Specchi
rotti
e lanterne magiche
Il mondo della follia
al cinema ed in televisione |
Allegoria
alla pace |
di
Westfalia |

Allegoria
della pace di Westfalia
(olio su tela cm 225 x 162) - Museo Nazionale di Versailles
(Francia) - Laurent de La Hyre - 1648
Laurent
de La Hyre, nacque a Parigi il 27 febbraio 1606 e ivi morì nel
dicembre del 1665. Figlio d’arte si perfezionò a Fontainebleau,
dove sono i migliori esempi della pittura manieristica italiana in
Francia. Autore di molte opere eseguì ben due dipinti per
Notre-Dame: "San Pietro guarisce i malati con la virtù della
sua ombra" (1635) e "La Conversione di San Paolo"
(1637). Ottenne anche dal cardinale Richelieu la commissione per
la decorazione della Sala della Guardia nel Palazzo Reale. Nell’attività
tarda mostrò interessi per i temi classici, come si può vedere
in "Mercurio affida Bacco alle ninfee", conservato all’Ermitage
di San Pietroburgo.
Nell’Allegoria alla pace di Westfalia la composizione è
occupata da un gruppo di figure allegoriche, collocate sotto un’architettura
classica. In piedi, a sinistra, è la Vittoria intenta a porre una
corona intrecciata con foglie di ulivo (simbolo della pace) sul
capo della Francia, seduta al centro con una palma in mano e una
sfera celeste con i gigli, simbolo araldico della Casa Reale. Un
bambino con un ramoscello di ulivo in mano è intento a bruciare
le armi ormai inutili grazie alla pace raggiunta. Il dipinto fu
commissionato a La Hyre per celebrare il successo del trattato di
Westfalia.
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Molto
spesso i media riportano con dovizia di particolari, nelle pagine
di cronaca e nei notiziari, casi di raptus omicida senza
opportunamente sottolineare che, in molti casi, le condizioni di
vita delle persone, colpite da raptus, sono di assoluta
normalità: è il padre o il marito esemplare che, al ritorno a
casa, compie un massacro.
E’ la "normalità della follia" che entra in scena:
pericoloso non è quasi mai l’ex-manicomiale, per lo più
completamente alienato dall’istituzionalizzazione prolungata;
né sempre lo sono i malati di mente, in cura presso strutture o
terapeuti, ma può essere pericolosa anche la persona normale, con
la sua vita piatta, banale, rituale oppure frenetica, in combutta
con il tempo, senza qualità.
E, ancora, possono rivelarsi "socialmente pericolosi"
individui affetti da patologie psichiatriche lievi che sfuggono ad
un controllo terapeutico costante.
Ci riferiamo qui ai film Bianca (1983) o ad Un giorno di ordinaria
follia (1993), film di qualità che si accostano al tema della
malattia mentale, con una prospettiva più corretta di
"normalità della follia" o di "follia del
quotidiano".
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Nel primo film, Bianca, il protagonista sembra
affetto da disturbo ossessivo - compulsivo (DOC) e solo nel
finale, quando risulta evidente la sua responsabilità omicida,
ossessioni e compulsioni si rivelano sintomi all’interno di un
quadro sindromico paranoideo.

Bianca
Vita piatta e monotona di un professore di
scuola, con le sue abitudini e i suoi piccoli rituali quotidiani.
L’insistenza del regista su alcune ossessioni del protagonista,
come la passione per le scarpe (il professore ne ha tante e tutte
uguali), considerate come assolute rivelatrici della personalità
del proprietario, oppure l’interesse smodato per le relazioni
sentimentali degli amici, tutti registrati all’interno di un
vero e proprio schedario, offre qua e là al fruitore qualche
traccia della follia del professore. Follia omicida come si
scoprirà alla fine del film. Scrupoloso osservatore degli altri,
forse un po’ come lo sono i bambini, attento ai rapporti ed agli
equilibri che di volta in volta si creano e si disfano, il
professore, proprio come un bambino che è intimamente turbato
dalla separazione dei genitori, non riesce a comprendere e a
sopportare lo sciogliersi delle unioni. Per ogni coppia che si
sfascia, è la sua stabilità, è il suo strano equilibrio di
voyer, di spettatore della vita, incapace di viverne una propria,
anche quando gliene capiterà l’occasione, ad essere messo in
gioco. Allora lui, uomo tranquillo, "normale", "si
deve difendere" ed uccide.
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