Anno III
Aprile-maggio 2003 
n. 4-5

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La compagnia Majkovskji  di Gianfranco Oliviero

con interazione tra gli artisti e il pubblico in platea. Usavamo giochi come il lancio delle mongolfiere quando operavamo all’aperto, l’utilizzazione di tute e calzamaglie aderenti per articolare il corpo degli attori e provocavamo spettatori e maestranze. All’aperto, nei cortili, nelle scuole e negli spazi messi a disposizione, la compagnia Majkovskji interagiva e si mischiava magicamente con il pubblico. Non c’era più chi agiva e chi guardava, ma vi era un unico afflato emotivo.
L’azione teatrale permetteva agli attori d’acquisire padronanza della voce e del corpo. Il mio animo era più forte e deciso, la timidezza giovanile era ampiamente superata e il manifestarmi in pubblico era diventato un vero atto terapeutico e una "iniezione di fiducia".
Un’arte che ha mi permesso di avere ottimi risultati nella vita e all’università, laureandomi a pieni voti. Adesso la nostalgia ed il ricordo di quei giorni entusiasmanti sono di sostegno a vivere la quotidianità della mia malattia.
La compagnia Majkovskji oggi è scomparsa: è sicuro! Lo dico io che sono stato il presidente, ma ancora mi rallegra il ricordo dell’aiuto concreto ricevuto da quel fantastico lavoro e auspico di riprovare quei momenti felici.

 
D
urante i miei brillanti anni dell’università partecipavo allo svolgimento dei lavori di una compagnia teatrale: l’associazione Majkovskji. Essa aveva la sede sociale in Torre del Greco e il teatro di prova nella chiesa luterana di Torre Annunziata, sulla Circumvallazione, di fronte al "quartiere dei poverelli.
Per accedere al palcoscenico ci s’incamminava in un bel viale alberato; a destra si poteva notare
l’abitazione del pastore e, più in là, la scuola

luterana, che si apriva su di un ampio cortile. A sinistra c’era la chiesa e sotto di essa il piccolo teatro. Erano gli anni fulgidi dei teatri nei garages. Utilizzavamo quel cortile per preparare le macchine teatrali, che servivano per la messainscena degli spettacoli.
Gli abiti erano confezionati da Carlo Poggioli, un bravo costumista dell’accademia delle Belle Arti di Napoli.
Iniziai la mia partecipazione lavorando come attore per uno spettacolo dal nome Trygonale. Esso nasceva dal confronto ed integrazione di tre tipi di teatro, quello shakspiriano classico, la commedia dell’arte ed il teatro di sperimentazione. La compagnia tra l’ottanta e l’ottantacinque produsse ancora lo spettacolo per le scuole dal titolo "Il Barone di Munchausen", "Gargantua" e "Pantagruel", e infine, in una veste a me più appropriata di produttore, il "Pierrot Fumista".
Il tipo di rappresentazione che svolgevamo era quello "living"(dal vivo)

Il disagio
mentale
e la società

di Lucio Bonelli

I pensieri di chi ha vissuto la difficoltà psichica nel mondo contemporaneo

Oggi, secondo me, ci sono più persone consapevoli di soffrire per un disturbo mentale. Questo è dovuto anche alla legge 180 che abolendo i manicomi ha reso più sensibili i medici di famiglia nell’individuare queste malattie.
Fatta questa premessa, mi pare di poter scrivere che i mezzi di comunicazione

di massa presentano frequentemente questi sofferenti solo nelle loro occasionali manifestazioni violenti, dovute spesso a depressione del tono dell’umore. Io credo che questo modo di raccontare la malattia mentale non rende appieno gli sforzi che molti pazienti attuano per integrarsi nella società. In sostanza i malati sono le vere vittime di un modo di pensare iniquo, che nonostante i "paroloni" e le buone intenzioni asserite, sono giudicati da più persone ancora con paura e disprezzo, o peggio, addirittura derisi.
Ma questo è solo lo sfogo di un sofferente, si potrebbe dire, liquidando così in poche parole il personale invito ad essere più attenti e sensibili a giudicare gli altri, in particolare coloro che a causa della loro difficoltà psichica vivono in un profondo disagio la loro esistenza sociale. E’ indispensabile a mio avviso che, in un paese democratico come il nostro, il più forte aiuti il debole e che egli riesca a capire il disagio mentale altrui e rendersi conto che non si sceglie di soffrire e d‘ammalarsi, esso è qualcosa che

può capitare a chiunque nella vita, anche improvvisamente nel migliore benessere possibile.
Pertanto, per favore, giudicate i fatti, non le dicerie e le false notizie. Il buon vivere sociale necessita di tolleranza, comprensione ed integrazione. Spero che non dobbiate provare ciò che sentiamo sulla nostra pelle per capirci veramente e qualche volta anche giustificarci.