Miracolo della
fonte
di Raffaele Iovine
L’affresco
fa parte del ciclo delle Storie di San Francesco che Giotto
affrescò nella chiesa Superiore di San Francesco ad Assisi
presumibilmente tra il 1290 e il 1304. L’opera è assegnata al
pittore secondo un’antica tradizione e non secondo dati
documentali: il primo a ricordare l’attribuzione a Lorenzo
Ghiberti nel 1450 circa.
La scena del Miracolo della fonte, pur essendo ideata da Giotto,
sembra realizzata almeno in buona parte dalla sua bottega, anche
se la critica concorda a giudicare autografa la figura dell’uomo
assetato. In seguito ad alcuni esami è stato notato che i
colori in certe zone non hanno aderito bene all’intonaco,
forse perché l’affresco si trova vicino alla porta d’ingresso. |

"Miracolo della Fonte
(affresco
cm 270 x 300) Giotto 1290/1304 - Basilica Superiore Di San
Francesco in Assisi" |
Specchi
rotti e lanterne magiche
di Raffaele Iovine
La
Divina Commedia
Un
modo veramente originale e diverso di utilizzare il
tema della follia per raccontare la normalità è
rappresentato dal film portoghese
La Divina Commedia del 1991
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come scelte di vita ugualmente
legittime (la santa e l’assassino). Dall’estrema coerenza di
ciascun personaggio, ciascuno
senza ombra di dubbio sulle sue convinzioni, vien fuori la
patologia della normalità.
E’un confronto tra verità assolute che non trova soluzione. L’elemento
di mediazione tra tutte queste verità, il direttore, infatti,
improvvisamente si impicca. O forse il regista prende in giro il
fruitore, con un falso direttore, che potrebbe essere un altro
ricoverato.
E’in definitiva il disagio dell’uomo, nella precarietà
della sua esistenza, ad essere raccontato attraverso la lente d’ingrandimento
della malattia mentale. |
Molto
bunueliano, questo film narra le vicende di un gruppo di persone
che vivono in una "casa de alienados ". Sembra una
"pièce" teatrale, con i suoi personaggi dalle
passioni esasperate, che utilizza la follia per raccontare la
normalità.
All’interno della casa di cura ciascun malato impersona con
convinzione un tipo umano: ci sono Adamo ed Eva (che dopo il
peccato originale decide di diventare santa Teresa per
purificarsi); c’è Gesù, con le sue parabole; c’è il
profeta, autore di un fantomatico quinto vangelo; c’è il
filosofo (Nietzsche) in eterna combutta con il profeta; c’è l’artista,
che delizia la comunità con continue sonate al pianoforte; c’è
Lazzaro, che però non è ancora morto e si porta sempre dietro
una bara, quasi volendo anticipare la morte per poi nascere a
nuova vita; c’è la prostituta dall’animo sensibile; c’è
l’assassino, ci sono Ivan ed Alioscia |
Karamazov
e altri ancora. Ma c’è sopratutto il direttore della casa di
cura, più strampalato che mai, che segue con meticolosa
attenzione tutto quanto avviene in essa, con un’aria oltremodo
svagata. Sembra il depositario di una verità tutta intera,
rispetto a tutte quelle verità frazionate, di cui sono
portatori i ricoverati. Tra una pantomima e l’altra (dalla
tentazione del serpente all’ultima cena o alla resurrezione di
Lazzaro) la comunità si anima intorno a dibattiti cruciali
nella storia dell’umanità: l’esistenza di Dio (la fede è
un collante tra gli internati, tranne che per qualche figura di
rottura, come il filosofo, l’assassino, Ivan Karamazov); la
natura dell’uomo, tra spiritualità e ragione, tra rispetto
della donna e sua mera riduzione ad oggetto, tra tolleranza e
comprensione degli umili e superuominismo; l’arte, come lode a
Dio o espressione dell’uomo delle sue capacità; il bene ed il
male, |
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