Cap. 4


IL GIORNALISMO
di Luigi Mari

Articoli sul giornalismo e sulla stampa tipografica pubblicati su "Il Penzatore di Franco Penza
Penza e Mari componevano a mano il "Penzatore" e "L'Infinito" con i bastoncini di piombo, gutemberghiani uno alla volta. Altro che Certosini.

NOSTALGIE DI BOTTEGA

Alla magia della stampa, sotto il Vesuvio, si associa quella dell'espressione verbale colorita. Quelle locuzioni argute ed ilari degli adolescenti post-bellici si diffondevano in ogni ambiente, dalla scuola alla strada, ai sodalizi, alle botteghe. I miei ex apprendisti, durante le visite odierne, mi rammentano queste gioiose mattizie adatte per farla in barba alla monotonia d'una lunga giornata di lavoro. Ammesso e non concesso che io ti dicessi di fare poco il berloffo, tu che faresti? Oppure le caricate traduzioni letterarie di nutriti epiteti in vernacolo, le quali suonano: Vai ad operare in cio che sta sotto il naso di colui che un giorno ti si spense, comunemente conosciuta come: Va' fa' mmocca a chi t' è mmuorto. O, ancora: All'alma di colui che a te percosse i funerei rintocchi dei sacri bronzi, che sta per: All'anema 'e chi te sona 'a campana a mmuorto. Inoltre: Adesso piroetto sulle tue guance una discreta dose di enzimi orali, cioè: Mo te sputo 'nfaccia. E via dicendo...
Le contumelie moderate si limitano a l'Eva t'amo tanto, che faceva inviperire le ragazze d'allora. Ché, dire, oggi, al coetaneo sessantottino: Levate 'a mutanda, equivale al dammi un bacio d'una volta.
Noi anta ci scandalizziamo anche perché ignoriamo che i giovani si sforzano a naturalizzare il linguaggio sessuale (il che non è turpiloquio) allo scopo di esorcizzare l'ipocrisia bigotta del passato. Infatti viene a cadere da noi la priorità della barzelletta col doppio senso erotico. E, fateci caso, alla fine si finisce ancora col parlare di morte e di sesso, quando c'e di mezzo la vita.
Molte di queste trovate attingono, pero, da una tale letteratura popolare teatrale pre-alfabetismo, come la maggioranza dei proverbi e delle locuzioni popolari partenopee. Le diffusero personaggi come Pulcinella o Felice Sciosciammocca, i cui autori attingevano a loro volta dal popolo.
Quando nella bottega annuncio qualche pubblicazioncella, la prima cosa che mi chiede la gente è: Ma fa ridere?. Il bello e che essa ride pure quando ho creduto di scrivere cose serie. Non sarà per partito preso? Forse anche a Napoli, oggi, si insinua quel proverbio che recita: Quante volte le bocche ridono ed i cuori non ne sanno nulla. Abbiamo finito col dottrinalizzare pure le risate? Abbiamo fatto del proverbiale buon umore napoletano un'altra elaborazione culturale? Se così fosse, poveri noi!
On Lui' - dicono sovente gli ex apprendisti quando s'affacciano all'uscio della mia bottega - All'alma di colui che a te percosse...
Ed io mi commuovo per stupidaggini del genere, perché tali non sono. Esse sostituiscono i contatti umani d'un tempo, il senso dell'amicizia, sempre più compromessi, per questo tronco la frase dicendo: Curre, cammina, va a fa' 'o duvere tuoie. Ed egli docile come un cagnolino riconoscente si avvicina soddisfatto alla napoletana. Io noto la prima stempiatura, gli incipienti segni della sua dissolta giovinezza. Penso a quando, paternamente, lo dileggiavo dicendo mesci il caffè, ed egli, invece, puerile ed ignaro lo zuccherava.
Ah, scarzuppulillo, non più imberbe, col tuo pomo d' adamo che va su e giù, con qualche dente in meno e la consorte incinta ogni nove mesi perché non si decide a fare il maschio. Ricordo quando dicevi al cliente moroso che cinchischiava nelle tasche inventando mille scuse: Ma dicite ca nun tenita a «zuppa ».
Rieccovi a fare 'o duvere vuoste, come un tempo, con la napoletana, dove il caffè scende. Ridico mesci, e voi, meno candidi, lo versate, dietro un adulto sorriso sornione.
E' accaduto, l'ultima volta, appena un mese or sono. Un ex scarzuppulillo centellinò con me quel nettare dell'amicizia e si dileguò per l'ingresso borbottando di avere una fretta del diavolo. Un attimo dopo ricomparve: « On Lui' - sbottò - me scurdavo 'na cosa importante ». Pausa. «Dai, parla», ruppi. E lui «Ammesso e non concesso che io ti dicessi di fare poco il berloffo, tu che faresti ?».
Fu molto più d'un abbraccio. Grazie, ragazzi, grazie perché mi fate, talvolta, riassaporare la giovinezza. Grazie per aver tollerato i miei sbalzi d'umore dovuti alle vostre inottemperanze, per aver saputo sorridere a qualche mia verbale escandenscenza: 'Ata fa' 'e mmane comm' e piede!

1970                                                  Luigi Mari


DON ANTONIO

Don Antonio è un tipografo di campagna, alle falde del Vesuvio, che un giorno mi interpellò onde essere illuminato proprio sulla realizzazione di un volumetto religioso. Mi assicurò che il prete era pipì e un po' fariniello e che non ci teneva a fare brutta figura. In più quando si arrabbiava, non potendo essere blasfemo, profferiva le più variegate scurrilità e trivialità da baccalaiuolo o portuale, giustificandosi con la teoria che i peccati veniali sono sfoghi consentiti dal Signore.
«Una volta, caro Marittiello, (da noi si vezzeggiano pure i cognomi), solo per scrivere culo, invece di culto, me ne disse tante che mi fece venire la diarrea. E' vero che in Chiesa ridevano tutti, ma benedetto Iddio, che è il suo capo, urlava: devi fare le mani come i piedi; devono fare ventiquattrore di terremoto con te all'epicentro; tu non morirai nel letto tuo, disgraziato, ciuccio matricolato; figlio di una meretrice (forse credeva che la buonanima di mia madre vendeva le merende), insomma mi fece una chiavica!».
La bottega di Don Antonio aveva le pareti incastonate di gabbie e mi chiarì subito che il suo era un paese d'amatori d'uccelli. Gli feci intanto una chiara relazione sul da farsi per realizzare quel libro. Ad un tratto mi prese sottobraccio per guadagnare l'uscita in aperta campagna
«Quando esco dall'Alfa Sud - mi disse - il tempo che mi rimane lo passo un po' a stampare, un po' a zappare. Guarda che bella campagna! Ci pianto tutto, eh, ma solo per il fabbisogno personale... e di quello dei clienti». Lo fissai senza intendere. Mi scosse la falda della giacca con cordiale veemenza ed aggiunse con un tono di rassegnazione nella voce: «Quando sbaglio qualche lavoro - abbassò gli occhi, poi li puntò in alto, in un posto indefinito - e questo capita spesso, tu sei un caro amico, a te lo confesso: quasi sempre, Lui'. - Poi ribadì in tono perentorio, ma ironico - diciamo pure che non ne azzecco una, va!... O i fogli vengono troppo scagnati, o troppo 'nguacchiati... Il mio forte sono gli errori di grammatica. - Sorrise - Mi volevano dare il premio Nobello sugli errori di stampa, Marittie'... Basta! Dopo ogni lavoro, al posto di rifarlo, accontento il cliente con un paio di chili di pomodori freschi, una spaselluccia di fave, che so, due mazzi di ravanelli... Vedessi, dopo, il lavoro com'e buono!...».
Ridevo di cuore, fino ai singulti. Presi fiato per domandargli cosa aveva offerto al prete quella volta.
"Offerto?" Quello se non lo fermavo si scippava pure le radici da terra. Disse che doveva nutrirsi molto, perché le arrabbiature gli portavano l'insonnia e lo facevano dimagrire giorno per giorno. Intanto la perpetua non fece la spesa per tre mesi... Vedi un « t » che mi costò... Ma che vuoi, caro Mari, io non lascerei mai la tipografia, le sono affezionato. Poi in paese hanno soggezione di me, mi chiamano professore, scienziato, uno mi chiama ministro; è gente ignorante, io almeno ho fatto la prima alimentare tre volte, poi mia madre, disperata, mi mandò a imparare 1'arte da Ciccio 'o solachianiello, che i giorni pari aggiustava le scarpe e quelli dispari faceva i manifesti di morto. Quello sì che era un maestro. Aveva fatto fino alla seconda alimentare senza ripetere neanche un anno».
Mi congedai da Don Antonio perché volevo subito raggiungere Torre del Greco, ma sulla strada del ritorno m'imbattei in una bicocca diroccata e polverosa da dove proveniva uno strano suono. Poi distinsi dei cinguettii di volatili che appurai provenire da una bifora del pianterreno. Ora quei suoni prendevano un timbro melico e divenivano, a mano a mano che m'avvicinavo, più articolati e distinti. Ascoltavo una singolare armonia, qualcosa a mezza strada tra un elegiaco spiritual ed il vocalìo ammaliante delle sirene di Ulisse. I solisti del concerto emettevano poi vagiti d'infante.
Decisi di non approfondire, ma, voltatomi per riguadagnare il volante, mi scontrai con lo sguardo enigmatico d'un bimbo paffuto, ma sudicio. Gli chiesi perché quei volatili emettessero quegli strani suoni.
«Il nonno - disse con un sorriso d'ebete il fanciullo - acceca gli occhi di tutti con uno spillo, così cantano meglio ».
Non ho più saputo se Don Antonio portò a termine quel benedetto libro. A seguito di un'altra visita, infruttuosa, seppi che era andato a vivere a Modena con una figlia maritata.
1970  Luigi Mari