Anno III
Gennaio-marzo 2003 
n. 1-3

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Signor Freud mi dica: perchè la
g
uerra...?   di Stefania Iele

casa di mia madre rovistavo tra gli oggetti appartenenti al mio passato di figlia di famiglia. I pensieri che vi ho trovato sono stati una piacevole riscoperta che non ho esitato a comunicare ai miei alunni, facendone anche lo spunto per un dibattito.
In sintesi, essi affermano che il vivere civile impone all’uomo il rifiuto psicologico della guerra, poiché essa non ha giustificazione né intellettuale, né affettiva; che bisogna ribellarsi contro di essa perché, oltre a comportare delle degradazioni estetiche, quali la perdita di patrimoni artistici e naturali, è anche portatrice di crudeltà.
Il rifiuto della guerra per gli uomini del nostro mondo dovrebbe essere assoluto o, come dice Freud "costituzionale"; se infatti nel passato essa serviva a scaricare l’aggressività dell’uomo in modo organizzato, oggi è diventata il pretesto per il genocidio, per la soppressione sistematica della specie. La paura dello psichiatra viennese si riferiva soprattutto alla guerra nucleare, ma non bisogna essere degli scienziati per capire che oggi la distruzione dell’essere umano non è legata solo al pericolo atomico. Freud, nonostante fosse ebreo e quindi temesse per la sua gente, si augurava però che nel futuro le schiere dei pacifisti potessero ingrandirsi sempre di più e che le guerre potessero avere fine; dal momento che oggi come allora "tutto ciò che promuove l’evoluzione civile lavora anche contro la guerra".

Ho cercato, soprattutto in questi giorni, di fare appello alla mia esperienza di donna e di insegnante, per rispondere alle domande che tutti ci poniamo di fronte allo spettacolo terribile della guerra.
Non è solo questo conflitto in atto, tra Usa e Iraq, ma lo sono in generale tutti le battaglie del mondo, presenti o passati, a suscitare in noi esseri civili disorientamento e stupore. Ad
aggravare poi la nostra condizione psicologica, c’è anche la spettacolarizzazione della guerra, il Non posso fare altro che condividere

queste speranze, come donna, come insegnante, come madre. fatto cioè che essa sia costantemente sotto i nostri occhi, attraverso la televisione, il che rende difficile la sua pensabilità o anche il solo discuterne.
Nelle famiglie italiane, europee e mi auguro anche statunitensi ed irachene, si assiste al paradosso per cui chi è contro la guerra, lo afferma litigando con i propri parenti o amici di opinione contraria. Ho provato a sottrarmi a queste dispute da dopocena, talvolta riuscendoci, altre volte lasciandomi imbrigliare nei lacci della contesa appassionata e allora ho capito che farsi guidare da un parere autorevole, può servire a rischiarare la confusione in cui viviamo adesso.
Per me che ho scelto la psicologia come seconda (non in ordine di importanza) attività, è di guida l’opinione che Sigmund Freud, il padre della psicoanalisi, espresse sulla guerra in un carteggio tenuto con Albert Einstein nel 1932. Ho trovato questo piccolo libro,occasione della mia laurea, mentre a regalatomi da un amico in

La guerra

La riflessione di un
solista librofilo

Nel nostro secolo la guerra non è un fatto superato. Considerando le atrocità del nazifascismo e i conflitti nel terzo mondo, voluti da governanti assetati di potere, e il superamento dei contrapposti blocchi ideologici delle due ex superpotenze mondiali, si può affermare che oggi rimangono solo le guerre con finalità economiche, che sono ancora più sanguinose e senza sbocchi.
In sostanza voglio affermare un principio: guardando al passato è inconfutabile che la guerra di per sé è sciocca, perché dopo bisogna ricostruire quello che si è distrutto, questo in Paesi che sono già poveri. Quindi, non essendo katanghista, come dice Indro Montanelli, cioè povero di principi democratici, sento di poter affermare che una sola potenza globale è un’irresponsabile minaccia per il bene dell’umanità, che è in tal modo costretta a stare sempre con o contro di essa.
Dividendosi e non cooperando per abolire, in questo nuovo secolo, la fame e la sete nel terzo mondo, gli uomini inseguono il vessillo dell’ingiustizia sociale e della sopraffazione. Diceva lo scrittore-regista Cesare Zavattini, provocatoriamente in suo film, che i poveri sono pazzi. Io affermo che i poveri sono disperati per l’afflizione della fame e per tutte le sue nefaste conseguenze, verificatesi sotto gli occhi distratti dei sempre più pochi ricchi.

La pace

Il pensiero
di un
fanciullo
e di
sua madre

Io credo che il fine ultimo della storia, spesso dimenticato o non compreso dall’uomo, è quello d’insegnare a non commettere gli stessi errori: primo tra tutti la guerra. Essa non ha mai risolto nulla e, anzi, ha sempre e solo portato morte e distruzione. Oggi, anche se le guerre continuano ad esistere, sempre più persone si uniscono in un unico grido di pace. Essa non deve essere un’utopia, un miraggio irraggiungibile, uno sterile augurio, ma l’obiettivo da raggiungere, un sogno da realizzare per vivere bene in comunità e ristabilire un equilibrio tra tutti i popoli.
Anche la Chiesa, durante la funzione liturgica, c’invita alla pace, con una semplice stretta di mano, simboleggiante l’amore, la fratellanza, il rispetto per l’altro, e ci accomuna in catena d’unione.
Un’altro valido insegnamento ci viene dai bambini, che nella loro innocente purezza, cercano di farci capire i nostri sbagli e le loro conseguenze con il loro comportamento
semplice e genuino e con delle risposte chiare e rivelatrici.
Io ho la fortuna di avere un bambino: si chiama Raffaello ed ha otto anni.

Discutendo con lui su ciò che in questi giorni sta avvenendo in Iraq, gli ho chiesto cosa pensasse della guerra e della pace. Con la semplicità che può avere solo un fanciullo, mi ha risposto: <<La guerra è morte, distruzione e serve solo per mietere vittime, mentre la pace è lo spirito che abbraccia tutto il mondo>>.
Allora mi domando: perché, solo per una volta, noi adulti non proviamo ad ascoltarli, a seguire il loro pensiero e a nutrire la loro stessa speranza in un mondo migliore?
I bambini c’inse-gnano che l’unica battaglia giusta che vale la pena combattere è quella contro la guerra. Solo così un giorno, speriamo non troppo lontano, la pace nel mondo potrà essere vincente con un unico grande abbraccio d’amore.
                       Maria Pasqua Di Donna