POSSO COMPRARE LA MORTE - 1

Ogni somiglianza di persone alla foto e ai fatti qui esposti è puramente casuale
Intervistatore Luigi Mari - Intervistato C CZ    Legenda: D=domanda; R=risposta N=Narrazione

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CC  mi ha rilasciato questa intervista 
il 12 marzo 2002 nella mia bottega artigiana di Via Purgatorio, mentre fuori, guarda caso,  imperversava una procella, in una serata, credete, da tregenda, metereologicamente parlando. 
Oggi C C ha  80 anni.
Non v'è intenzione scolastica e lungi l'idea di imbonimenti  metapsichici in queste rivelazioni. Conviene ricordare che in tutta la sezione, poiché il tema è ricorrente, non si vuole fare un'artificiosa apologia alla morte o aspergere in modo gratuito un intimidatorio memento mori.
Ciascuno interpreti come meglio crede. 

"Tutto si può comprare con i soldi, tranne l'amore". Una rancida massima, trita e ritrita in tutta la letteratura umanistica, ma che descrive una realtà ancora oggi poco discutibile, se per amore s'intende quel sentimento immateriale nobile e se per nobile s'intende tutto ciò che esula gli infermi bisogni materiali dell'uomo. Si dice pure che "la cosa più costosa al mondo sia la morte, perché essa ci costa la vita". Ma nessuno penserà mai che la cosa più preziosa che l'uomo abbia avuto dalla natura, è proprio la possibilità di morire (sic!). Chi avesse qualche dubbio lo chieda a un malato terminale. E siamo tutti dei malati terminali, prima o poi, anche se deteniamo la più ampia longevità. Una longevità esasperata conduce inevitabilmente a un decadimento irreversibile ed inarrestabile là dove la possibilità di morire è l'unica "salvezza". Ma scommetto uno su mille di trovare una sola persona disposta a credere che si possa comprare la morte, eternità esclusa, chiaramente.
Detto questo posso presentare un personaggio torrese le cui rivelazioni sono estremamente inquietanti. Pure in questo caso l'attendibilità della materia è dubbia; per alcuni ciò che qui si sostiene è nettamente inverosimile, posizione che a tutt'oggi regge pure chi scrive, che, però, non nasconde di soggiacere sotto il giogo del dubbio. L'andirivieni di alcuni momenti in cui penso che l'astratto non è razionale e, come il Mistero Divino, il non credere è razionalità che esclude la spiritualità, è, cioè, spaziarsi con la mente senza superare i limiti della ragione umana; ma nessuno può affermare categoricamente che al di là della nostra ragione ci sia un vuoto profondo; o che i concetti divini proprio perché inesplicabili non si possano umanizzare e comunicare con le loro forme indefinite anche solo attraverso un linguaggio di fortuna. 

Domanda: Da quanti anni C C lei farebbe, come dire... il mediatore della morte?
Risposta: Da quando sono riuscito a prolungare la mia vita in seguito ad un male incurabile.
D: Ma... questa morte, è per lei ancora un evento astratto, o la materializza, la vede come un'entità, anche se invisibile, che abbia avuto il macabro incarico di accogliere a sé coloro che si accingono a smettere di vivere o a trapassare, a seconda dei punti di vista.
R: La morte è un evento e non come molta letteratura fantasiosa l'ha descritta. Pure Dio è stato spesso materializzato nell'arte come un Vecchio Barbuto. L'astratto è incomunicabile. Eppure dovetti materializzare la morte per comunicare con lei.
D: Appunto. La sua mediazione per allungare la vita con chi avviene? Chi contatta, a chi si rivolge? Anche se si tratta di un'entità astratta essa è, come dire, gestita dal bene o dal male, tra virgolette?
R: Signor Mari, io la leggo spesso in Torreomnia, Lei ha una tendenza spiccata a dottrinarizzare tutto, e questo le viene perché è sempre volto all'analisi. Non mi ero mai posto prima il problema della iconografia della necessità di materializzare l'astratto per adoperare il linguaggio più consone al caso. La morte mi ha concesso la proroga quando ero disperato, in uno stato depressivo contingente, che paradossalmente mi faceva desiderare proprio la morte come sonno di pace. Cosa vuole che m'importasse tutto il resto, a chi fosse affiliata "lei". Umanizzandola la ritenni un tramite del divino che prima di concedermi una proroga alla vita, come emergenza, ponesse fine prima alla mia sofferenza....
D: Quindi lei vuole dire che il maggiore problema è non già la paura di morire, ma quella di soffrire, anche dopo morti non già come pasto dei vermi perché ciò si può ovviare con la cremazione, ma per la probabile assenza salvifica?
R: E' già, infatti ora mi angoscia l'idea che gli amici mi chiedono di intercedere con "lei" perché prolunghi la loro vita non solo perché temono l'Aldilà o perché si trovano in uno stadio terminale di malattia, ma anche quando non possono ulteriormente godere la vita, sperperare il danaro non sempre onestamente accaparrato; pure quando sono ossessionati dall'idea di lasciare i loro beni senza nessuna moralità, senza che sfiori loro il pensiero di devolverli in beneficenza, per esempio al di là del tornaconto salvifico simile a quello della vendita delle indulgenze pre-riforma luterana.
D: Quindi nessun conoscente povero le ha mai chiesto di intercedere con la morte?
R: Ma no, la cultura della morte in occidente è psichicamente devastante. Tutti abbiamo terrore di estinguerci. I poveri non vogliono morire non certo per lasciare le miche di pane dalle loro sdrucite tovaglie, ma hanno tanti altri motivi culturali e superstiziosi per averne terrore.
N: Il dialogo con C C non ha preso ancora risvolti di disagio o disturbo come per le altre interviste. La civiltà invita ad una sorta di perbenismo che rifugge o snobba le discussioni scempie o, per esempio, i nomi locali fuori dell'esoterismo di moda; insomma l'intellettualizzare la comunicabilità finisce col romanzare o poetizzare anche un evento soprannaturale così austero.                                    (Continua in seconda pagina)

La morte
non è nulla per noi
perché quando essa c'è
noi non ci siamo
e quando noi siamo
essa non c'è.
                          Epicuro