Anno II
Febbraio 2002 
n. 2

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La
storia
di
Portici

 
di Maria Scognamiglio

Il Museo Ferroviario
di
Pietrarsa
di lucio Bonelli


Locomotiva Bayard e convoglio al completo.
Il treno inaugurale della Napoli-Portici,
esposto al museo di Pietrarsa è una ricostruzione del 1939

Nella prima metà dell’800 il Regno delle Due Sicilie era dipendente dal predominio industriale e tecnico straniero, in special modo con quello dell’Inghilterra. In questa nazione la scoperta della macchina a vapore aveva portato alla nascita della prima ferrovia nel 1804.
Quando nel 1839 Federico II di Borbone volle costruire la prima strada ferrata in suolo italiano, la Napoli - Portici, per raggiungere questa amena cittadina, Portici, sede lo ricordiamo di una Reggia. La locomotiva che trainava il piccolo convoglio, chiamato "Vesuviana", fu montata a Napoli con pezzi costruiti e progettati in Inghilterra. Nel 1842 il sovrano sentì l’esigenza di costruire un’industria per la costruzione di locomotive e, quindi, non dipendere più da officine straniere. L’area individuata per tale costruzione fu quella denominata Pietrarsa, in località Portici nella zona di confine con Napoli. L’opificio gli sopravvivrà per la qualità e preparazione tecnica degli addetti. Ora facciamo un salto negli anni ed arriviamo al 1975, quando le locomotive a vapore furono soppiantate da quelle elettriche, il che costrinse alla chiusura delle Officine Grandi Riparazioni di Pietrarsa. In seguito e siamo già nel 1989 le Ferrovie dello Stato avvertirono l’esigenza di un Museo ferroviario non per le
cose che andranno a mettere, ma, forse, per il primato che aveva nel mondo la struttura dell’opificio voluto da Federico II. L’area museale ferroviaria è stata allestita in modo simile a come apparivano le Officine al tempo dei Borboni, conservando al suo interno bellissime locomotive d’epoca, carrozze piene di fascino come quelle regali e presidenziali, assieme a divise di ferrovieri, plastici in scala, attrezzi e strumenti di lavoro. Bisogna aggiungere che per le sue dimensioni e per il numero di locomotive a vapore e vagoni esposti è uno dei musei ferroviari, più importanti nel mondo.
Quello sito a Portici è un Museo Nazionale Ferroviario che guarda al passato, ma anche nella prospettiva all’avvenire migliore delle Ferrovie e dei ferrovieri. Al suo interno sono state organizzate delle belle serate di sfilate di moda e riprese televisive, con una vasta eco e partecipazione di pubblico, contribuendo ad una maggiore diffusione della cultura e dell’informazione del mondo ferroviario. L’accesso al Museo è favorito da una stazione d’epoca, che si trova vicino all’ingresso e si può venire a visitarlo anche in treno.
Consideriamo il fascino di questo museo legato al viaggiare in treno con le conversazioni e le presunte conquiste di belle viaggiatrici. In conclusione quello che si capisce, dopo la visita al museo, è che il successo per le ferrovie si misura con la sicurezza, la velocità ed il conforto che esse sanno offrire al viaggiatore che le frequenta.

Le origini di Portici risalgono ai tempi dei romani, come confermato da numerosi ritrovamenti archeologici dell’epoca. Secondo alcuni autori il suo nome deriverebbe dai portici del foro dell’antica Ercolano. Secondo altri la città sarebbe sorta intorno alla villa di Quinto Ponzio Aquila un nobile romano avente come simbolo del casato un’aquila che reca sotto gli artigli le sue iniziali Q.P.A., attuale raffigurazione dello stemma comunale. Portici prima "Tenuta" e poi "Capitania" dal 1454, divenne poi feudo nel 1638. L’epoca feudale fu, per alcuni periodi, assai buia per i porticesi, come durante la crudele dominazione dei fratelli Troie, ai quali la famiglia Carafa concesse in fitto i feudi vesuviani dal 1671 al 1674. Il 15 dicembre del 1631, ci fu una terribile eruzione del Vesuvio; la terra tremò e nel cielo si profilò una strana nube, che presto crebbe a dismisura, tramutandosi in una colonna di fumo, dal cratere partirono fulmini di fuoco. Il giorno 17 ci fu un tremendo terremoto, che distrusse case, strade, il cono del
Vesuvio si spezzò, seminando disperazione e morte: quattromila uomini, seimila animali e quarantamila senzatetto.
Dopo la sciagura il viceré incaricò Padre Orso, lo studioso che dimorava nella casa dei gesuiti, l’attuale scuola media M. Melloni, di scrivere in latino due lapidi di marmo che ricordassero la sciagura e che fossero di monito per i posteri a non sottovalutare il Vesuvio. La prima fu murata tra Torre del Greco e Torre Annunziata e la seconda a Portici, prima di fronte all’attuale via Giordano e poi vicino al palazzo Ruffo di Bagnara, sito ad angolo tra Corso Garibaldi e Via E. Gianturco.
Nel 1696 torresi, resinesi e poi porticesi nel 1698 reclamarono il diritto di prelazione del feudo, messo in vendita dal viceré, acquistandolo poi nel 1699, per 106.000 ducati e liberandosi dalle baronie feudali.
Iniziò così un periodo aureo di Portici, libera ed autonoma, e quando nel 1738 Carlo III° di Borbone, innamorato dalle bellezze del posto, decise di costruirvi la sua dimora estiva ci fu un progressivo edificare di bei palazzi e sontuose ville intorno alla Reggia, da parte dell’aristocrazia napoletana, dando vita al fenomeno architettonico noto come "Ville Vesuviane del Miglio d’Oro". Il 1839 Ferdinando II di Borbone inaugurò la famosa prima ferrovia italiana la Napoli -Portici. Oggi la città, 8 km a SUD-EST di Napoli, con 64.200 abitanti su 4,52 km2, nonostante possa essere considerata da alcuni un affollato quartiere industriale e residenziale del capoluogo, dopo tanta storia va avanti nel suo splendore, di città economicamente benestante e signorile, ricca di negozi d’abbigliamento e di alta Moda e di tanti altri esercizi pubblici che la rendono ancora più importante.



   Sbarco di Pio IX al molo borbonico del Granatello, Napoli,

                         Museo di San Martino, P. Matej