Anno II
Febbraio 2002 
n. 2

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Miracolo della   fonte
di Raffaele Iovine

L’affresco fa parte del ciclo delle Storie di San Francesco che Giotto affrescò nella chiesa Superiore di San Francesco ad Assisi presumibilmente tra il 1290 e il 1304. L’opera è assegnata al pittore secondo un’antica tradizione e non secondo dati documentali: il primo a ricordare l’attribuzione a Lorenzo Ghiberti nel 1450 circa.
La scena del Miracolo della fonte, pur essendo ideata da Giotto, sembra realizzata almeno in buona parte dalla sua bottega, anche se la critica concorda a giudicare autografa la figura dell’uomo assetato. In seguito ad alcuni esami è stato notato che i colori in certe zone non hanno aderito bene all’intonaco, forse perché l’affresco si trova vicino alla porta d’ingresso.



"Miracolo della Fonte

(affresco cm 270 x 300) Giotto 1290/1304 - Basilica Superiore Di San Francesco in Assisi"

Specchi rotti e lanterne magiche
di Raffaele Iovine
La  Divina  Commedia
Un modo veramente originale e diverso di utilizzare il tema della follia per raccontare la normalità è rappresentato dal film portoghese
La Divina Commedia del 1991



come scelte di vita ugualmente legittime (la santa e l’assassino). Dall’estrema coerenza di ciascun personaggio, ciascuno senza ombra di dubbio sulle sue convinzioni, vien fuori la patologia della normalità.
E’un confronto tra verità assolute che non trova soluzione. L’elemento di mediazione tra tutte queste verità, il direttore, infatti, improvvisamente si impicca. O forse il regista prende in giro il fruitore, con un falso direttore, che potrebbe essere un altro ricoverato.
E’in definitiva il disagio dell’uomo, nella precarietà della sua esistenza, ad essere raccontato attraverso la lente d’ingrandimento della malattia mentale.

Molto bunueliano, questo film narra le vicende di un gruppo di persone che vivono in una "casa de alienados ". Sembra una "pièce" teatrale, con i suoi personaggi dalle passioni esasperate, che utilizza la follia per raccontare la normalità.
All’interno della casa di cura ciascun malato impersona con convinzione un tipo umano: ci sono Adamo ed Eva (che dopo il peccato originale decide di diventare santa Teresa per purificarsi); c’è Gesù, con le sue parabole; c’è il profeta, autore di un fantomatico quinto vangelo; c’è il filosofo (Nietzsche) in eterna combutta con il profeta; c’è l’artista, che delizia la comunità con continue sonate al pianoforte; c’è Lazzaro, che però non è ancora morto e si porta sempre dietro una bara, quasi volendo anticipare la morte per poi nascere a nuova vita; c’è la prostituta dall’animo sensibile; c’è l’assassino, ci sono Ivan ed Alioscia

Karamazov e altri ancora. Ma c’è sopratutto il direttore della casa di cura, più strampalato che mai, che segue con meticolosa attenzione tutto quanto avviene in essa, con un’aria oltremodo svagata. Sembra il depositario di una verità tutta intera, rispetto a tutte quelle verità frazionate, di cui sono portatori i ricoverati. Tra una pantomima e l’altra (dalla tentazione del serpente all’ultima cena o alla resurrezione di Lazzaro) la comunità si anima intorno a dibattiti cruciali nella storia dell’umanità: l’esistenza di Dio (la fede è un collante tra gli internati, tranne che per qualche figura di rottura, come il filosofo, l’assassino, Ivan Karamazov); la natura dell’uomo, tra spiritualità e ragione, tra rispetto della donna e sua mera riduzione ad oggetto, tra tolleranza e comprensione degli umili e superuominismo; l’arte, come lode a Dio o espressione dell’uomo delle sue capacità; il bene ed il male,