Torre e il corallo   pag. 10 di 17

I TORRESI ALLA
SCOPERTA DEL CORALLO
IN GIAPPONE

Qui e necessario tornare agli ultimi decenni dell’Ottocento, a quando, cioè, sia per il peggioramento qualitativo del corallo «Sciaca», raccolto ormai sugli strati più profondi di quei giacimenti, sia per le notizie intorno ad un corallo sconosciuto pescato in mari molto lontani, alcuni intraprendenti Torresi rivolsero il proprio interesse all’Estremo Oriente, da cui proveniva quel1’eccezionale «corallo giapponese».
Furono molti i nostri concittadini che decisero di andare a rendersi conto di persona di cosa si trattasse. Secondo l’allora Console italiano Alfonso Guasco (il quale conosceva cosi bene la lingua giapponese da esserne insegnante all’Università di Kyoto), il primo corallaro che mise piede nel Paese del Sol Levante fu Bartolomeo Mazza, nel 1888.
A dire il vero a Torre si sostengono varie tesi sulla priorità dell’arrivo in Giappone; infatti la versione riferita viene contestata da Luigi Scognamiglio «Pescesicco», da me incontrato pochi mesi prima del suo decesso avvenuto nel 1980. L’ultimo esponente di quell’era pionieristica mi assicurava che 1’iniziativa fu del ventiquattrenne Luigi Gentile «Mustacciuolo», del quale ci fornì perfino qualche particolare relativo alle iniziali difficoltà economiche.
Questo giovane, per acquistare la sua prima partita di corallo «straniero», non disponendo di somme sufficienti, fu costretto a chiedere telegraficamente a casa 1’invio di almeno L. 10.000. La famiglia, dopo aver tenuto «consiglio», gliene mando 20.000 racimolate tra parenti ed amici. «Pescesicco», inoltre, faceva risalire allo stesso Gentile anche la definizione di «insignificante » (in giapponese «Boke») data a quel prezioso corallo.
Comunque, tra i primi, certamente dovettero essere sia i cugini Michele e Andrea Scognamiglio sia Leonardo Mazza (sposato a un’indiana), in quanto tutti, come l’omonimo Bartolomeo, furono facilitati nel trasferimento in Giappone, essendo gia residenti a Calcutta. Seguirono, poi, Gennaro Liguori, Aniello e Giovanni Onorato, Enrico e Gennaro De Rosa, Giacomo
de Dilectis, Antonio Borrelli detto « Culera », Giovanni de Dilectis, Raffaele Gentile, Giuseppe Vitelli, Michele Vitiello «’a Cusella». Tutti nomi, questi, che assieme a quelli di Antonio Bellini (trapanese) e Giulio Lazzara (livornese), unici «stranieri» tra tanti Torresi, fanno parte della storia del corallo.
Non ha grande importanza sapere chi sia andato per primo «laggiù», come usiamo noi indicare 1’Estremo Oriente, perché e a loro tutti che dobbiamo riconoscere il merito di essersi spinti alla scoperta del corallo «giapponese» in un’epoca ben diversa da quella attuale, oltre che di esserne stati i valorizzatori.
Luigi Scognamiglio, malgrado i suoi 90 anni, ricordava in piena lucidità il viaggio che lo portò da solo, ad appena 18 anni, verso le incognite di un continente lontano e sconosciuto. Con nostalgia, spiegabile nel ricordo della ormai passata gioventù, mi raccontava degli enormi disagi cui si sottoponevano quei giovani per raggiungere il Giappone, sia via terra che via mare.
Si trattava di grandi sacrifici anche di ordine pratico, perché partivano portando da casa perfino le provviste (pasta, olio, ecc.), che poi cucinavano sulla nave o nelle stazioni ferroviarie.

 
  Un gruppo di commercianti di corallo in Giappone:
       (da sinistra: Luigi Gentile, Aniello Onorato,
          Antonio Borrelli e Michele Vitiello detto
        (’a Cusella). Al centro il giapponese Kamei
                   (foto primo decennio sec. XIX)


mancavano ai nostri. In treno essi attraversavano 1’Austria, la Polonia, la Russia e la Siberia; da Vladivostok, poi, raggiungevano Kobe via mare: 40 giorni molto « pesanti », in particolare sul lungo percorso russo, dovendo rimanere chiusi negli scompartimenti con possibilità di uscirne solo in determinate stazioni. L’itinerario via mare richiedeva, invece, circa 60 giorni, anche questi tutt’altro che piacevoli; generalmente essi si imbarcavano su piroscafi italiani e te- deschi a Napoli oppure a Brindisi; toccavano Porto Said e, attraversando il Canale di Suez, raggiungevano Colombo, poi Singapore, Hong Kong, Shangai ed infine Kobe. Kobe: in questa città si era formata la «nostra colo- nia ». Per gli acquisti del grezzo, bisognava spostarsi ad Osaka, che era il centro commerciale del Giappone; ed anche per questo breve viaggio i disagi nononcittadini, i quali si servivano sempre dei mezzi di trasporto più economici. Dei fornitori abituali lo Scognamiglio ricordava persino i nomi: Kamei, Hamada e «Sango San». Quest’ultimo, pero, era solo un soprannome datogli dai Torresi, per i quali il vero nome era troppo difficile da pronunciare. Trattandosi di un commerciante di corallo, come chiamarlo se non «Signore del Corallo»? (in giapponese «sango» e corallo e «san» e signore).
A Torre del Greco, grazie a quei pionieri, cominciò ad arrivare dal Giappone quel corallo bianco, spesso rosso, a volte rosa ma sempre più grosso e robusto del nostro. Dopo le prime partite inviate direttamente dagli interessati alle rispettive « famiglie-manifatture » esse, divenute più consistenti, passarono «nelle mani» di alcuni grossisti. Il primo di questi fu Francesco Liguori «don Ciccio ’a Murena», al quale saltuariamente si associavano Antonio Borrelli e Gennaro Liguori. Le valutazioni che all’epoca si davano alle varietà di importazione, oggi ci lascerebbero perplessi: mentre un chilogrammo di « Cerasuolo fiorito » costava L. 261, per uno di «Moro» ne occorrevano solo 180. D’altra parte tutta la « vita » del corallo giapponese ha avuto un decorso «contrario» e totalmente anomalo; infatti, agli inizi il bianco era il migliore, poi veniva il «Cerasuolo», dopo il «Moro» ed infine il «Boke». Esattamente 1’opposto di quanto doveva accadere in seguito.
L’euforia per il nuovo corallo, pero, non era con- divisa da tutti e in particolare da quanti avevano stipato i propri depositi di prodotto «Sciacca». Il «giapponese», a Torre, faceva sempre molto parlare di se; ne veniva seguito ogni movimento e, quand’era possibile, lo si avversava con tutte le forze. Era temuto come un rivale infido e sleale e, nel migliore dei casi, considerato un vero intruso.
Ma questo corallo era mal visto non solo a Torre.