|
" |
CC mi ha
rilasciato questa intervista
il 12 marzo 2002 nella mia bottega artigiana di Via Purgatorio,
mentre fuori, guarda caso, imperversava una procella, in
una serata, credete, da tregenda, metereologicamente
parlando.
Oggi C C ha 80 anni.
Non v'è intenzione scolastica e lungi l'idea di
imbonimenti metapsichici in
queste rivelazioni. Conviene ricordare che in tutta la sezione,
poiché il tema è ricorrente, non si vuole fare un'artificiosa
apologia alla morte o aspergere in modo gratuito un
intimidatorio memento mori.
Ciascuno interpreti come meglio crede. |
|
"Tutto
si può comprare con i soldi, tranne l'amore". Una
rancida massima, trita e ritrita in tutta la letteratura
umanistica, ma che descrive una realtà ancora oggi poco
discutibile, se per amore s'intende quel sentimento immateriale
nobile e se per nobile s'intende tutto ciò che esula gli
infermi bisogni materiali dell'uomo. Si dice pure che "la cosa più costosa al mondo sia la morte, perché essa ci costa
la vita". Ma nessuno penserà mai che la cosa più
preziosa che l'uomo abbia avuto dalla natura, è proprio la
possibilità di morire (sic!). Chi avesse qualche dubbio lo
chieda a un malato terminale. E siamo tutti dei malati
terminali, prima o poi, anche se deteniamo la più ampia
longevità. Una longevità esasperata conduce inevitabilmente a
un decadimento irreversibile ed inarrestabile là dove la
possibilità di morire è l'unica "salvezza". Ma
scommetto uno su mille di trovare una sola persona disposta a
credere che si possa comprare la morte, eternità esclusa,
chiaramente.
Detto questo posso presentare un personaggio torrese le cui
rivelazioni sono estremamente inquietanti. Pure in questo caso
l'attendibilità della materia è dubbia; per alcuni ciò che
qui si sostiene è nettamente inverosimile, posizione che a
tutt'oggi regge pure chi scrive, che, però, non nasconde di
soggiacere sotto il giogo del dubbio. L'andirivieni di alcuni
momenti in cui penso che l'astratto non è razionale e, come il
Mistero Divino, il non credere è razionalità che esclude la
spiritualità, è, cioè, spaziarsi con la mente senza superare
i limiti della ragione umana; ma nessuno può affermare
categoricamente che al di là della nostra ragione ci sia un
vuoto profondo; o che i concetti divini proprio perché
inesplicabili non si possano umanizzare e comunicare con le loro
forme indefinite anche solo attraverso un linguaggio di fortuna.
Domanda:
Da quanti anni C C lei farebbe, come dire... il mediatore della
morte?
Risposta: Da quando sono riuscito a prolungare la mia vita in
seguito ad un male incurabile.
D: Ma... questa morte, è per lei ancora
un evento astratto, o
la materializza, la vede come un'entità, anche se invisibile,
che abbia avuto il macabro incarico di accogliere a sé coloro
che si accingono a smettere di vivere o a trapassare, a seconda
dei punti di vista.
R: La morte è un evento e non come molta letteratura fantasiosa
l'ha descritta. Pure Dio è stato spesso materializzato
nell'arte come un Vecchio Barbuto. L'astratto è incomunicabile.
Eppure dovetti materializzare la morte per comunicare con lei.
D: Appunto. La sua mediazione per allungare la vita con chi
avviene? Chi contatta, a chi si rivolge? Anche se si tratta di
un'entità astratta essa è, come dire, gestita dal bene o dal
male, tra virgolette?
R: Signor Mari, io la leggo spesso in
Torreomnia, Lei ha una
tendenza spiccata a dottrinarizzare tutto, e questo le viene
perché è sempre volto all'analisi. Non mi ero mai posto prima
il problema della iconografia della necessità di materializzare
l'astratto per adoperare il linguaggio più consone al caso. La
morte mi ha concesso la proroga quando ero disperato, in uno
stato depressivo contingente, che paradossalmente mi faceva
desiderare proprio la morte come sonno di pace. Cosa vuole che
m'importasse tutto il resto, a chi fosse affiliata
"lei". Umanizzandola la ritenni un tramite del divino
che prima di concedermi una proroga alla vita, come emergenza,
ponesse fine prima alla mia sofferenza....
D: Quindi lei vuole dire che il maggiore problema è non già la
paura di morire, ma quella di soffrire, anche dopo morti non
già come pasto dei vermi perché ciò si può ovviare con la
cremazione, ma per la probabile assenza salvifica?
R: E' già, infatti ora mi angoscia l'idea che gli amici mi
chiedono di intercedere con "lei" perché prolunghi la
loro vita non solo perché temono l'Aldilà o perché si trovano
in uno stadio terminale di malattia, ma anche quando non possono
ulteriormente godere la vita, sperperare il danaro non sempre
onestamente accaparrato; pure quando sono ossessionati dall'idea
di lasciare i loro beni senza nessuna moralità, senza che
sfiori loro il pensiero di devolverli in beneficenza, per
esempio al di là del tornaconto salvifico simile a quello della
vendita delle indulgenze pre-riforma luterana.
D: Quindi nessun conoscente povero le ha mai chiesto di
intercedere con la morte?
R: Ma no, la cultura della morte in occidente è psichicamente
devastante. Tutti abbiamo terrore di estinguerci. I poveri non
vogliono morire non certo per lasciare le miche di pane dalle
loro sdrucite tovaglie, ma hanno tanti altri motivi culturali e
superstiziosi per averne terrore.
N: Il dialogo con C C non ha preso ancora risvolti di disagio o
disturbo come per le altre interviste. La civiltà invita ad una
sorta di perbenismo che rifugge o snobba le discussioni scempie
o, per esempio, i nomi locali fuori dell'esoterismo di moda;
insomma l'intellettualizzare la comunicabilità finisce col
romanzare o poetizzare anche un evento soprannaturale così
austero.
(Continua in seconda pagina) |