IL CASO ARGENZIANO

Con questo lavoro di Argenziano la storiografia torrese prende una nuova piega: quella di romanzare gli eventi del passato, metodo, per così dire, già sfiorato dal Raimondo con "Itinarari torresi" comunque avulso dalla sperimentazione linguistica moderna che si dipana da Joice. La trita e ritrita storiografia corallina lineare, didattica, nemmeno didascalica, limitata solo a riportare l'accaduto  si allinea finalmente ai recenti canoni di interpretazione storico-stilistica dove gli autori prendono, nei confronti degli avvenimenti, quelle libertà già indicate da Aristotele: "Lo storico espone ciò che è accaduto, il poeta ciò che può accadere, e ciò rende la poesia più significativa della storia, in quanto espone l'universale, al contrario della storia, che si occupa del particolare" (Poetica, IX 1451b); e dal Tasso: "Chi nessuna cosa fingesse, poeta non sarebbe, ma solo historico" (Discorso sull'arte poetica); infine dal Manzoni "Lo scrittore deve profittare della storia, senza mettersi a farle concorrenza" (Lettera a Fauriel): osservazioni in una nota di Enzo Striano, a margine del magistrale "Il resto di niente", romanzo storico moderno, capolavoro, del secondo settecento napoletano  con la figura Emblematica di Eleonora Pimmentel de Fonseca.
Salvatore Argenziano, anta, è sensibile alle evoluzioni espressive adattandosi al veicolo informatico con naturalezza, esulando le solite idiosincrasie dei "maturi" circa il mezzo elettronico. Egli amalgama bene il mezzo scrittorio a misura d'uomo con la cibernetica. 
Partendo dal presupposto che, in materia filosofica, tutto già dissero i greci e i latini, l'arte scrittoria si rinnova con i nuovi avvenimenti e i nuovi eventi stilistici, ma il comune denominatore che lega il passato con il presente è l'insaziabile sete di sapere dell'uomo nel tentativo tenace ed ostinato di risolvere i problemi esistenziali, prima di tutto, per dirla con Luigi De Marchi, lo "shock esistenziale primario" che sta alla base della nascita e di quasi tutti gli sviluppi della cultura umana, con la produzione di idee, di fantasie, di miti e credenze, riti e costumi. Tutte difese atte a scongiurare il nostro irreversibile destino di finibilità. La molla, sotto quest'ottica, che farebbe scattare nell'uomo le difese: politiche, religiose, filosofiche, psicologiche, e soprattutto letterarie.
Argenziano, pertanto, trascura il semplice riporto storico, imbevuto dell'esorcismo esistenziale, e dà ampio respiro alla creatività fondendo la storia oggettiva con quella soggettiva, modella la sua Torre del Greco in una logica estremamente personalizzata che esalta l'idea del bello, esaspera la componente onirica, sublima il "periodo terreno" immortalandolo. Oserei dire che la Torre del Greco di Salvatore è egli stesso, perché, sotto l'ottica esistenziale, solo di sè si sanno le cose, se si sanno, e se esistono, nell'oggettivo filosofico.
Luoghi e avvenimenti appaiono a tratti surreali e lirici. Prosa e versi si amalgamano e si scindono per interpretazione del lettore. Umori e toni spaziano in un andirivieni di sensazioni emotive di arcana natura.
Egli definisce la collaborazione con Torreomnia un innocente "passatiempo", affatto, tutt'al più è una piacevole fatica, una riscoperta nobile delle origini, uno spontaneo, candido, adamantino messaggio d'amore per la propria città. Il segreto di questo "tesoro" è lo stare fuori le mura per l'intera esistenza, non già come sortilegio del destino, ma come provvidenza della sorte.
(Luigi Mari)  

Argomentando di "Salvatore in quel di Bologna", slogan, questo, a cui sono affezionato, mi viene spontaneo dire "il caso Argenziano". Caso perché egli rappresenta l'emblematico incontaminato in una essenziale sfaccettatura della rosa di problematiche dell'area vesuviana, nella fattispecie il malore endemico: edonismo-egotismo di una Torre del Greco allineata alle città italiane con un reddito, sperequato, s'intende, di gran lunga superiore alla media nazionale e condizionata da specifici masi chiusi artistici, economici di settore. Eventi negativi  che calano la qualità della vita compromettendo solidarietà, altruismo. disponibilità, in una parola la napoletanità.  
Il pragmatismo, si sa, fa a cazzotti con l'antica cultura umanistica pregna di suggestioni etico-religiose che non tenevano conto delle differenze di classe se non per una logica gerarchica, ma che riusciva ad accomunare davanti a Dio il malato ricco con il malato povero; anche se meno davanti al medico.
Il "caso Argenziano" è visto tale perché dimostra come la perdita di pregi morali, elevatezze d'animo ed altri valori, dipendono più da un fatto endemico geografico che da cause epocali di etnicismo di respiro più ampio o, addirittura di vastità planetaria.
Torrese DOC, (e mi piace ripetere alla De Curtis: torresi si nasce e lui lo nacque), Salvatore Argenziano con la sua collaborazione incondizionata a Torreomnia, tiene alto il vessillo del torrese vecchia maniera, quello della parola mantenuta o della solidarietà, della disponibilità; il torrese dei baratti sui ballatoi di a laccia e putrusino; quello della "napoletana fumante" che penetrava usci, porte e portelle di architettura spagnola, oramai quasi totalmente falciate dalla ricostruzione.
Per il nostro concittadino il "tempo torrese" si è fermato nel momento in cui mise piedi fuori la Porta di Capotorre; ideale pargolo imberbe con alcuni anta, rivive oggi nitide le processioni profuse d'incenso e di afrore degli anni cinquanta, le pollastre dei poveri (pullanchelle) fumanti lungo il ciglio delle strade, i cazzabbocchi della Carmenella, i ceci e i semi di zucca tostati dei miraggi hollyoodiani dei Gradoni e Canali.
L'evocazione nei "Ricordi" rivela i primi turbamenti giovanili dell'autore causati dai tedeschi e dagli anglo-americani. Una "Recherche", tuttavia, poetica, metricamente libera, quindi descrittivamente più autentica.
La Torre del Greco di mezzo novecento insieme a  Salvatore Argenziano sono l'idillio, due pargoli amanti, castigati dal sortilegio dell'amore indissolubile, una Giulietta e un Romeo divisi da un destino incontrastabile, ma uniti per sempre nei precordi.
Il torrese, in genere, che vive fuori porta (nella fattispecie di Capotorre) idealizza e sublima la Patria del Corallo, soggiace alla nostalgia e al lucore soffuso dei ricordi e questo lo risolleva dal giogo delle problematiche epocali attuali dell'area geografica che lo ospita. Dietro questa molla Salvatore Argenziano ha donato ai suoi compaesani, tramite Torreomnia, due gemme, per il momento: "Ricordi" e il "lessico torrese-italiano", che spera di ampliare con la collaborazione fattiva dei concittadini.
Dal primo componimento si evince la lirica che scaturisce dalla componente onirica, prevalente sul fatto epico, eventi, date, bombardamenti, sfollati, eruzione, ecc.
Tuttavia una storicità a mezza strada tra la storiografia e la cronaca, come fatto descrittivo, ma tutto diafano, incerto e sicuro insieme, come l'uomo, come un

pensiero lontano, come un romantico, perduto amore.
Una prosa in versi e dei versi in prosa, quelli di Salvatore Argenziano, che descrivono e sottolineano non già solo l'accaduto, ma la velata apprensione dell'accadibile che coinvolgono esistenzialmente la sfera affettiva di ogni genere di lettore, fuori del tempo, fuori del luogo, fuori della realtà, perché coinvolgono il dilemma eterno dell'uomo, animale sempre ossessionato dai dualismi male-bene, amore-odio che allignano soprattutto nei conflitti bellici, specie quello descritto appunto dall'Argenziano.
Ma, forse senza saperlo, o semplicemente perché egli vive fuori Torre, le note amare del racconto, le bassezze e lo squallore di una guerra così malapartianamente devastante hanno nociuto soprattutto non già solo sul morale quanto la moralità dei vesuviani; Argenziano, quindi, vedeva preannunciato quello che poi si doveva rivelare: quel certo degrado, come ho detto,  della qualità della vita nella cintura vesuviana, come una cancrena morale mai sanata, ma consolidata dalle leggi spietate del business, dei mass-media-grancassa, dei feroci pseudo modelli sociali propinati indiscriminatamente e gratuitamente anche in un'area sociale che adoperava panacee e toccasana come le icone dei Santi, e gli scongiuri in un unico ibrido rituale.
La nostalgica descrizione dei "Ricordi" si ricuce diritta alle odierne guerre dell'animo umano, tra le stesse mura domestiche, tra lo stesso condominio, tra la stessa città. E' importante leggere lo spaccato descrittivo dell'Argenziano che subdorava già una vaga idea di un probabile 68 il quale, insieme a giuste rivendicazioni, ha causato un distacco troppo netto e repentino tra due generazioni favorendo, come dire, manodopera per i gestori dei mutamenti epocali in fatto di edonismo, consumismo, europeizzazione fino alla globalizzazione; mutamenti che saranno pure coerenti e consoni alle esigenze tecnico-scientifiche e demografiche attuali ma che hanno compromesso fino all'osso i tradizionali valori, i rapporti generazionali in un clima di totale incomprensione, confusione e disadattabilità e utopia rispetto ai modelli sociali.
La seconda fatica di Salvatore Argenziano è il "vocabolario torrese-italiano", un'opera meritoria che solo un torrese irriducibile come lui poteva stendere. Egli compie una minuziosa ricerca per i termini più reconditi. Un recupero di parole ed espressioni che vanno perdendosi nei meandri del tempo. Proprio perché egli, lontano dalla terra natia, quindi affatto contaminato, dicevo, dai malesseri endemici della specifica area vesuviana, poteva progettare e stendere con generosità, senza riserve e quant'altro di negativo per Torre del Greco. 
Chiaramente si spera nella collaborazione di tutti perché questo lavoro possa crescere, poiché molti termini precipui, di stretta settorialità vengono tramandati solo verbalmente.
Ed eccoci a "Una famiglia di pescatori di Corallo": una spaccato storico torrese dei secoli passati suggestivo ed interessante.

Ribadisco quello che ho detto in apertura: "il caso Argenziano" sia antesignano per le vere iniziative culturali per Torre, fuori dai masi chiusi della cultura locale; lontano dagli individualismi dottrinari e dai feticisti della raccolta storica di notizie e foto, materiale spesso finito nelle pattumiere dopo le inevitabili dipartite a cui è predestinato ognuno di noi.
Non dimentichiamo le parole del saggio: "il dolore può bastare a noi stessi, ma per vivere veramente una gioia bisogna condividerla con gli altri".
                                               Luigi Mari