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nelle ripetute attese delle scoppole in testa, del "padrone", che a quei tempi si concedeva diverse angherie. Sappiamo bene come il mercimonio operaio riprese nell’immediato secondo dopoguerra. Lavoro intenso e paghe da fame. L’ultima volta che vidi Don Pietro fu quando mi fece visita nella bottega di via Purgatorio nell’ottobre del 75. Era radioso. Aveva riscattato la sua dignità di lavoratore sotto l’egida dei sindacati e aveva finalmente maritato tutte e otto le figlie femmine. Si rammaricava solo che a nessuna di esse era toccato in sorte un marito tipografo. «Il vecchio padrone - mi disse quella volta - era un vero tiranno». Pochi diritti erano tollerati. La rivoluzione sociale del 1831 aveva perso, con le guerre, il suo mordente. Nessun Marx poteva garantire la scodella di minestra per un nucleo di dieci bocche. Né venivano riconosciuti i diritti conquistati a cavallo del secolo da movimenti come quelli di Metello di Pratolini. La parola d’ordine era: là sta ’a porta! "Ma oggi... povero padrone. Quello mio, attuale, non fa altro che piangere miseria. Veste dimesso, lesina sugli acquisti.

E’ annichilato dai sindacati. E’ capace di ingerire il danaro che incassa se lo sguardo bieco o sornione di un dipendente gli piomba addosso. Povero padrone; la sua dichiarazione dei redditi è sempre inferiore a quella del suo garzone. Immagina che, spesso, (per non vendere uno dei suoi quaranta appartamenti di Napoli o qualche acro di terreno di Afragola) chiede in prestito a noi dipendenti, ora i soldi per le sigarette, ora la mancia per il cartaio... Il Natale scorso - concluse Don Pietro - cadde in un tale depressione che noi dipendenti pensammo di risollevarlo regalandogli un panettone con la bottiglia e la pazziella per la befana al suo unico figlio. Sai lo facemmo spontaneamente. Non siamo mica padroni, noi!». 
La stampa, che per trecento anni aveva essenzialmente asservito il libro, raggiungeva la sua totale affermazione. Il libro, appunto, era ormai perfezionato nella sua struttura fisica ed estetica. Era completo di frontespizio, mai visto negli incunaboli, tanto meno nei codici amanuensi; affermato pure il colophon