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Ritirata distruttrice.
Il Corso è bloccato
e il camion si riempie
per la deportazione
nelle fabbriche tedesche.
Uomini fuggono sulla scogliera
a nascondersi nella grotta dello scarillo
e sotto gli scogli frangiflutti
accompagnati da sguardi terrorizzati
dalle persiane socchiuse
di amici e parenti.
Capri è libera e lontana
la menaide a sei remi
prende il largo dalla spiaggia di Cavino
inseguita da raffiche di mitra
dalla punta del porto.
Di notte il gutturale vocio
delle rappresaglie
e Ciccio, quattordicenne prestante
già ex avanguardista
nascosto nell’armadio.
Le pistole di Papà
sotterrate in cantina.
Ritirata distruttrice
peggiore della bomba imprevista
per l’impotenza di modificare
il verdetto di annientamento.
Disperatamente si piange,
inascoltate preghiere,
per l’ineluttabile condanna.
La soldatesca a minare
le paranze nel porto.
tra il pianto e le grida
delle donne dei pescatori.
Dopo l’esplosione il pianto
ora sommesso
ed il segno di Croce
al lento inabissarsi della barca
come alla sepoltura di persona cara.
La paranza percorre il corso
su falanghe di legno
‘nzivate
fino alla Scarpetta per il varo
tra la curiosità festante
dai balconi e usci di botteghe
e la lunga fila di uomini
alle corde dei paranchi
e chini sulle varre
del vuocio
al ritmato comando
delle cadenzanti strofe
cantilena antifonaria
nel lascivo responsorio
tra il masto e la squadra.
L’ultimo puntello salta
deciso colpo della mazza di ferro
e lentamente e poi veloce,
nello scampanio di Portosalvo
trepida e muta attesa sugli scogli,
ora libera scivola la paranza
sullo scalo ‘nzivato
verso il salto dalla scarpetta.
La poppa s’inclina ed apre il mare
l’urto come un pugno
tra due alti baffi bianchi
e la prua pacata la segue
saltando giù dalla scarpetta
nel tonfo finale
e il placido dondolio
nell’onda di riflesso
tra grida e applausi liberatòri
concerto di campane, tofe e sirene
e vermut e pastarelle.
Adagiata sul fianco
semisepolta
nell’acqua bassa del porto
la nave di ferro.
Il mulino di Papà salta per primo
e l’incendio arrossa la notte.
Corriamo dal viadotto della ferrovia
sovrastante i cantieri nel porto
al ponte di Cavino,
incoscientemente attratti
da scenari di distruzione,
per vederli saltare.
Rotaie contorte
volano fin Sopra la Ripa.
*** 17 ***
Ansie e speranze.
Bisogna allontanarsi dalla riva
e le batterie sul Vesuvio
cercano bersagli inesistenti.
Andiamo da Antonietta
Mamma ed io
piegati nella corsa in salita
dal sibilante urlo dei proiettili
inutili e vili tiri sulle case,
crollo di muri e balconi,
l’abbraccio di Mamma mi copre,
e squarcio sulla facciata
del palazzo in San Michele
dove cercavamo rifugio.
La via per il nord
è percorsa da panzer
e camion militari.
Si ritirano.
In un rifugio cantina di via Roma
trascorriamo la notte dell’attesa
stretti come fascine abbracciate
nell’ansia del dubbio
tra pensieri di morte e di vita.
Lo sconforto ci assale
allo sferragliare di cingolati
tra pianti sommessi e preghiere
diretti al sud.
Il silenzio dalla strada
arriva fino a noi
tesi ad ogni suono
amico o nemico.
La lunga notte sta per finire
ed ancora il pauroso sferragliare.
Dalle fessure del portone
sprangato dalla paura
vanno a nord.
Lunga l’attesa dell’alba
nel timore di segni nemici
e suoni di guerra.
A gruppi usciamo
cauti e timorosi
guardinghi e solleciti
per tornare a casa.
Ci accoglie il silenzio
delle strade deserte.
Lentamente scorre il tempo
nell’attesa dell’evento desiderato,
nel timore di non essere alla fine.
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01 ottobre.
La V Armata Alleata,
Inglesi, Americani
con
Canadesi,
Marocchini, Indiani
ecc. arrivano
a Torre del Greco.
Il sole già alto di una giornata
fresca come di primavera,
tenera per la passata angoscia.
Lentamente avanza
un enorme carrarmato
e soldati dal passo cauto
stretti ai muri delle case.
Un motociclista su e giù per la strada
ordina, sul marciapiede.
Timore ed esitazione scomparsi
scendiamo in strada
a vedere la fiumana ininterrotta
di tanks e dodge e jeep
e di sorridenti soldati
tra la gioia della gente
sotto una pioggia di fiori
sigarette, biscuits e chewingum.
Giorni e giorni l’eccitante fiumana
ininterrotta scivola verso nord
e noi consumiamo la felice novità
tornati sulla loggia
su e giù dal Corso
alla piazza della Parrocchia
tra i quattro verdi chioschi a pagoda
antiche e familiari sentinelle,
come a festa insperata
e a lungo attesa.
Alla vista di tanta potenza
ci chiediamo increduli
perché non prima.
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Gioia di sconfitta
liberatrice.
Giorni di esaltanti scoperte
di pane bianco a cassetta
e corned beef
saponette lifeboy e chewing-gum rosa,
tavolette di cioccolato hershey
polvere di pisello e proteine
sigarette bionde inglesi
e profumate americane.
Sulla stretta salita di via Piscopia
rallentano i camion,
il currentista, scarpette di gomma,
sbuca dal vicolo, insegue e salta
nel dodge della cuccagna
scarica casse sacchi
e neri addormentati.
Nuove scritte sui muri
offlimit, beach evac
e nuove espressioni rimasticate
fagoff,
salemebec
e segnorine fich fich
per accompagnare militari
di tanti colori e razze
per qualche sigaretta.
Militari ubriachi
in cerca di segnorine
molestano ragazze del quartiere
e risse epiche, come al cinema.
Nuvole di DDT spruzzate
nei capelli e sotto gli abiti.
L’uomo morente di tifo petecchiale
dietro un portone
e l’attesa curiosa e guardinga
di gente intorno.
Il carro nero dai barocchi decori
a cassetta 'ntustato
il cocchiere
con tuba e sciammeria,
pariglie di cavalli 'mpennacchiati,
accompagnato da bianchi mamuoci
patibolari visioni
avanti il calessino col prete,
avanza lentamente nel Corso.
In fretta finestre e gelosie
e portoni di case e negozi
accostati per rispetto
allo scalpiccio dei cavalli
nel silenzio del mesto corteo
tacitamente immobili nel saluto
usciti nella strada ora
nella interrotta attività
e curiosità dietro ai balconi
accalcati a senghe di finestre
tra funerei rintocchi in
sequenza
dalla Cappella e poi
da San Giuseppe alle Paludi.
Ora il corteo si smembra
lungo la solitaria estrema viarella
a prendere fiori e lumini
per l’imprevista occasione
di un saluto ai cari defunti.
Caldi maglioni con lana di calzini americani
ritinta scura a mascherare
la militare provenienza.
La M.P. e le
Coppole Rosse
sempre più spesso
fanno il vuoto in Piazza
con lunghi manganelli
all’ennesimo assalto al dodge.
Sulla spiaggia di Cavino
avvolto nel bianco sudario
sulla catasta alta di legna
brucia il corpo dell’indiano
tra la folla accorsa allo spettacolo
sugli scogli
ed il terrapieno alto della ferrovia
come in una arena.
Per la strada concertini e sceneggiate
di comici e femmenielli
ricche di oscenità
spettacoli inconsueti
in un passato per bene.
Le giostre allo slargo di Cavino
con la donna ragno, il tirassegno,
le gabbie rotanti,
le caravane di quelli del circo,
profumi di rosse zuppe
di cozze e maruzze,
di rusacarielli e
panzarotti
tra i miasmi dell’acetilene
dalle fioche lampade sulle bancarelle.
Melodie di antiche voci,
melismatiche note
millenaria mescolanza
di canti e suoni
di razze e popoli mediterranei
giunti da sponde lontane
pacifici e invasori.
Scorrerie di saraceni
tra lugubri ululi di tofe
e tammorre rintronanti
ruderi a memoria
le torri di avvistamento.
Lontane nenie
come pianto sommesso
dal festoso fragore del Corso
solitarie calano sulla loggia
giù dall’asteco grande
nel sereno silenzio
del buio serale fissando
il lento scivolare della lampara
lucciola silenziosa
riuniti al chiarore lunare
ed alla brezza marina.
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Dopo il sogno,
la dura realtà.
Mercato nero
della ricchezza americana
e di vitali alimenti dalla campagne.
Treni stracolmi
corpi appiattiti
sul tetto delle carrozze
tornano dalle campagne del sud
anche i figli di zia Lena
con olio carne e farina.
Il lugubre acuto fischio
la frenata abusiva fuori stazione
tra lo stridio e lo scintillio sulle rotaie.
ad evitare le guardie
e la fuga tra i binari
scavalcando cancellate dalle punte aguzze
Centinaia di morti
soffocati dal fumo nero
della locomotiva
groviglio di corpi
calpestati dal panico
nel buio della galleria
di Battipaglia.
Salgono alla Piazza, ora mercato
di sigarette sciolte e di refurtiva,
in cerca di lavoro, avidi di notizie
uomini di mare a spasso
e scendono mesti, a capo chino,
rimuginando quale futuro.
Ancora treni pieni di militari
e in tanti dalla cancellata a gridare
alo’ biscuit, sigarett
per un raccolto sempre più gramo.
Si scava nelle cantine
e nei pozzi interrati
recuperando scarti ora preziosi
di madreperla e corallo di Sciacca
che il tracollo del prezzo
costrinse i nonni dei nonni
al necessario sacrificio.
Le discariche dei laboratori
pazientemente rivoltate
per colmare il barattolo
scambiato con l’ambita
scatoletta di corned beef.
La corrente elettrica ritorna
con annunci festosi dalla strada
‘a luce, ‘a luce,
mentre sfoglio contro la vetrata
all’ultimo barlume pomeridiano
la collezione di Topolino dei miei fratelli
con autarchici eroi
Ciuffettino di Vamba e Fulmine.
Finalmente ascoltiamo la radio.
Una mattina d’estate
quando il sole invade il corso
da levante alla discesa del Fronte
un uomo scalzo, alto e ossuto
il vastaso dalla coccia lucida
cerca la casa di don Peppino il rosso
una culunnetta di radica a spalla
è la nostra radio.
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