Rivista Marittima - Flavio Russo - L'oro rosso di Torre - Pag. 19 |
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Modalità di pesca
La pesca del
corallo,che in una ampia escursione batimetrica si sviluppa fino al
limite di penetrazione della luce, in carenza di idonee tecniche
subacquee, doveva necessariamente effettuarsi dalla superficie tramite
tentativi casuali e strumenti approssimati. E' senza dubbio questo
l'aspetto più somigliante alla remotissima attività peschereccia
propriamente detta, diversificandosene per il resto sia gli attrezzi sia
le modalità sia la estrema limitazione dei siti propizi. Prima
dell'invenzione di un appropriato, per quanto rudimentale, ordigno capace
in qualche maniera di svellere i preziosi rami dai supporti rocciosi, si
impiegarono allo scopo piccoli arnesi. Consistevano abitualmente in una
sorta di sacca contenitore con bocca ferrata, in grado perciò di
frantumare e raccogliere il corallo, rigidamente vincolata ad una lunga
pertica manovrata da bordo. Ogni uomo con la sua sola modesta forza
rastrellava il fondale, almeno quello non superiore ai 4-5 m., asportando
quanto poteva. E' intuibile dalla modestia dell'attrezzo, dalla sua
comunque contenuta lunghezza
e dalla pochezza dell'energia applicabile la scarsità del pescato: il
protrarsi dell'uso dimostra, se mai ve ne fosse bisogno, l'immenso valore
già attinto dal prodotto.Occorsero secoli, e forse l'inventiva araba,
affinchè si elaborasse qualcosa di meno rudimentale,e di più ampia
validità (63). Si trattò in pratica di un semplicissimo congegno non a
caso detto 'ingegno' formato da due pesantissime travi giuntate a croce di
S. Andrea, opportunamente zavorrato e fissato ad una lunga cima, tramite
il quale riusciva possibile quasi arare, o dragare, il fondale a
ragguardevole profondità. Così lo descrive il Balzano, illustre storico
del settore:" ...dicevasi questo da' provenzali engins,
e dai nostri ingegno ed era certo di non poca utilità, perocchè la forza delle
reti fatte di spago, accostandosi allo scoglio, era tanta da abbrancare in
mezzo a loro il corallo e trarselo dopo averlo rotto e sbarbato; e le ali
medesime della croce erano per sé stesse bastevoli, er picciolo
avviamento che le si dava,ad intromettersi nel seno degli scogli, spesso
anche traversandosi ne' piani come ordinariamente doveva avvenire... è
certa cosa che i nostri nazionali essi primi accoppiassero la rete alla
croce, che certo da' pescatori Torresi di molto è stata più guernita e
raffazzonata da tirar sopra perfino pezzi grandi di scogli divellendoli a
forza dai massi marini dove sono incastrati... Ecco ora per qual modo i
nostri vigorosi ed indomabili Torresi hanno si composto l'ingegno. Due
grosse spranghe di legno assai forte, siccome quello di faggio o quercia,
pongono prima a croce. Tutta la lunghezza di esse spranghe è circa cinque
piedi parigini, ovvero sei palmi e mezzo napoletani; verso il centro la
loro spessezza quadrata è circa tre dodicesimi del piede ...poco più del
palmo. Nel mezzo di essa croce è una mazzera di pietra del peso di circa
rotoli ventiquattro e più, che serve per far discendere nel profondo
l'ingegno. Agli estremi le braccia della croce vanno gradatamente
assottigliandosi, avendo ognuno un incavo circolare alla cima per modo di
formare quattro capocchie. In questi incavi sono legate funi non più
lunghe di mezzo piede con alla cima due reti pendenti,e questa parte
dell'ingegno vien detta coscione...Ad ognuno poi dei descritti coscioni o
braccia della croce sopradetta è altro incavo circolare come quello delle
capocchie... [dove] èbbi legata una rete e con essa una fune di circa
diciotto piedi o poco più, che sono tre canne napoletane; presso alla
qual fune alla distanza di ogni tre piedi e mezzo... è legata altra rete,
per modo che delle cinque reti, che presso alla fune si allogano, trovasi
l'ultima alla cima pendente come un fiocco... Una simigliante fune così
armata, è appiccata pure nel centro della croce. 37
- Veduta subacquea dell’ingegno
in azione 38
- Corallina intenta alla pesca con l’ingegno |