Il Corallo B. Liverino  pag 8 di 14


IL XVII SECOLO

Il '600 esploro ed estrinseco tutte le possibilità offerte dal corallo: a Napoli, Genova, Trapani, Barcellona, Marsiglia era estesissima la lavorazione del liscio, mentre 1'incisione veniva svolta prevalentemente nella città ligure e nella siciliana. Anche in Francia e in Germania si eseguivano pregevoli lavori, in particolare sotto forma di cammei, riproducenti personaggi illustri quali Luigi XIII, il Cardinale Richelieu, Ferdinando III o Leopoldo Guglielmo. Persino negli oggetti di ornamento personale, limitatamente ai più preziosi e raffinati, in quel periodo si pratico spesso il lavoro con il bulino.
I soggetti più ricorrenti nella scultura erano Apostoli, Madonne, Cristo, Santi, rappresentati singolarmente o in scene di gruppo. In tale ultimo caso, in particolare nei lavori trapanesi, la rappresentazione era ricca di archi, colonnati e volute, anch'essi sempre di corallo. L'arte trapanese viveva nel pieno del suo fulgore e della sua completezza. Le botteghe di Via dei Curaddari erano ormai quaranta: Matteo Bavera, gia famoso e, con lui, Giacomo Daidone, Giuseppe Barraco (scultore di corallo), Antonino Saltarella, erano i protagonisti della vasta e differenziata produzione, nel frattempo estesasi a Palermo, ad Alcamo e ad altri centri minori.
Figure sacre, pastori, cherubini; piccoli serpentelli, scarabei, ramarri; gingilli di ogni genere e grandezza: elementi grandi e piccoli necessari alla composizione di stemmi araldici richiesti dalla numerosa nobiltà dell'epoca, costituivano 1'estesa gamma dei prodotti siciliani.
Tuttavia i lavori che hanno più significativamente contraddistinto l'arte trapanese, contribuendo in maniera determinante a renderla famosa, sono stati quelli in cui il corallo appare applicato ai metalli, e cioè a rame e a bronzo, spesso dorati, e raramente al piu prezioso argento. E infatti, di tal genere la prima opera di Trapani che rechi una data e una firma: si tratta della enorme lampada a sospensione (circonferenza mt. 1,25) conservata al Museo Pepoli ed eseguita da Matteo Bavera nel 1633.
Questa lavorazione, di origine levantina, consisteva nell'applicare i coralli a forma di piccole gocce, virgole, mezze lune, linguette, uncini, borchie ecc., su superfici di legno o più frequentemente metalliche. Il Daneu scrive: "La stabilita di queste incrostazioni era assicarata dall'abilità dell'artigiano che aveva avuto 1'accortezza di lasciare la base, o radice, del pezzo di corallo un po' più ampia dell'apertura che doveva accoglierlo, in modo che vi rimanesse forzato e non potesse cadere; sul retro, poi, un forte mastice assicurava 1'adesione dei pezzi".
A completare quest'armonia di forme e di colori concorreva, spesso, lo smalto, che era bianco, nero, celeste. Si produssero, cosi, scrigni grandi e piccoli, vassoi, portafiori, cornici, servizi da scrittoio, lampade, specchiere, candelabri, brocche e tutto ciò che degli arredi domestici si volesse impreziosire. Tale singolare lavorazione si estese agli arredi liturgici: ostensori, acquasantiere, calici, pissidi, crocifissi, capezzali.
Di quest'ultimi, alcuni anni or sono, me ne vennero affidati due per il restauro, che sono rimasti finora ineguagliati: di dimensioni eccezionali, perché alti quasi un metro, erano particolarmente ricchi di corallo e di smalti. Il rame dorato della struttura era completamente nascosto da oltre 10.000 castoni di corallo tagliato in forme varie, da centinaia di piccole sculture (cherubini, testine di santi, piccoli angeli, Madonne), oltre ad alcune cappellette complete di colonnati e di archi sovrastanti. Parlando di questa caratteristica attività siciliana, il Tescione ritiene "che manufatti del genere siano stati prodotti anche a Genova, Venezia, Napoli e forse anche in Spagna nei centri dell'arte orafa catalana, in Francia a Parigi, in Germania a Norimberga e ad Augusta", precisando, pero, che ciò sarebbe stato possibile solo in seguito a "migrazioni e scambi di artefici".
Dall'importanza assunta da tutta la lavorazione, a Trapani nel XVII secolo scaturì la necessità di dare ad essa una disciplina. Nel settembre 1633, quasi 150 anni dopo quelli genovesi, vennero approvati i "Capituli della maestranza delli corallari et delli scultori di esso corallo della città di Trapani".


Acquasantiera Sec. XVII, lavoraz. trapanese.
Museo Liverino


Calice di argento e rame dorato con coralli.
Trapani, sec. XVII - Museo Liverino

In 34 capitoli, di ordine prevalentemente tecnico, redatti da "mastri corallari", era regolamentata tutta l'attività, dall'acquisto della materia prima alle norme disciplinari cui erano sottoposti i tagliatori, i tornitori, gli scultori; risultavano ben stabilite persino le paghe da corrispondersi ai lavoranti sia a tempo che a cottimo.
A leggerli oggi, quei regolamenti, risulterebbero quanto meno originali: si richiamava l'attenzione sull'importanza della perfetta esecuzione del lavoro e si diceva che il "tondo sia veramente tondo et il botticello con le bocche chiuse"; in caso contrario venivano comminate pene pecuniarie. Era pure precisata la suddivisione del corallo in cinque colori: estremo, nigrigento, chiaro, retichiaro, contrarti chiaro. Si avvertiva che la grandezza dei grani dovesse sempre essere in proporzione della lunghezza delle reste (collane, filari).
Tutto ciò per creare armonia nel prodotto finito ed evitarne il degrado. Il capitolo 22, poi, toccava un argomento del tutto diverso: vietava ai mastri di assumere schiavi e relativi figli, perché discendenti di "infedeli barbari". Ma qual era l'organizzazione di vendita della produzione in Sicilia?
I manufatti venivano affidati agli "zafferanari" (venditori ambulanti di spezie), i quali, dovendo visitare per 1'esercizio del loro mestiere tutti i paesi dell'isola, grandi e piccoli, costituivano una capillare rete di vendita particolarmente valida ed efficiente. Questo secolo, che coinvolse, benché limitatamente, anche i corsi nella lavorazione delle sfere di corallo, e caratterizzato da tre fenomeni di un certo rilievo: Marsiglia primeggiava, oltre che nel liscio, nella faccettatura dei grani; la Toscana aveva la sua prima " fabbrica di corallo " a Pisa; Genova mostrava i segni premonitori del decadimento del suo inciso oltre che del rallentamento nella produzione del liscio.
A determinare la prossima fine dell'attività in questa città furono alcuni fattori risalenti agli inizi del secolo stesso. La morte di Filippo Santacroce, avvenuta nel 1606, dette un brutto colpo alla lavorazione artistica; la tassazione molto pesante, le discordie nella categoria dei "corallatori", tra "artifices " e " mercatores ", nonché la nascente concorrenza toscana, furono pero le cause determinanti. Nel 1603, infatti, alcune famiglie di operai genovesi, capeggiate da quella del maestro Giovanni Boccardo, si trasferirono a Pisa, attrattivi da quel Granducato che offriva vantaggi fiscali molto interessanti, e vi impiantarono la prima fabbrica. In Toscana, comunque, il corallo non era del tutto nuovo, avendo voluto gia Cosimo de' Medici alcuni trapanesi presso la sua Corte.