Rivista Marittima - Flavio Russo - L'oro rosso di Torre - Pag. 27

 Ottenutala vi insediarono una loro colonia.Onde evitare l'insorgere di qualsiasi tentazione negli aggressivi dirimpettai barbareschi, ad onta della sovranità asburgica, un consistente tributo annuo fu stanziato tanto al bey di Tunisi quanto al dey di Algeri,che garantirono, pertanto, non solo l'indisturbato sfruttamento dei banchi coralliferi ma persino l'indispensabile approvvigio- namento dei residenti, assolutamente dipendente dalle importazioni alimentari.
            Circa gli abitanti, che in breve volgere popolarono intensamente quell'inospitale roccia, va ricordato che la loro veste giuridica li equiparava, più che a vassalli, ad operai regolarmente stipendiati dai Lomellini, in questo caso con percentuali fisse sul corallo pescato, ai quali però dovevano versarlo interamente. Liberi,n definitiva, i tabarchini di revocare in ogni momento la loro dipendenza,a liberi anche i Lomellini di licenziarli o allontanarli dall'isolotto. Che in pratica poi, i coloni godessero di considerevoli autonomie decisionali lo conferma l'esercizio, protratto per l'intero periodo della loro permanenza in nordafrica, di una intensa azione di intermediazione e di agevolazione per il riscatto di schiavi cristiani (75), fonte non ultima di ulte­riori introiti.
            Risale quasi a quegli stessi anni la penetrazione commerciale francese sulla costa barbaresca tesa allo sfruttamento corallino. Precisa, infatti, Charles Roux: "...i Genovesi si erano già stabiliti, per la pesca del corallo, nell'isola di Tabarca... presso Capo Negro... Il loro esempio e l'attrazione dei guadagni procurati all'epoca dalla vendita dei fragili e graziosi alberi sottomarini, furono la causa che portò i nostri compatrioti sul suolo algerino... Le condizioni con cui fu ottenuta la prima concessione appaiono fortemente nebulose. Di certo l'iniziativa, verso il 1560, venne ad un corso residente a Marsiglia,Tommaso Lincio, il cui nome è generalmente citato in francese come Thomas Lenche o di Lanche, e ad un marsigliese di nome Didier, suo socio nella pesca del corallo... Probabilmente Thomas Lenche, suo fratello Antonio ed il suo socio Didier, si avvalsero per conseguire il loro proposito dell'appoggio di rinnegati (76), provenzali o corsi, parenti o amici, stabilitisi nel nordafrica... che non interrompevano mai del tutto le relazioni con i loro paesi di origine, e si prestavano all'occasione a fornire qualche favore ai loro compaesani. Probabilmente così Lenche e soci, per conciliarsi il Beylerbey El Eudj Ali, in principio ostile ad una analoga iniziativa concernente un punto della costa algerina, dimostarono di essergli utili fornendogli armi e munizioni..."(77). Ed alla fine El Eudj Alì acconsentì e per il suo alto grado nessuna difficoltà fu frapposta dalla Porta alla ratifica del trattato. E' singolare, e per molti aspetti emblematico, ricordare che tanto il Lenche quanto el Eudj erano entrambi italiani: in particolare il secondo, tristemente celebre lungo tutte le marine meridionali come Uccialì, era nativo di Capo Rizzuto, rapito giovanissimo dai corsari, convertitosi all'islam e quindi asceso ai massimi gradi della marineria ottomana (78).
               Sorse così il primo stabilimento francese per la pesca del corallo in terra nordafricana, per l'esattezza tra La Calle e Bona.Almeno inizialmente non aveva alcuna connotazione difensiva: si trattava di un recinto contenente depositi, magazzini ed impianti strettamente necessari alla pesca ed al ricovero degli uomini, delle barche e del corallo.

  

51 - Antica stampa francese raffigurante lo stabilimento per la pesca del corallo insediato tra La Calle e Bona.

Così precisava un ambasciatore nel 1606:"...il Bastione non è af­fatto un castello, nè una fortezza, come la definizione potrebbe suggerire, ma soltanto una casa piatta, eretta con l'autorizzazione del Gran Signore per ricovero dei francesi che pescano corallo in Barbaria..."(79). Distrutto radicalmente appena pochi anni dopo fu nel 1628 ricostruito, grazie ad una complessa trattativa diplomatica che vide tra i fautori il cardinale Richelieu ed un certo Napollon da una parte, ed il gran sultano dall'altra. In tale circostanza, per la mai misconosciuta ostilità ambientale, sempre scarsamente rispettosa di qualsiasi trattato od accordo, ed a seguito delle recenti distruzioni e devastazioni,fu trasformato in una vera base fortificata, assumendo la definizione di Bastione di Francia. Così lo descriva padre Dan nel 1634: "... sorge sulla costa barbaresca del Mediterraneo, comunemente chiamata la piccola Africa, corrispondente l'antica Numidia. Si trova a circa cento miglia da Tunisi, orientato verso nord,con un fianco lambito direttamente dalle onde, adiacente ad una piccola spiaggia dove si ormeggiano abitualmente le barche dei pescatori di corallo del forte...Il bastione dispone di due grandi corti, la prima delle quali è volta a nord, dove stanno ubicati i magazzini per il grano e per le altre mercanzie, con numerose altre stanze basse, dove alloggiano alcuni ufficiali del Bastione; e questa corte è molto grande. L'altra che è molto più spaziosa sta congiunta alla menzionata spiaggia,d ove si ritirano i battelli e le fregate. Alla sua estremità si vede una grande e bella cappella tutta coperta a volta, chiamata di santa Caterina, al di sotto della quale vi sono alquante stanze dove alloggiano i cappellani ed i sacerdoti del  Bastione. Il cimitero è dinanzi. Poco discosto, tra la cappella ed il giardino si trova l'ospedale, dove si ricoverano, i soldati, gli ufficiali e le altre persone malate. Tra le due corti, verso il mezzogiorno, si trova una grande costruzione tutta in pietra, di pianta quadrata: è la fortezza, che è coperta da una piattaforma, munita di due petrieri e di tre mezzi cannoni. Al suo interno si trova il corpo di guardia, e gli alloggi dei soldati della guarnigione, suddivisi in più stanze. ..All'interno vi dimorano dei francesi, fino a sette- ottocento, al tempo che il sig. Samson Napollon ne era governatore. Ordinariamente vi si effettua un commercio proficuo e ricco, consistente in grandi quantità di corallo, di grano, di cera, di cuoio e di cavalli berberi, che i mauri e gli arabi vicini vengono a vendere a buon prezzo, e che si esportano in Provenza..." (80).