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Preludio di Primavera.

La primavera ancora lontana

è già intravista

al primo sole di febbraio

mentre faticosamente

ci spogliamo

della tetra cappa invernale

così a lungo sopportata.

 

Per la festa di San Biagio

sulla spiaggia della Scala

nera lingua di rena

tra il mare e le arcate

del muraglione della ferrovia,

alti lontano i silos del mulino,

il primo tepore del sole

brezza odorosa di mare

e di verdi alghe

cullate dalla risacca

preludio di primavera,

andiamo alla Chiesa del Santo

nella Cupa oltre la ferrovia,

altri profumi, ci accolgono

ora campestri

di orti e parule già verdi,

per il rituale taralluccio

e l’olio santo

ad esorcizzare il mal di gola.   

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Un nuovo mondo.

Travestimenti esibiti

con smodata allegrezza

per le carnevalesche usanze

ed ostentate nuove ricchezze,

improvvisa mutazione

di antichi valori

e benessere,

si balla ai ritmi liberatòri

del nuovo mondo

nel contrasto di penose indigenze

quaresimali giorni

in attesa della resurrezione.

Finiti i giorni grassi,

carnascialesca profusione

di letizie mangerecce

lasagne e sanguinaccio,

a scandire dalle Ceneri

le sette settimane di Quaresima,

solo zeppole per San Giuseppe

dolce sosta nel lungo magro,

nonno Giacomo dà forma

con bastoni e stracci

alla sgraziata vecchia

quaresima secca secca

alta impalata sull’asta, roteante

ai venti che penetrano sulla loggia

con le sette penne di voccole

ogni domenica una strappata

contiamo quelle rimaste

felice trepida attesa

alla primavera e Pasqua.     

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18 marzo 1944. 
Eruzione del Vesuvio

E’ quasi primavera e la Montagna

rinnova la già lontana memoria

di veglie ed allarmi.

Notti di ansie

nella piazza della Parrocchia

per il temuto maremoto

tra facciate di palazzi

lampeggianti al rosso vomito.

Tetra e asciutta pioggia,

nebbia di bruna cenere

che offusca il giorno

e copre strade e case

avvolte nella penombra

di un cielo senza sole.

Dagli astechi e dalla loggia

riversiamo a secchi nella strada

lo scuro talco piovuto,

come in un gioco

a bagnare passanti.

Nuvole veloci, scrosci improvvisi
e caldo sole accecante
alternanti nei temporali

trubbeja
di primavera.

La fresca tramontana

il vento di terra

scende dalla Montagna

azzurrando il cielo

e sul mare oleoso

increspanti

si rincorrono brezze.

Spazzata la foschia

Capri alta più di ieri

azzurro zoccolo galleggiante

disvela bianche case.

   

Freschi venti di maestrale

sostenevano cumete

dalla lunghe code

il Nonno incalzato a costruirle

per tutti i nipoti.

Seduti sulle panze dell’asteco

ammiriamo lontana

la colorata farfalla sospesa

docile al sapiente tendere

ed allascare del filo tricolore

raccolto a gliuommero su bastoncini.

Alle staccannate vola in alto,

evoluzioni ad evitare scontri

e picchiate improvvise

e giù, indocile, verso la strada

impigliata al cavo teso

del lampione dondolante.

Protési dal parapetto ruvido

sguardi delusi

al vorticare impazzito

di uccello impaniato.

 

 

L’agnello per la Pasqua

amico di giochi fino all’estate

sfuggito al rituale sacrificio

ceduto allo scannapiecore

con la rassicurante promessa,

ma il timore restava,

di vita lunga nel gregge

collarino rosso e campanelli

libero al pascolo nella zona Calastro

sui prati scoscesi volti al sole

del terrapieno della ferrovia.

   

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L’inverno è passato.

Ora siamo pronti per il laboratorio.

Giacomo, il più esperto,

per lavori di fino

mentre Ciccio soffia come mantice

dal cannello di ottone stretto tra i denti

sulla fiamma fumosa di petrolio

a saldare pezzi su cartoni di amianto

flange, cartocci, borace e saldatura.

Anche Elisa con le cugine

prepara cartocci e unisce pezzi

sull’amianto stendendo borace

con pennelli di piume

strappate alle galline

ricomparse sulla loggia.

A sera siamo neri come carbonai.

Mi mandano fuori per acquisti,

rame e ottone con la pressa a rulli

schiacciati in tante passate

nel buio untuoso dell’officina

una grotta miezo a Piscopia,

e per la doratura dei finimenti

dall’orafo Altieri, ‘ncoppa a vesuviana,

che lesina la lega per la saldatura

e baratta solo in cambio di posate

e cinque lire d’argento

procurate casa per casa.

Consegno il lavoro e ritiro i cammei,

da Geremia il cascettaro, ncoppa a Ripa,

ed i compensi pattuiti.

Torno a casa pieno di soldi.

Attendiamo impazienti

il ritorno a casa di Papà.

 

                           E' furnuto (Fine)