| immagine, delle lettere o altro. Si legge sovente
        nelle storie della letteratura che tale antico sistema fu inventato dai
        cinesi nel VII secolo. Le xilografie illustravano i libri degli
        amanuensi e continuarono ad apparire nei libri stampati fino alla metà
        del 1800, sino a quando, lo ripeto, fu scoperta la fotomeccanica,
        altrimenti detta fabbricazione di cliché. Furono realizzate xilografie
        a più colori sovrapposti, ed alcune eseguite addirittura con tecniche
        chiaroscurali di eccezionale finezza da non aver davvero nulla da
        invidiare alle moderne elaborazioni fototecniche; quest’ultime forse
        più, come dire, ripetitivamente perfette, grazie ai mezzi, ma senz’altro
        inferiori alle prime come valore artistico. L’esigenza di moltiplicare
        le immagini fu pressante. I caratteri di piombo non erano sufficienti ad
        estrinsecare alcuni concetti che sono e saranno sempre di carattere
        visivo. Fu sperimentata, ad esempio la calcografia, inventata nel
        1450 da TOMMASO FINIGUERRA, parallelamente ai caratteri di Gutenberg. La
        tecnica consiste nell’incidere col bulino delle lastre di metallo, ma
        in negativo in maniera che, all’atto dell’impressione,   |  | 1’inchiostro, depositato nei solchi, aderisca alla
      carta con gradevoli caratteristiche di morbidezza. Con buona pace di
      Gutenberg, questo sistema di produrre uno stampo costituiva gia allora il
      rudimento della moderna stampa rotocalco che sostiene, oggi,
      forse il 30% del mercato grafico generale. Tratterò ampiamente l’argomento
      più avanti. Solo nella meta del secolo XVIII la calcografia si traduceva
      in rotocalco, grazie ai componenti chimici fototecnici. Fu scoperto che
      collodio e bicromato divenivano sensibili alla luce, così
      sulle lastre di metallo veniva spalmata una colla mista a bicromato
      di potassio. Sovrapponendo alla lastra presensibilizzata una garza nera
      che fungeva da retino (ma in questo caso produceva alveoli e non punti)
      insieme alla maschera costituente il disegno, la si esponeva al sole.
      Durante lo sviluppo la colla si scioglieva nelle parti non colpite
      dalla luce. Sulla lastra rimaneva la forma della figura copiata. Dopo la
      morsura dell’acido, si otteneva una matrice composta da una miriade di
      alveoli, al contrario del retino del cliché, costituito da migliaia di
      puntini in rilievo. Quindi: impronta digitale come  |