Torre e il corallo      pag. 4 di 17

LA PRIMA «FABBRICA» 
DOVUTA A UN FRANCESE

 Palazzo del marchese Caracciolo di Castelluccia,
  sede della prima " fabbrica " di corallo a Torre
  del Greco fondata dal francese Martin nel 1805

Intanto a Torre nel 1805, purtroppo ad opera di uno straniero, era sorta la prima fabbrica per la lavorazione del corallo. Paolo Bartolomeo Mar- tin, marsigliese di origine genovese, con 1’esperienza acquisita nei dieci anni in cui era stato direttore della Compagnie Royale d’Afrique, ritenne opportuno e conveniente darsi all’attività del corallo. 
Decise di trasferirsi dalla Francia nel Mezzogiorno d’Italia con 1’intento di impiantarvi una fabbrica simile a quelle esistenti in Marsiglia fino alla Rivoluzione Francese. Naturalmente il suo fiuto gli consiglio anche di non allontanarsi troppo dal luogo dove più agevole era il reperimento del greggio: scelse, quindi Torre del Greco, nel cui porto approdavano, ancora cariche, tutte le nostre coralline. Ferdinando IV di Borbone lo autorizzò alla installazione, gli concesse una «privativa» per dieci anni, confermata 1’anno successivo da Giuseppe Napoleone, che esonerava Martin anche da ogni gravame fiscale. Al francese fu fatto obbligo di mantenere a sue spese alcuni giovani apprendisti e di insegnar loro il mestiere cosi che, allo scadere della privativa, la lavorazione potesse divulgarsi senza difficoltà. 
Ai torresi, invece, non venne richiesto nulla a tutela degli interessi dell’imprenditore: anzi, i pescatori erano persino liberi di vendergli o meno il grezzo e i commercianti di continuare a importare il lavorato da qualsiasi centro convenisse loro. L’impianto prese sede nel palazzo del Marchese Caracciolo di Castelluccia (purtroppo demolito più di cinquant’anni fa) nell’attuale Via Diego Colamarino, e gia l’anno successivo a quello di avvio dava lavoro ad una trentina di operai locali; oltre alla so- lità lavorazione di prodotti a superficie liscia si eseguiva anche la «faccettatura», importata da Marsiglia, che ne era stata uno dei primi centri. Il Martin, attento alle evoluzioni del mercato e seguendo il divulgarsi in Europa dello stile Impero penetrato anche nella gioielleria, decise di adeguarsi ai tempi inserendo l’incisione nella gamma dei suoi manufatti. Poiché, all’epoca, i migliori incisori di cammei su conchiglia erano a Roma, egli and0 in quella città per attingervi la necessaria «materia umana», fece ritorno a Torre con uno dei più noti incisori del momento, il Pansinetti, il quale, assieme al figliastro Filippo Garofalo, dette origine a tutta una stirpe di ottimi artisti. 

      
            Modellino di una corallina dell'800
  premiata a Parigi nel 1966 con medaglia d'oro.
           Collezione azienda Basilio Liverino
  
La «manifattura», grazie all’acume e al savoir faire dell’industriale, ma certamente grazie anche al rinato interesse per 1’ornamento di corallo, dopo cinque anni dal suo nascere contava 200 lavoranti e un esteso giro di affari. Per 1’incisione, non prevista nella iniziale «privativa», il Martin ottenne da Gioacchino Murat una «patente di introduzione» per cinque anni; come la precedente, era una specie di brevetto secondo cui solo 1’Azienda Martin poteva fabbricare e vendere, sia nel Regno che fuori, i prodotti incisi, dei quali si vietava ad altri la riproduzione e 1’imitazione. Tanta eco aveva il successo del marsigliese e tale era la diffusione del corallo in quegli anni, che il gioielliere Caire di Torino, fornitore di Casa Savoia, tento, senza riuscirvi, di indurre il Re di Sardegna a disporre 1’installazione in quell’isola di una fabbrica per la trasformazione del corallo.

Al francese, non furono sufficienti tutte le privative e le patenti concessegli per mantenere nell’ambito della sua azienda la lavorazione del corallo, della quale i torresi, non si sa a quale titolo, si senti- vano gia i futuri, unici depositari. Infatti, malgrado il divieto, alcuni lavoranti di quella fabbrica avevano cominciato a produrre anche per proprio conto; poi, sorta una controversia sull’orario di lavoro, alcuni di essi furono licenziati. Tra questi erano certi Persichini, Fattori, Veneziani, Mangiarotti e Carbone, che si sentirono ancor più in diritto di dar vita a nuovi nuclei produttivi.
       
Naturalmente, Martin fece ricorso affinché i suoi sanciti diritti fossero rispettati, ma, anche allora, il «padrone» ebbe torto: la privativa gli era stata con- cessa, siamo d’accordo, pero, ci si era resi conto che 1’incisione e un’«arte», per cui non poteva essere assoggettata ad alcuna limitazione e chiunque era libero di esercitarla. Cosi, da un’iniziativa straniera e da una insofferenza tipicamente nostrana, la lavorazione del corallo mise definitivamente a Torre del Greco quelle radici, che, col passare del tempo, si sarebbero estese nel fertile «terreno umano» della Città.