CRISOSTOMO di Franco Penza
Sul piazzale della Circumvesuviana di Ercolano un
giovane m’invita nella sua auto, avendo intuito la mia idea di recarmi
sul Vesuvio. Con duemila lire sino a quota mille, poi a piedi sulla
bocca.
Mentre sale l'auto, mi sento travolgere dalla voce cavernosa dell’uomo.
Il vento fischia, vigila dietro di noi il Nasone, in mezzo l’Atrio del
Cavallo e la Valle dell’inferno. Col fiatone, senza guardare giù
arrivo al cratere, guardo dentro, smarrito e meravigliato e respiro
ampiamente, quasi a trasmettermi un pizzico di forza della natura, che
potrebbe annientarci in un attimo.
"Dottò, mi ascoltate? Io sono Crisostomo. Non impressionatevi: non
ho la bocca d’oro e non sono greco. Sono nato e vissuto all’insegna
della libertà, senza pretese, modestamente, ma felice. Tozzo di pane
bagnato in acqua, sale e olio d’altri tempi. Lettuccio d’assicelle e
coperta leggera, ma tanto amore a scaldare il cuore freddo.
Ho frequentato l’Università con leggerezza, senza lasciarmi scalfire
dalla muffa del metodo e dei concetti. Abituato all’aria pura, al
cinguettare degli uccelli, al fruscio degli alberi, sono catapultato nel
vortice della città. La macchina, l’appartamento lussuoso, il
successo sociale a me non interessano. Il matrimonio è difficile per
gli uomini nati liberi e può significare la morte civile per chi ha un
concetto diverso da quello inteso normalmente. La donna, si sa, corre
dietro la casa, il marito, i figli: chi è lontano da tutto ciò, eviti
il matrimonio; la sua compagna non potrà mai capirlo, non intenderà
mai le sue istanze, perché troppo lontane dalla sua educazione. Prima
Bruna tenta di condurmi all’altare. Ragazza alta, robusta,
intelligente, nasino all’in su. Coltivava garofani nella campagna
vesuviana. Adesso è un insegnante di Religione. Perché non la sposai?
E’ presto detto. Le sue idee erano stravaganti per me. Dieci figli,
una posizione sociale importante, un villino al mare ed un altro in
montagna. Anche se debbo riconoscere che fu penoso, dovetti abbandonare
l’impresa.
Non si possono dimenticare le carezze di una ragazzina e la durezza di
una mamma. Anche Annarella chiedeva un marito, una casa, dei figli.
Anche Geppina e Ina. Mentre stringevo il corpo, mi sfuggiva il cuore.
Maria, la perpetua, Lucia, la filosofa, e Rita, la mangiatrice di pesce
con lische e cervello, mi distrussero e non mi aiutarono. La lotta l’avrei
certamente abbandonata, se non avessi incontrato una giovane, che mi
sembrò scendere dalla luna per le sue idee progressiste. Una
costruzione sulla sabbia. Ma il suo smarrimento m’invase. M’accorsi
subito di ciò, ma volli insistere. Significò lavoro monotono
quotidiano, abbandono della città natale, isolamento.
I genitori della ragazza e del ragazzo, i parenti prossimi e lontani, i
cognati, i fratelli ti rendono l’aria irrespirabile: sembra di
sposarli tutti. Chi non è inserito, dottò, è pazzo; è un fallito,
perché il vero uomo produce molti soldi. La morte civile. E chi si
rassegna. La lotta m’intristisce. La malinconia invade la mente. Ieri
l’arte e la letteratura cibavano il corpo. Oggi il lavoro solito dà
la sopravvivenza, ma non la vita dei verdi anni. Morto l’artista, viva
l’impiegato. E dove sono le idee? Io mi sono ribellato, mia moglie mi
ha lasciato, sono un tassista abusivo per sentirmi libero!"
Crisostomo caro, hai ragione perfettamente. Siamo tutti nelle tue
condizioni. Ma si può tornare indietro?…
Franco Penza
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