Rivista Marittima - Flavio Russo - L'oro rosso di Torre - Pag. 29

53 - Schizzo planimetrico delle isole di S. Antiochio e S. Pietro

             Nel frattempo la Compagnia Reale d'Africa, visti fallire i diversi progetti di acquisizione militare,avendo probabil­mente carpito precisi ragguagli sull'intera vicenda, intraprese nel 1738 dirette trattative con i Lomellini per la cessione dell'isola. Le informative che stavano alle spalle già dal 1725, tramite il sopralluogo del medico Peyssonel, così precisavano: "...Tabarca sarebbe il sito ideale per l'impianto di uno stabilimento che conferirebbe alla Compagnia la piena padronanza del commercio del corallo nonché quella dei prezzi d'acquisto di tutte le mercanzie lungo l'intera costa tra Algeri e Tunisi... e sarebbe pure un'ottima base per la marina reale... La Francia avrebbe così un antemurale contro i suoi nemici ed una piazza tramite la quale potrebbe dominare tutta la Barbaria..." (89). La relazione non restò lettera morta in quanto il ministero della marina inviò nel 1731 una apposita nave da guerra a compiere un sopralluogo a Tabarca per sincerarsi delle potenzialità, peraltro confermate dallo stesso console francese a Tunisi, e le osservazioni dirette convalidarono per l'ennesima volta le già ampiamente risapute opportunità. Il positivo riscontro accelerò i contatti con i Lomellini, che comunque si protrassero a lungo, fino al 1741. In quell'anno, pervenuti alla svolta conclusiva si concentrarono a Genova dove, finalmente, fu raggiunta una precisa intesa: l'isolotto sarebbe stato ceduto per 100.000 lire al Direttore della Compagnia avvicendando così i francesi ai genovesi. Ma le indiscrezioni ben presto raggiunsero il bey di Tunisi, Alì Pascia, che riuscì ad intercettare pure delle corrispondenze al riguardo, nelle quali si lasciava intendere per imminente il passaggio di proprietà. Ben sapendo che dalla successione aveva tutto da perdere si decise allora a precedere i francesi occupando l'isolotto e catturandone gli abitanti.
   
        La situazione intanto a Tabarca era ulteriormente peggiorata poiché il bey, che da alcuni anni teneva d'occhio le segrete trattative, aveva interdetto ai tabarchini ogni traffico per mare, compresa anche la pesca del corallo. Il che sommandosi al già agognato trasferimento produsse una insostenibile apprensione, così riassunta dal Rombi in una lettera del gennaio 1738:
 

     "Da altra mia che mi presi confidenza di scrivere all'E.V...sto stimando debito della mia atte­zione soggiungerli altre novità statemi notificate ultimamente di Tabarca con Bastimento qui giunto da colà, e sono, che avendo io fatto penetrare a Tabarchini di Francia le sovvenzioni ed altri vantaggiosi progetti di S.M. accordati a quelli che fossero andati ad abitare in quell'Isola, tutta quella gente ne ha fatto grandiosissima allegrezza e di già molti avevano a tal effetto preso moglie et altri molti se vi andavano disponendo che a cagione di rilevanti pretenzioni sebbene ingiuste di quel nuovo Bey di Tunisi aveva proibito il commercio e traffico a Tabarca e per tal cagione aveva colà mandate due galeotte corsare per impedirle altresì la pesca dei coralli onde quei poveri abitanti si trovano in grande strettezze d'ogni sorta di viveri con che cessava quell'Isola senza traffico e senza la pesca dei coralli..." (90). 

            Agli inizi degli anni quaranta,il concretizzarsi dell'avvicendamento francese a Tabarca divenne per il bey di Tunisi una provocazione insostenibile. Finalmente, rimossi gli ultimi indugi, nell'estate del 1741 si risolse ad eliminare la questione sopprimendo l'enclave cristiana, in spregio di ogni precedente accordo. Armata una flottiglia di quattordici galeotte, affidate al comando del figlio-tal Ikonos-il giorno 18 giugno i tunisini sbarcarono su Tabarca, accolti da una perplessa, quanto ignara ed inerme popolazione. Il momento era stato scelto con particolare cura, approfittando della lontananza della maggioranza degli uomini intenti alla pesca del corallo: comunque anche in caso contrario ben poco avrebbero potuto contro le migliaia di giannizzeri impiegati nell'operazione. Così descrive un contemporaneo la tragedia:  

     "Alcuni 'particolari' di detta Isola volevano far testa, sparare i cannoni sopra le galeotte e ostare l'ingresso al figlio del Bey,ma il Governatore, Ufficiali, Religiosi e altri consigliavano diversamente e invero in una sì critica circostanza era d'uopo fare più maturi riflessi.
     Primo,
i due Ufficiali erano già sul campo di lkonos e le barche dei pescatori erano tutte alla pesca, dove nell'estate s'intrattenevano tutta la settimana, senza più tornare a Tabarca, conseguentemente doveva riflettersi che, mancando in quell'isola duecentottantadue uomini dei più forti, mancava il nerbo della popolazione, perchè toltine altri inutili, tutto il rimanente erano donne, ragazzi e fanciulli, così che pareva inutile difendersi da cinquemila soldati turchi.

      Secondo se sparavansi i cannoni contro Ikonos veniva a farsi un atto col quale Tabarca si dichiarava non più amica e tributaria di Tunisi, ma bensì sua aperta nemica, onde in quel senso... con tutta ragione poteva spedire le galeotte a predare i pescatori di corallo e assediare per mare e per terra l'isola suddetta che, trovandosi allora sprov­vista di munizioni da guerra e specialmente di legna per forni,non avrebbe potuto resistere all'assedio nemmeno un mese, che siccome Tabarca è lontana da Genova miglia cinquecento italiane, perciò era superfluo attendere alcun soccorso che i Lomellini potessero mandare in tempo debito. 

   Terzo,finalmente Ikonos non si era scoperto nemico, nè aveva dato segno di essere tale, erano già dodici anni che suo padre reagnava in Tunisi con tutta buona pace verso Tabarca, quindi è che se questa fosse stata la prima a sparare i cannoni e con ciò rompere la tregua, ch'era con Tunisi da 180 anni circa, il Governatore e tutti quelli abitanti sarebbero stati criticati e la perdita di Tabarca sarebbe stata ascritta a loro imprudente condotta.

      Su di tali riflessi stimarono più conveniente di trattare con Ikonos da quelli che loro effettivamente erano, cioè da amici e tributari e con ciò le aprirono le porta della marina e l'accolsero con segni d'amicizia e di rispetto. 

     Introdotto che fu, egli si protestò che era venuto per sua mera curiosità per vedere un poco quell'isola e per assicurargli, anche per parte di suo padre, della sua protezione esortandoli perciò nelle occorrenze di scrivergli in Tunisi promettendo che con loro si sarebbe portato sempre da padre. Tali offerte servivano di consolazione a quelli abitanti,e tosto si dileguarono quei sospetti che avevano concepiti, e tutti rimasero contenti di non aver ostato il suo ingresso. 

     Nell'entrata che Ikonos fece in fortezza fu sparata l'artiglieria e per tutto quel giorno si fermò nel palazzo del Governatore e anche vi pernottò, vedendo che stava inalberata la bandiera con la Croce,disse che non era dovere che essendo lui in fortezza si alzasse la bandiera cristiana,ma bensì quella turca onde per condiscendenza fu obbedito. 
   Nel dì seguente 11 giugno del 1741 che fu il giorno fatale della perdita di quell'isola,il detto Ikonos,fingendo di voler partire pregò per ultimo il Governatore che nell'atto che andava a imbarcarsi le facesse vedere la chiesa e tutto quel popolo d'ogni età e sesso;onde,datosi un tal ordine,tutti quelli abitanti (toltine quelli che erano alla pesca) si fecero vedere nella piazza della chiesa parrocchiale,dove vi erano i duecento soldati di Ikonos.Allora,egli,togliendosi la maschera d'amico con aria severa ordinò che tutte le donne,ragazzi e fanciulle entrassero in chiesa,dove ivi le fece chiudere;fece sfondare cento e più botti di vino che erano poste in magazzino per provvigione di quelli abitanti (e ciò affinchè nessun turco avesse il modo di imbriacarsi) sul tempo istesso fece circondare dai suoi soldati tutti gli uomini cristiani e condurre sopra le galeotte per portarli al campo e sul ritorno che fecero le galeotte condussero altri mille soldati dai quali fece saccheggiare tutte le case e le chiese, ordinando che solo si lasciassero nel suo essere la fortezza e i grandi magazzini,dove si riponevano i generi per il commercio,che il tutto fu eseguito in pochi giorni,e lasciando nella fortezza un Agà con trecento soldati partì con tutti quei poveri abitanti che ancora non potevano credere di essere fatti schiavi,senza che né gli uomini né le donne potessero più entrare nelle loro case per provvedervi almeno di qualche straccio da potersi mutare; e nell'istessa guisa trattarono il padre maestro Giò Batta Rivarolo parroco di Tabarca con altri due suoi religiosi dell'ordine di Sant'Agostino,al quale riuscì prima di essere legati, di consumare le ostie consacrate" (91).