Tipografia
artigiana
Eccoci di fronte all’arte applicata propriamente detta. Da sempre i
movimenti artistici relativi alla pittura, architettura e via dicendo,
vanno a braccetto con la tipografia, o viceversa. Ciascun lavoro
tipografico, per certi versi, non è meno di un messaggio d’arte, cioè
l’elaborazione e la realizzazione grafica di un’idea del bello.
Nella progettazione con materiale tipografico, ad esempio, i caratteri
parlano. Il disegno di uno stile: Bodoni, Romano, Gotico, Garamond, ecc.
non è solo il risultato fortunato di una elaborazione più o meno
artistica dell’alfabeto. La forza delle aste o la leggerezza dei
tratti, gli svolazzi, la grazia dei contorni e la vivacità dei toni
suggeriscono l’uso appropriato, quindi connaturale dei caratteri
scelti.
L’esecuzione del lavoro nelle botteghe artigiane avviene spesso in
maniera frammentaria a causa della scarsità degli addetti alle svariate
mansioni. Forse il mio caso e emblematico. Spesso la mia giornata, come
la via che mi ospita, e un purgatorio. La bottega angusta, come tutte le
altre della terra vesuviana. La strada sempre a portata di mano. Le
nonnine del gerontocomio adiacente richiedono la scrittura manuale di
missive da destinare ai figli lontani, facoltosi, ma ingrati. Il
falegname od il macellaio di fronte che domandano ora un cacciavite, più
tardi un autoadesivo onde mimetizzare l’ammaccatura alla Vespa. Punto
lo sguardo su di un avventore e dò un’occhiata di sbieco
all’apprendista che mi domanda delucidazioni sul tono di un colore.
Intanto l’orecchio è teso al trillo del telefono. Una mano e già
allungata sulla tastiera della Linotype per comporre un rigo di
correzione. La consorte Rosaria mi chiede spiccioli per il resto. Ma ci
sono i cinquanta avvisi di lutto da tirare. Un salto da una macchina
all’altra con gli stinchi indolenziti per le contusioni contro le
cassette di piombo o le pedane impilate. Quindi un calcolo tipometrico
in piedi. Un occhio sul taccuino e l’altro che osserva la qualità di
stampa all’uscita della platina. La bocca da un lato sorseggia un caffè
corretto ai moscerini, dall’altro aspira un’ampia boccata di fumo
per sedare lo stress.
Per fortuna non è sempre così. Nelle ore di minore traffico si
provvede all’assemblaggio delle composizioni. Questa operazione
richiede rilassamento e concentrazione. La disposizione delle righe deve
essere tale da garantire una buona leggibilità. La lunghezza di uno
scritto, ad esempio, deve essere proporzionale alla grandezza e allo
spessore dei caratteri. L’interlinea tra un rigo e l’altro deve
seguire una regola ottica suggerita dal gusto e dal senso delle
proporzioni.
II lavoro del tipografo compositore, per certi versi, è più difficile
di quello del grafico montatore, perché il tipografo da piombo deve
operare attraverso una tecnica decisamente decorativa e ornamentale, coi
relativi limiti creativi, poiché utilizza esclusivamente materiale
prefabbricato, le cui disposizioni vanno eseguite sempre in parallelo o
comunque con angolazioni a 90 gradi. Difficilmente puo disporre elementi
in posizione obliqua o circolare a meno che non ricorra ai cliché.
II tipografo da piombo, rispetto al grafico fototecnico, gioca molto sul
gusto e sull’equilibrio delle proporzioni. Esso è un collagista
meccanico che assembla dei magistrali mosaici, pur non disponendo di
totale libertà creativa, se non, appunto, nei limiti del materiale
prefabbricato, che esclude la geometria delle curve. Oggi questi limiti
sono scomparsi poiché il computer col montaggio fototecnico destinato
all’offset o ai fotopolimeri non ha limiti geometrici e creativi. Sin
dalla scoperta dei caratteri mobili il tipografo ha sempre coniugato le
lettere con le immagini; pensate i napoletani, con la loro
predisposizione iconografica.
Solo la televisione ha offuscato l’endemico culto del fumetto dei
ragazzi campani. Sebbene si possa pensare il contrario, le lettere
predominano sull’immagine a causa del loro netto contrasto.
Equilibrare le masse e le forme in qualsiasi fatto grafico è una delle
regole fondamentali del tipografo.
Quasi tutti gli addetti ai lavori delle tipografie campane sanno che le
lettere e le immagini vanno disposte ed alternate con un ritmo
proporzionale, suggerito dal senso critico interpretativo personale e
avvalendosi di esperienze precedenti personali o di terzi. La spaziatura
deve essere armoniosa, coadiuvata da una sicura scelta dei bianchi. Si
dice che la bravura di un autista si misuri dal freno, ebbene io
aggiungo che la maestria di un tipografo si misura dai bianchi. Tutte
queste regole conducono all’euritmia, la preventiva disposizione
armonica, cioè, di tutte le parti che determinano la gradevolezza
visiva di uno stampato.
Non sempre, però, l’assemblaggio della materia grafica deve seguire
le stesse regole. Vi sono dei casi in cui si presentano degli stampati
destinati ad utilizzatori particolari che dietro peculiari motivi, lo
osservano sotto un’ottica diversa da quella convenzionale. La mia
piccola bottega artigiana di via Purgatorio, ad esempio, realizza ogni
tipo di piccolo lavoro, dalla carta da visita alla partecipazione di
nozze, dal volantino all’avviso murale cittadino, stampati, cioè, di
uso domestico o relativi alla piccola grafica pubblicitaria di livello
locale.
Uno stampato destinato all’osservazione popolare dovrà contenere
delle caratteristiche grafiche di assimilazione diverse da un catalogo,
ad esempio, che interessa dei conoscitori d’arte. Un volantino dovrà
essere coerente al genere di prodotto pubblicizzato e fedele ai fattori
ambientali dei suoi utilizzatori. I cittadini campani, ad esempio, sono
ligi alle tradizioni figurative, alle ampollosità geometriche: non
possiamo sottoporre loro un volantino con ampie aree di bianco e una
grafica avanguardistica, questo comporterebbe diffidenza non già nei
riguardi del tipografo, ma dell’intestatario. In altre parole il
tipografo deve in alcuni casi ridurre la propria cultura grafica ed
abbassarla ad un rango creativo inferiore, modificare le proprie capacità,
dirottandole verso 1’indirizzo a cui è destinato lo stampato.
I LAVORI COMMERCIALI
DEL POPOLO VESUVIANO
Le botteghe artigiane della mia Torre del Greco e di tutta la cintura
vesuviana e, beninteso, quelle della capitale del sud, soddisfano in
pieno quasi tutte le esigenze relative agli stampati popolari e d’uso
domestico, detti così per distinguerli da quelli di uso amministrativo,
editoriale, ecc.
I lavori commerciali, ad uso privato vanno dalla carta da visita
all’avviso murale (e non manifesto), perché l’avviso, più o meno
graficamente povero, rende pubblica una notizia commerciale, sportiva,
culturale; mentre il manifesto, come elaborato tipografico, esprime
un’idea ugualmente culturale, commerciale, artistica, ecc.
Il manifesto e sempre concepito sotto un profilo grafico originale,
partorito, comunque, da una personalità artistica, per questo si
verifica di tanto in tanto qualche aborto. Alcuni artigiani, tuttavia,
spinti dalla odierna bramosia di lucro, compiono ogni sforzo per
incentivare la produzione a discapito della qualità. In questi casi si
seguono schemi fissi di progettazione nell’assenza quasi totale di
inventiva e creatività, rientrando, così, nella dimensione degli
imbrattacarte.
Non tutti i tipografi artigiani, quindi, danno un’impronta personale
al proprio lavoro. Ciò è da attribuire pure ad una domanda scadente
che non riconosce un adeguato compenso al lavoro creativo, il quale
richiede più tempo e maggiore impegno.
Ma diamo un’occhiata a questi lavori cosiddetti commerciali, che
devono risultare graditi non solo al cliente, ma al pubblico a cui sono
destinati. Il biglietto da visita, ad esempio, è il piccolo grande
stampato, piccolo nella dimensione, grande per l’importante funzione a
cui è destinato. Il biglietto reclamistico può essere nella grafica più
funzionale poiché avrà carattere prettamente commerciale. Ma tutti i
biglietti di presentazione devono essere coerenti con l’attività o la
professione dei loro intestatari perché ne riflettono la personalità.
Il tipografo deve impostarlo su misura come il sarto fa con l’abito.
La carta da lettera, alias foglio intestato, dev’essere progettata in
modo tale da lasciar trasparire, nell’insieme degli elementi grafici,
l’attività esercitata dal suo intestatario, ancor prima di leggerne
il contenuto. Essa deve ispirare fiducia senza lasciar trapelare nessuna
incertezza grafica. Non bisogna mai eccedere con le estensioni
cromatiche e la scelta dei toni dei colori deve essere sottoposta ad una
attenta analisi. In caso di piu colori l’accostamento deve scivolare
sul netto contrasto per raggiungere soluzioni di gradevolezza cromatica.
Le baste vanno stampate con la medesima impronta del foglio, ma
leggermente ridotta. I formati regolamentari riguardo il bustometro sono
11 x 15 e 11 x 23 circa.
La fattura commerciale dev’essere, nella parte superiore, pressoché
identica alla carta da lettera. Come è ben noto, il prospetto sotto
l’intestazione conterrà le fincature dove verranno allineati i
prodotti coi relativi costi, imposte, ecc. Le fatture moderne prendono
forme sempre più desuete, sia per l’adattamento al calcolatore, che
per le sempre più complesse normative fiscali.
L’invito è lo stampato classico per eccellenza che, per estensione,
comprende la gamma di partecipazioni di nozze, nascita e Comunione. Pure
questi stampati risentono le nuove correnti artistiche e letterarie e
mutano nella forma e nel contenuto rispetto ad un sia pur passato
prossimo. Oggi i testi degli inviti vengono compilati in maniera
telegrafica, si assoggettano spesso a forme bizzarre di contenuto in
barba alla seriosità di una volta. I caratteri e la disposizione si
riallacciano ai moduli architettonici d’avanguardia. E’ finito il
tempo del pluralis maiestatis e del carattere stile inglese con le sue
aste delicatissime, nella spinta dell’ornato. E’ tramontata la
maniera della Signoria Vostra e della affettazione delle forme di
cortesia e di galateo, che già da decenni sapevano di bacucco in
parrucca incipriata. I messaggi forbiti e ricercati fanno posto ai testi
concisi nel contenuto e sintetizzati nella forma. Negli inviti relativi
ai party o bisboccie del sabato sera, numerosissime a Torre del Greco,
non mancano le toccatine ironiche ed ilari fino al doppio senso di
significato erotico, perché, cosa ci fate, a Napoli se non c’e di
mezzo il sesso non si ride |