volevo subito
raggiungere Torre del Greco, ma sulla strada del ritorno
m'imbattei in una bicocca diroccata e polverosa da dove
proveniva uno strano suono. Poi distinsi dei cinguettii di
volatili che appurai provenire da una bifora del
pianterreno. Ora quei suoni prendevano un timbro melico e
divenivano, a mano a mano che m'avvicinavo, più articolati
e distinti. Ascoltavo una singolare armonia, qualcosa a
mezza strada tra un elegiaco spiritual ed il vocalìo
ammaliante delle sirene di Ulisse. I solisti del concerto
emettevano poi vagiti d'infante.
Decisi di non approfondire, ma, voltatomi per riguadagnare
il volante, mi scontrai con lo sguardo enigmatico d'un bimbo
paffuto, ma sudicio. Gli chiesi perché quei volatili
emettessero quegli strani suoni.
«Il nonno - disse con un sorriso d'ebete il
fanciullo - acceca gli occhi di tutti con uno spillo, così
cantano meglio ».
Non ho più saputo se Don Antonio portò a termine quel
benedetto libro. A seguito di un'altra visita, infruttuosa,
seppi che era andato a vivere a Modena con una figlia
maritata.
1970 Luigi Mari
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