LO
SPORT
Capitolo II
…Ma dove vado senza un soldo! Benché prenda sempre
botte da tutti, m’iscrivo ad una palestra di pugilato. La frequento
con assiduità e non c’è nessuno che porti il destro più preciso di
me sul sacco però, perché sul ring le cose vanno diversamente. Il
primo incontro ho davanti un avversario, che non sta fermo un momento e
picchia come un forsennato. Alla terza ripresa l’arbitro mi
fa:"Vuoi continuare?" Io, che non voglio fare una figuraccia
davanti a tanta gente, rispondo che devo continuare, anche a costo di
non alzarmi più dal letto l’indomani. L’avversario picchia sempre,
il suo pugno è di ferro, io non mi reggo più, ho le gambe di legno,
sto per crollare, sanguino abbondantemente, ecco il gong, la
liberazione.
Mi ritiro, a casa nessuno dice niente; io senza cenare vado a letto. Al
mattino non mi sento di alzare: ho un occhio nero e gonfio, il naso
ammaccato ed un cerotto sull’arcata sopraccigliare destra. Non posso
continuare, ma intanto cinquemila lire ogni quindici giorni mi fanno
comodo; posso comprare sigarette, posso portare in casa qualcosa: non
preoccupatevi, l’accettano! Ritorno in palestra, il maestro mi tiene
in disparte, dice che debbo fare il peso, sto ingrassando a vista d’occhio.
Non è vero: il maestro non vuol farmi combattere: sono troppo fragile
per uno sport così massacrante. Dopo reiterate preghiere decide di
farmi combattere con un forte peso leggero. Io accetto, ma l’alimentazione
è scarsissima ed io arrivo sul ring che già mi piego sulle ginocchia.
Il mio avversario alza la cresta, drizza il bargiglio: ha davanti un
residuo di uomo. In questo sport non c’è umanità, non ci può
essere, è assurdo. Bisogna picchiare, picchiare, finché l’avversario
è a terra. La vista mi si incomincia ad annebbiare, gli occhi sono
gonfi, il naso sanguina. Tra una ripresa e l’altra, seduto nell’angolo,
guardo la gente in sala, che beata si gode lo spettacolo. Il maestro mi
fa ancora:"Dai, l’avversario è fritto. Non ce la fa più!"
Do l’ultimo strattone, mi alzo, sono sull’avversario, finto alla
stomaco di sinistro e gli do un diretto al viso: l’antagonista
barcolla, mi abbasso, sto per dargli un colpo allo stomaco, ma
abbassandomi mi piego sulle ginocchia … E’ finita. Ma il mio
avversario è rimasto in piedi per pura scommessa, statene certi. Un
velo nero ho davanti agli occhi. Mi sento sollevare. Poi un brivido:
sono alla doccia. Frastornato di botte, sento il petto che ansima forte.
Mi accompagnano a casa. Bussano alla porta della mia casa:"Beh,
cosa c’è? Questo signore, che non sente consigli di nessuno, che me
lo portate a fare?" Mi sveglio di soprassalto dal letargo, sento
chiare le parole proferite, voglio morire, ma piango soltanto.
Singhiozzando mi butto sul letto e vi resto fino al mattino. L’indomani
la testa mi duole atrocemente, il petto ansima ancora più forte, ho
febbre altissima. La mamma dice:"Portatelo via. Qui non c’è
niente da fare".
Questo pezzo del 1965 è tratto da "Una Vita
sbagliata"di Franco Penza.
Nel 1961 ai Campionati Nazionali di pugilato allo
stadio Albricci all’Arenaccia debuttò in quella serata il campione d’Europa
Elio Cotena tra i piuma. Il peso welter leggero Franco Penza, h m. 1,81,
peso 63,500, all’angolo Vincenzo Malvone e Michele Sorrentino,combattè
con emozione altissima e non solo, che gli spezzò davvero le gambe. L’avversario
rappresentava la vita, in quel momento dura. E fu sconfitto. Ma non l’avrebbe
mai potuta battere, perché non aveva ancora capitocce è l’esistenza
che prepara mille e mille incontri fuori ring, dove non vi sono
sconfitte se l’orgoglio si è temperato e si è in grado di stilare
altre e diverse liste di valori. (Guido Cafiero) |