Il
1980 è l’anno che segna la nascita della Missione Archeologica
Italiana nello Yemen. Grazie ad un piccolo fondo del Ministero
degli Esteri e al patrocinio dell’Istituto per l’Oriente di
Roma, potei in quell’anno avviare una serie di ricerche
sistematiche sul campo che si proponevano di scoprire chi avesse
preceduto la cultura sudarabica e quale fosse il reale sfondo
cronologico della sua storia, nonché di mettere a disposizione
degli studiosi una nuova base documentaria sulla quale confrontare
i dati già disponibili (per lo più epigrafici). Gli scavi sino
ad allora erano stati pochissimi. E questo contrastava
straordinariamente con la grande ricchezza di città, dighe e
necropoli, e con la bellezza di statue, bronzi ed iscrizioni
rinvenibili nel Paese. L’ultimo scavo, quello della Missione
americana di Wendell Phillips, era avvenuto quasi trent’anni
prima.
Già l’anno seguente, durante una ricognizione nel Khawlan
at-Tiyal, avemmo la fortuna di imbatterci in un sito con resti di
case circolari, ceramica e industria neolitica che non
dimostravano alcun confronto con le antichità di periodo
sudarabico.
Era questo il primo
insediamento dell’età del Bronzo mai rinvenuto nello Yemen.
Nella zona ne rinvenimmo poi molti altri.
Nel frattempo, le esplorazioni avevano
rivelato anche l’esistenza di numerosi giacimenti archeologici
pre-ceramici, ascrivibili sia al Neolitico che al Paleolitico. Le
culture antiche dello Yemen, quindi, aumentavano in antichità e
in quantità. L’Organizzazione Generale delle Antichità, chiese
l’assistenza italiana per la creazione di nuovi quadri
specializzati. Fu così che, nel 1983, la Missione divenne l’organo
esecutivo, di un programma di formazione archeologica nello Yemen
finanziato dalla Direzione Generale per la Cooperazione allo
Sviluppo del Ministero degli Esteri. Il lavoro di cooperazione
proseguì senza soste fino al 1987 e poi, con due altre
convenzioni, dal 1989 al 1992.
All’impegno della ricerca, quindi, si aggiunse il compito della
formazione. Questo però non fece che aumentare l’entusiasmo nel
nostro lavoro. |
Nel 1985 avemmo la possibilità di entrare nell’inesplorato
territorio dei Banu Dabyan, a sud di Marib, e scoprimmo uno dei
più importanti complessi archeologici di periodo sabeo antico,
quello del Wadi Yala. Accanto ad una grande città fortificata, si
estendeva un ampio centro agricolo con fattorie, dighe e campi
militari e, soprattutto, si trovava una gola rocciosa nella quale
erano incise numerose iscrizioni reali del periodo dei mukarrib
(re confederali) di Saba.
Una serie di scavi fu condotta nel 1985-7 nella necropoli con
tombe a torretta di al-Makhdarah e in quella con tombe ipogee di
Waraqah. Il confronto tra i corredi e, soprattutto, tra i reperti
ossei delle due necropoli dimostra l’esistenza nello Yemen del I
millennio a.C. di due differenti popolazioni, la prima delle quali
era composta essenzialmente di nomadi cui, probabilmente, erano
devolute le operazioni relative al trasporto carovaniero.
Le ricerche sulla preistoria furono intensificate ed allargate. Il
Neolitico, già trovato sull’altopiano (Khawlan, al-Hada),
dimostrò di assumere facies culturali diverse nelle regioni del
deserto (Ramlat Sab’atayn) e della piana costiera (Tihamah).
Ricognizioni e scavi specifici evidenziarono infatti per queste
antiche comunità, rispettivamente, economie di allevamento, di
caccia e di pesca:
La Missione, con due campagne di scavo (1990, 1992), ha inoltre
messo in luce nella parte meridionale dell’antica città minea
di Yathill (oggi Baraqish), un importante tempio ipostilo
dedicato, come ci dicono le iscrizioni, al dio patrono Nakrah. |
L’edificio, in grandi blocchi monolitici,
risulta ancora oggi conservato sino alla copertura e costituirà l’oggetto
di una serie di restauri monumentali che dovrebbero avviar si in
questo stesso anno 2000. Le quasi 100 iscrizioni rinvenute nel
corso degli scavi costituiscono un’importantissima nuova fonte d’informazione
sulla storia e sulla vita degli antichi Minei.
Possiamo concludere l’elenco delle attività condotte nell’ambito
della cooperazione, ricordando le intense ricerche condotte anche
sulle antichità di periodo islamico. In cinque anni di lavoro
(1983-1987) gli esperti italiani hanno completato uno dei più
ricchi inventari dell’architettura religiosa yemenita sinora
disponibile.
L’avvio di una serie regolare di campagne di scavo nel sito di
Hajar Kuhlan, l’antica Tamna’, capitale del Regno del Qataban
e seconda città sudarabica dopo Marib, quanto ad estensione,
costituisce, infine, il più recente impegno della Missione
Archeologica Italiana. L’iniziativa, finanziata con fondi del
Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica e
Tecnologica e dall’Istituto Universitario Orientale di Napoli,
è condotta in compartecipazione con i Francesi nell’ambito di
un programma comune di ricerche (che vede coinvolta anche l’Università
di Pisa) sull’antico Qataban.
Una prima campagna di scavi si è conclusa (dicembre 1999) e i
risultati sembrano fruttuosi. Nella zona nord-occidentale del sito
è infatti venuto alla luce un grande tempio a corte (scoperto,
per ora, solo per metà) che, secondo le prime analisi
stratigrafiche, dovrebbe essere stato fondato intorno al IV-III
sec. a.C. |