La Storia di Torre del Greco
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1780
Porta di Capo Torre. "Vue du borg de Torre del Greco situè su pied du Vesuve", incisione del francese Saint-Non del 1780 circa. Si vedono al centro la Strada Regia proveniente da Napoli che immette nella porta di Capo Torre sormontata da una lapide marmorea; a sinistra la cappella della Madonna del Principio di sopra; a destra, fra gli alberi, il convento degli zoccolanti con la Chiesa della Madonna delle Grazie e la cupola della Chiesa della Concezione. La Porta, restaurata del De Bottis nel 1786 circa, andò distrutta, insieme alla cappella nell'eruzione del 1794.

IL  SETTECENTO. 
IL VICEREGNO AUSTRIACO 
E IL REGNO INDIPENDENTE
CON I BORBONI DI SPAGNA.
PROSPERA  A  TORRE SEMPRE  PIU'  
LA  PESCA DEL CORALLO,
NONOSTANTE  IL PERICOLO  
DEI  FEROCI BARBARESCHI.
L'ERUZIONE  DEL  1794
DISTRUGGE LA CITTA' 
CHE RISORGE  ANCORA.

Morto Carlo II d'Asburgo senza figli nel 1700, il Regno di Spagna e i Viceregni di Napoli e di Sicilia passavano per testamento a Filippo di Borbone, nipote del re di Francia Luigi XIV, che si insediò a Madrid col nome di Filippo V. Ne seguì per protesta una guerra di Successione fra Spagna-Francia e Austria-Inghilterra nel corso della quale Napoli, nel 1707 era occupata dagli Austriaci. Alla fine, nel 1714, Filippo rimaneva re di Spagna e l'Austria, con l'Imperatore Carlo Vi d'Asburgo, teneva per se l'Italia meridionale ed otteneva successivamente la Sicilia, che diventavano due suoi viceregni, governati da un'altra serie di viceré inviati da Vienna. Una nuova guerra internazionale scoppiò nel 1733 per la successione polacca, combattuta tra Spagna, Francia e Austria: La Spagna riconquistava l'Italia meridionale e la Sicilia per opera dell'Infante Carlo. Questi nel 1734 e 1735 col nome di Carlo VII di Borbone diventava sovrano dei nuovi Regni indipendenti di Napoli e di Sicilia. Tale Re si faceva costruire nel 1740 la Reggia di Portici per le sue divagazioni e le raccolte di opere d'arte che si venivano recuperando con lo scavo dell'antica Ercolano; molti nobili e cortigiani lo imitarono e così la Strada Regia fra Napoli e Torre del Greco si arricchì di fastose ville di delizie in stile barocco e rococò.
Dopo il suo passaggio al Trono di Spagna (col nome di Carlo III) nel 1759 gli succedeva il figlio Ferdinando IV e terzo come re di Sicilia. In tale periodo il territorio di Torre del greco lussureggiante confinava con Torre Annunziata e Trecase, con Resina, il Vesuvio e il mare. Il centro cittadino era compreso fra la Porta di Capo La Torre verso Napoli e la barra del Purgatorio a Sud, fra Via Piscopio e il mare diviso nei tradizionali cinque quartieri, possedendo il forno di mare per il pane, la calcara, la fontana pubblica, i lavatoi comuni fatti costruire dal De Bottis, la dogana della farina, il mulino, il Castello, l'ospedale. dipendenza degli Incurabili di Napoli. Ebbe altre otto Chiese, fra cui quella dell'Immacolata Concezione.
Come baroni, rappresentanti delle tre Università si succedettero ancora Giovanni Langella fino al 1707, e successivamente i suoi parenti più stretti, tutti con lo stesso cognome: Domenico (1707-1715), Bartolomeo (1715-1737), Salvatore (1789-1797) Gaetano (1797-1806.
Al governo presiedettero dal 1700, in lunga serie, ancora il Governatore, annuale a cominciare da don

Nicola d'Amico, i cinque eletti del popolo, pure annuali, e i deputati, triennali, che dal 1748 da 12 divennero 30 e dal 1771 cinquanta (1). Gli introiti erano costituiti da varie gabelle, come quelle della farina, del vino, del gioco, dell'occupazione del suolo pubblico, della pesca, ecc.
L'Università pagava poi il Governatore e i soldati della sua corte, il parroco di S, Croce, i predicatori della quaresima e dell'Avvento, i guardiani delle torri antibarbaresche, il fontanaro per la pulizia della fontana, il pubblico banditore, i medici per gli ammalati poveri, il maestro di scuola, le feste... La popolazione s’accrebbe fino a raggiungere i 9.000 abitanti nel 1743, gli 11.000 nel 1761; i 17,000 nel 1794; continuarono a prosperare, come nel passato, le varie arti e mestieri soprattutto la pesca del corallo, (2). Di più arrischiandosi, affrontando i pericoli dei feroci corsari barbareschi, bene armati e pronti alla guerriglia, i nostri marinai si spinsero, nella seconda metà del secolo, alle coste settentrionali dell'Africa per pescare il prezioso prodotto; e ogni anno, dalla primavera all’autunno partivano seicento barche grandi e alte con più di quattromila uomini.
Il corallo greggio da Torre veniva portato poi, fra i rischi di un nuovo viaggio, a Livorno, a Genova e a Marsig1ia dove esisteva una florida lavorazione artigianale del prodotto. A Livorno il commercio era quasi del tutto in mano ad ebrei che, nell’acquistare, sottoponevano i padroni delle coralline ad ogni sorta di angherie. Nel piano di incremento economico del Regno Ferdinando IV dopo aver fondato industrie di seta panni fini, ceramiche porcellane, armi volle incoraggiare la pesca del corallo di Torre città chiamata da lui la Spugna d'oro del regno per l’ingente guadagno che ricavava. Al posto di picccole associazioni, e di una successiva Società più grande sempre deboli e mosse da interesse privato il suo governo creò nel 1790 la ”Reale Compagnia del corallo” con capitale 600.000 ducati diviso in 1200 azieni da 500 ducati ciascuna. Tutti i Torresi, in teoria, potevano diventare comproprietari di tale Compagnia. Un apposito Codice detto ”Corallino”, opera del giurista Michele de Iorio, con un insieme di leggi e ordinamenti regolava la partenza, il ritorno, la pesca,la vendita del corallo, le vertenze giudiziarie, il lavoro dei magistrati e dei custodi.
La ”Compagnia” ebbe bandiera propria: sopra uno scudo azzurro una torre fra due rami di corallo, e in cima tre gigli borbonici d’oro. Però, mentre la Società precedente era stata prospera perché libera e spinta dallo zelo del guadagno dei singoli, la ”Compagnia” fece decadere la ricchezza perché agiva per il guadagno comune. La pesca continuò ma come dice il Colletta nella sua ”Storia del Reame di Napoli dal 1734 al 1825”con sfortuna...(3).


1) V. Di Donna: L'Università pag. 155-167 e 194-205. 2) Castaldi, op. cit. pag. 141-152; V. Di Donna: L'Università pag, 190-207.
3) Colletta: op. cit. vol. I libro II, capo II, par XVI; Castaldi, op. cit. pag. 168.