Anno III
Aprile-maggio 2003 
n. 4-5

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Guerra  a ‘nfenta…
di Giovanni D’Amiano

Bomme intelligente,
razze cummannate ‘a luntano:
chi spara nu’ vede e nun sente
‘e muorte, ‘e  ppatenze.
E, ognuno, distratto, penza
ch’è guerra pe ‘nfenta
cumbattuta, sultanto, 
dint’a ‘o cinematografo
d’’o scaravattolo d’’a televisione.

‘O sango ca se spanne
nun se vede;
‘e strille p’’a paura
nun se senteno;
‘e figlie ca moreno,
‘e mmamme ca chiagneno,
‘e pate ca se ranneno,
nun se canosceno.

E nuie, uommene struite e sensibbele,
‘mpurpate  ‘e libertà, 
fraternità, uguaglianza,
continuammo, a ‘nfenta, ‘aiutà  a ll’ate,
tenenno chiena ‘a panza,
e penzanno ‘e recità dint’a  ‘o triato. 
La Pasqua

Una festa tra sacro
e profano

di Carla Di Cristo

Ogni anno con l’arrivo della primavera si rinnova la nostra santa devozione per la festa di Pasqua, ci si accinge a celebrarla con riti cattolici quali, la Via Crucis, la visita ai Sepolcri e la Cena del Giovedì Santo, in memoria della passione e morte di Gesù. E’ il periodo più importante dell’anno liturgico cattolico, culminante nella resurrezione di Cristo Salvatore.
Nelle famiglie si preparano torte e rustici quali, la pastiera di grano o di pasta, la colomba, il casatiello salato e dolce e le pizzette di carciofini, una pietanza molto cara a mio

nonno Peppino. Si mangiano le uova  sode, presenti sia nel casatiello, sia come antipasto. Il Sabato Santo a mezzogiorno si fa un assaggio dei cibi preparati e a Pasqua si va a messa e si ascolta la parola di Dio. Il lunedì in Albis si fa una gita fuori porta e si mangia il salame, le torte rustiche, i dolci pasquali, le uova e si trascorre una giornata diversa in allegria.
Nel periodo pasquale si regalano le uova di cioccolato come simbolo d’unione e fratellanza, ci si scambiano gli auguri e si cerca di vivere in pace, serenità e in buona compagnia.

Marcia su Roma - Gli squadristi sfilano davanti al Quirinale: al balcone il Re Vittorio Emanuele, foto d’epoca

Gianfranco Venè:
il Golpe
fascistadi Antonio Giordano

Gianfranco Vené, storico di chiara fama, da prendere d’esempio, intende non scrivere la storia in senso classico, ma la descrive come cronaca storica; quello che in diversa natura dovrebbero anche fare i quotidiani. Ed è così che è impostato tale libro, con una scrittura sobria ed efficace, in modo che possa essere facilmente leggibile.
Egli scrive di un re che il 27 ottobre del 1922 è avvertito nella sua tenuta di caccia di San Rossore, che dei facinorosi con tutti i mezzi si stavano avviando su Roma. Scrive che il monarca ordina a Facta, il primo ministro, d’imporre lo stato d’assedio, mentre poi alle sei del mattino un Facta tutto intriso di pioggia, diede l’ordine di abolire lo stato d’assedio, facendo capire che in nottata il re aveva ricevuto pressioni, soprattutto dal Papa.
Scrive che il 28 ottobre 1922, dalla Prefettura di Perugia, dove ancora pioveva, i quadrunviri De Bono, Balbo, Bianchi e De Vecchi seguivano la situazione, quand’anche Mussolini volesse accontentarsi di cinque ministeri; mentre la vera mente del golpe, il malato di tisi Bianchi, disse di giocarsi solo di un bluff. Infatti, il colpo di stato fece solo cinque morti, di cui una accidentale, a Napoli, dove un colpo di pistola in un momento di panico colpì in bocca una donna di ottant’anni su un balcone, mentre dormiva.
Nella tarda mattinata il generale Pugliese, che informava telefonicamente il primo ministro, disse, che con quattro cannonate avrebbe sgombrato il campo da tali balordi, armati quasi di niente; Facta gli rispose che all’ultimo momento l’ordine sarebbe arrivato. Non arrivò mai e, a mio avviso, se si riflette bene, tale golpe fu permesso dal re.