Rivista Marittima - Flavio Russo - L'oro rosso di Torre - Pag. 24

La sua superficie complessiva tocca i 24 ettari,con un perimetro costiero di circa 5,5 km e con dimensioni massime di m.600 per 400. Di configurazione sub quadrilatera ostenta due lati a picco sul mare,e due degradanti verso il continente: proprio su questi ed, in particolare,su quello volto a libeccio si impiantò una florida colonia genovese. L'origine di quella incredibile enclave cristiana, è avvolta in suggestive, quanto fantasiose, leggende.
 
            Secondo alcuni storici ,come già accennato, la flotta pisana confederata per la cicostanza con quella genovesenel 1087: " si impadronì di Pantelleria e di lì mosse a Mehedia (6 agosto), dove senza incontrare resistenza nell'armata nemica, che doveva essere stata assai assottigliata dai precedenti disastri, le milizie sbarcarono a viva forza nel sobborgo di Zavila (Sibilia), l'occuparono, incendiando le navi che si trovavano nel porto, e fecero strage, non solo dei soldati, ma degli inermi,obbligando Temin a rifugiarsi nel castello...I vincitori strinsero d'assedio il castello... ma Temin vedendo il pericolo, offrì larghi patti, fra i quali la liberazione degli schiavi,una ricchissima indennità di guer­ra ed esenzione dalle imposte pei popoli marittimi..."(70). L'evento per l'epoca fu straordinario e comportò lo stabilirsi di alcune basi in nordafrica. In particolare, secondo altri studiosi sempre i pisani, sull'onda di quelle affermazioni, nel 1167 ricevettero,forse quale titolo di vassallaggio,dal bey di Tunisi,tal Abdallah Bockoras, la proprietà dell'isolotto di Tabarca con il priviligio dell'esclusiva sulla pesca limitrofa del corallo. E' difficile stabilire quanto di attendibile vi sia nella informazione: di certo nel 1166 i pisani avevano stretto un trattato di amicizia con la dinastia degli Almoadi, detentrice del Marocco e recente conquistatrice, 1159,della Tunisia e del Megreb. Del resto da allora le notizie su Tabarca cessano per ben quattro secoli dopo, per l'esattezza ai primi decenni del XVI secolo. Un curioso documento consente di appurare come la conoscenza del corallo a Tabarca si divulgò agli inizi dell'età moderna:  

     "...Molti anni innanzi alla impresa fatta dallo imperatore Carlo V fu per industria dei trapanesi scoperta la pescagione del corallo di Tabarca ove sino a quel tempo non si sa che mai ve ne fosse memoria nessuna, et ciò gu che havendo un homo di Lipari venuto in Trapani,dove era in peregrina­zione,veduto il grande arteficio del corallo che, all'hor tuttavia quivi era,disse ad alcuni di quell'arte come egli essendo cattivo in Algeri in diverse volte camminando haveva per la gran Siagra di Bugia detta da a Tabarca,vi haveva con grande avvertenza assai fragmenti di corallo esser mescolati con l'arena del mare gettata per fortuna in su il lido, del quale i Mori nullo conto facevano... e che però con ragione si credeva che in quel mare dovessero essere di corallo abbondante;per lo chè un cittadino fra gli altri di Trapani si mosse a gir co suo vascello a cercare di tale pescagione e gran copia di corallo trovovi..."(71).

 

            La diceria appare sostanzialmente credibile e suffraga l'interesse mostrato per il possesso dell'isolotto,altrimenti inspiegabile. Secondo la tradizione corrente la sua acquisizione avvenne allorquando il  corsaro Dragut, luogotenente del ben più tristemente celebre Kheir Eddin Barbarossa fu catturato dal Doria e trasportato a Genova(72), toccò come  preda in possesso della famiglia Lomellini, della quale già incidentalmente abbiamo ricordato la probabile origine non ligure. La sua permanenza presso la nobile casata si protrasse per quattro anni, fino al mo­mento cioè del pagamento di un ingentissimo riscatto ai suoi detentori co-sti­tuito eminentemente,appunto, dalla assoluta ed incontrastata sovranità, presente e futura,sul menzionato scoglio di Tabarca. Posta così la questione a prima vista sembrerebbe una cessione stravagante e priva di alcun valore economico, ma in realtà, proprio perché era ormai perfettamente risaputo, ai liguri quanto ai tunisini, che i fondali ad esso adiacenti ospitavano una incredibile quantità di corallo, di facilissima estrazione, e, quindi, potenzialmente fonte di immensi profitti il racconto acquisisce se non credibilità storica almeno plausibilità economica, confermando indirettamente peraltro la supposta notorietà. Per i genovesi che esercitavano da secoli la pesca del corallo dovunque se ne avesse il minimo sentore, una simile offerta dovette riuscire estremamente allettante e convincente, al punto da indurli, ignorando le ire dell'intera cristianità, a restituire ai suoi loschi traffici il temutissimo predone.