Anno II
Febbraio 2002 
n. 2

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Portici, città capoluogo
di Gianfranco Oliviero
 
    Il porto borbonico del Granatello
  e la stazione ferroviaria di Portici

a cielo aperto, anche se il commercio le dava e le da una parvenza di cittadina provinciale alle falde del Vesuvio.
Sta di fatto che i luoghi più significativi della città come il Granatello con le vie di accesso, la Riccia, Piazza Poli, i giardinetti di Via Roma, o il Bosco Reale con la dirimpettaia Villa comunale costituiscono i pochi centri di aggregazione sociale, in una città fatta da tanti palazzi di mera figurazione architettonica, che solo un progetto di arredo urbano potrebbe, e lo sta facendo, migliorarne la visibilità.
Una città è fatta di strade, isolati urbani, piazze e punti d’incontro per giovani ed anziani. Questo a Portici non c’è, se non per adattamento di chi vive o per meglio dire subisce la città.Per finire dal punto di vista
sociologico i cittadini della non metropoli vivono in luoghi ristretti identificabili con le proprie case, lavorano fuori, e usufruiscono poco dei servizi in minima parte esistenti.
Portici, città di traguardi e non metropoli.

Portici è una città riconosciuta da tutti per essere frontiera di un’urbanizzazione selvaggia perpetrata negli anni ’60, ’70 e ’80. Questa ha subito durante i decenni precedenti il restyling, un’aggressione cementizia, lasciando pochissimo  terziari e all’ambiente deurbanizzato.
Su di una superficie di poco più di 3 km2 abitano all’incirca 70.000 cittadini che usufruiscono sia di un impianto urbanistico e territoriale obsoleto, sia di un plusvalore commerciale (il commercio e le attività terziarie costituiscono l’humus produttivo di Portici) relativamente esteso.In ogni caso la città di Portici non si distingue, se non dal versante dell’ambiente urbano-cittadino, da città come Ercolano, Torre del Greco e S. Giorgio a Cremano.
In passato la provincia a sud di Napoli è stata contraddistinta da fortissimi tassi di natalità ed immigrazione dal capoluogo, con una maggiore richiesta abitativa e stimolando una massiccia cementificazione del suolo cittadino, tanto da deturpare le bellezze storiche - artistiche esistenti, come le ville lungo corso Garibaldi, o l’area di Bellavista, dove la Circumvesuviana si fermava per far scendere i facoltosi napoletani, che ivi si recavano, avendo lì il loro luogo preferito di soggiorno e riposo. Così come la fama dei bagni, come il lido Dorato, permetteva il soggiorno estivo

di famiglie intere che lì trascorrevano le vacanze fino agli anni ’50. Ed inoltre il bosco di Portici con l’annessa reggia dove fu collocata la facoltà di Agraria, Reggia che costituisce un esempio di urbatettura, perché non antepone un prospetto alla strada che in tal caso l’attraversa, costituiscono il polmone verde di una città assassinata dal cemento.
Portici ha essenzialmente due strade parallele: Corso Umberto I° e Via Della Libertà, che permettono il congiungimento del porto e dell’annessa stazione ferroviaria con il casello autostradale, e Via Diaz, che congiunge Corso Garibaldi a Bellavista. Mentre il Corso Garibaldi è una strada con il proprio impianto urbanistico, Via della Libertà e Via Diaz, congiunte dal Viale Leonardo da Vinci, che è un’isola pedonale, seguono l’andamento degli antichi rivoli, che dalle pendici del Vesuvio scendono fino a mare (rispettivamente al porto e giù alla Riccia).
La densità urbanistica di Portici trova confronto solo in alcune metropoli cinesi e giapponesi. Portici non è una metropoli, ma un’area metropolizzata, non essendovi con la città capoluogo, Napoli, quelle interrelazioni produttive e di servizio terziario e quaternario, proprie delle metropoli.
Per molti decenni, a noi che abbiamo fatto il liceo Filippo Silvestri a Portici, la città è apparsa come un dormitorio

La Facoltà di Agraria di Portici
di Pietro Oliviero


 Veduta dal giardino della Facoltà                Agraria di Portici
carattere culturale. C’è però l’esigenza di trovare una sistemazione diversa per i laboratori dipartimentali, sempre nel comune di Portici, per ovvi motivi di vicinanza onde evitare lo smembramento della facoltà. Infine c’è da affrontare le questioni circa l’utilizzo, che molti giudicano improprio, dei locali della Reggia.

La facoltà si trova nella Reggia di Portici che sorse per volere di Carlo di Borbone e della moglie Maria Amalia, innamorati di quel luogo ameno ai piedi del Vesuvio, in una posizione strategica della città, a cavallo della Regia strada che prese il nome di "Miglio d’oro". Lungo la strada il re acquisì nel 1747 il Palazzo Nascabruno con l’attiguo ampio bosco che oggi fa parte del parco inferiore e dopo l’intervento di ampliamento nel 1756, fu usato come regie scuderie.
La Reggia fu fatta costruire su disegno dell’architetto romano Antonio Canevari nel periodo 1737 - 1743, la decorazione delle sale fu affidata a pittori quali Giuseppe Bonito, mentre le sculture, realizzato in marmo di Carrara, furono attribuiti al Canart.
Il Palazzo è caratterizzato da un ampio vestibolo, in pratica l’ingresso dell’edificio, che conduce al piano nobile.
Un elemento di rilievo del complesso

architettonico è il grande parco, che all’epoca era riserva di caccia del re e si estendeva dal mare fino alle pendici del Vesuvio.
La Reggia fu acquistata presso il demanio della provincia nel 1871 con l’intento di destinarla a Scuola Superiore d’Agricoltura di durata Triennale e i primi iscritti furono 19. Nel 1893 la durata dei corsi passò a quattro anni e nel 1923 assunse il nome d’Istituto Superiore Agrario alle dipendenze del Ministero dell’Agricoltura. Nel 1935 l’Istituto passò al Ministero della Pubblica Istruzione, assumendo il nome di Facoltà di Agraria dell’Università degli studi di Napoli, che per molti anni rimase l’unica nel Mezzogiorno. In un’intervista il nuovo preside della Facoltà, Alessandro Santini. ha ribadito la volontà di conservare il rapporto ormai centenario con la città di Portici, anche se non ha tralasciato la possibilità di aprire la Reggia al pubblico con iniziative di