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Gli stampati della strada

Nella vasta gamma di lavori commerciali vi è quell’insieme di stampati che rappresentano una sorta di messaggio popolare relativo a gare sportive, manifestazioni folcloristiche, promozioni commerciali, e via discorrendo. Dall’avviso murale alla locandina, dal volantino alla cartolina pubblicitaria. Di questi stampati se ne fa largo uso nel circondario vesuviano, nella metropoli e nei centri più densi di popolazione. Questi siti palpitano di iniziative culturali di livello popolare.
La produzione è favorita pure dal clima e dalla maggiore tolleranza sull’imbrattamento urbanistico. E’ probabile che la natura di questi stampati abbia avuto origine proprio sotto il Vesuvio, dove le tradizionali feste popolari hanno radici addirittura pagane. L’ambiente colorito e climaticamente confortevole della strada contribuisce al perpetuarsi di questi esternamenti dionisiaci, dove si vedono planare sulle teste aligeri messaggi, là dove, quando sono di carattere religioso, sembrano provenire, dedaleggiando, dai meandri del cosmo, proprio dall’al di là.
Caro popolo di festaioli, il nostro, di crapule e cioncate pure sui cigli delle strade; di abbuffate di taralli con sugna e pepe, di frattaglie di maiale, di lupini e semi di zucca o arachidi tostate (’o spassatiempo); di torrone d’Ospedaletto e di castagne di Montevergine.
E così vola tutto dall’alto, intorno al Vesuvio, oltre alla cenere vulcanica: volantini, tagliandini inneggianti la gloria dei santi, oggetti in disuso a Capodanno, sacchetti di rifiuti domestici dietro il “vigore” della pigrizia.
La carta stampata, anche minuta, rappresenta la modesta alternativa alla logorrea dei campani. Il cosiddetto non sputare mai è per noi vesuviani ricambio d’ossigeno. Se vuoi uccidere un napoletano condannalo al mutismo, tappagli la bocca, dopo due giorni non respirerà più neppure col naso.
La parola stampata, invece, un po’ esotica ed aulica, associata all’atavica suggestione del verismo figurativo, giustifica l’enorme quantità di carta stampata prodotta in Campania durante le consultazioni elettorali. V’è una sorta di meccanismo inconscio, nel mio popolo, che insuffla credibilità a tutto ciò che è stampato. Un bozzetto eccellente rispetto ad un equivalente pessimo lavoro già stampato perde di credibilità, da noi.
I cartai fornitori per arti grafiche sovente portano i ceri a S. Gennaro nella speranza che il governo vada in crisi. Ogni referendum e un terno secco per loro.
L’Immacolata Concezione è il patrono di Torre del Greco: la festa ne è caratterizzata dall’accensione di numerosi falò alla vigilia. Nel dopoguerra migliaia di volantini e manifesti elettorali sostituivano il faticoso insulfflaggio tramite gli scarseggianti pruni e sterpi. Le vecchie impalcature del boom edilizio degli anni 60 lanciavano le fiamme sino in Paradiso a ringraziamento dei vani ricevuti.
Tre elementi infiammano, invece, le mie reminiscenze puerili: lo sfarfallio dei fac-simile elettorali sotto il sole mai avaro; il veleggiare del bucato sciorinato sulle corde di canapa tra balcone e balcone e l’effluvio di naftalina esalante dalle balle di indumenti donati dai liberatori o dalla Croce Rossa lungo la salita del Mercato di Shangai di Ercolano.

GLI STAMPATI MODERNI

Negli ultimi tempi ha invaso il mercato la carta chimica. Essa viene trattata in cartiera: sulla superficie vengono fissate delle microscopiche vesciche di particelle chimiche, le quali, sotto la pressione delle biro, si rompono lungo il solco della scrittura, trasferendo il segno sulle copie sottostanti. L’uso della tradizionale carta carbone subisce un lento declino, come pure la carbonatura tipografica, antiestetica e insudiciante. Da ragazzo, sia a Torre che a Napoli o a Roma, durante le prove d’arte, ho dovuto sempre eseguire la composizione di uno stampato meccanizzato. Un termine avaro per raggruppare quella serie di stampati che vanno realizzati attraverso una disposizione rigorosa delle misure relative alle distanze degli elementi grafici costituiti da caselle, linee, fincature, ecc. Questi modelli tipografici venivano introdotti in macchine compilatrici con tabulazione ed interlineature prestabilite, le prime apparecchiature, cioè, connesse alla contabilità meccanizzata.
Ma, ahimè, le botteghe artigiane hanno visto scemare gradualmente questo tipo di lavoro, per altro ben pagato, poiché l’avvento dei calcolatori ha trasformato questi stampati in moduli continui onde evitare arresti alla stampante. Le macchine per la stampa di moduli continui vanno al di là delle possibilità economiche ed impiantistiche delle tipografie artigiane. Così l’industria assorbe buona parte del lavoro destinato agli artigiani.
Le piccole macchine per moduli continui, o gli adattamenti alle macchine tipografiche, non sono concorrenziali. Un altro colpo mortale vibrato al piombo tipografico, perché le matrici di questi stampati vengono fotocomposte per l’offset ortodossa o quella a secco (fotopolimeri).

LE PUBBLICAZIONI ARTIGIANALI

Diverse tipografie artigiane producono piccole riviste periodiche, giornali locali in formato ridotto, deplians illustrati, e via dicendo. Molti di questi lavori vengono realizzati col sistema classico di progettazione perché sono ancora composti col materiale tipografico: piombo e cliché. Tali pubblicazioni, pur se stampate in offset, una volta prevedevano la composizione col piombo linotipico e l’impaginazione avveniva col montaggio di bozze di stampa su patinata da fotografare o direttamente su veline per evitare la ripresa fotografica.
Negli ultimi tempi sul mercato delle arti grafiche si consolidano i sistemi detti "editoria d'ufficio". Editoria di composizione elettronica da scrivania, che emulano quelli professionali.
Non c'è differenza, intanto, tra l'alto professionale ed il casalingo per ciò che riguarda la progettazione perché il software adoperato è lo stesso. La differenza sta già  nell'ouptput di prestampa. Vale a che chiunque può progettare un lavoro grafico di alto livello in casa, ma per vederlo realizzato come tale già in fase di prestampa deve rivolgersi ad un service che utilizza fotounità professionali che superano i tremila punti a pollice, contro le laser casalinghe o le "getto d'inchiostro" che al massimo raggiungono i 1400 dpi. Anche se, negli ultimi tempi una stampante del genere produce lavori di qualità pari, se non superiori alla tradizionale stampa offset, per poche copie, s'intende.
Anche qui la differenza sta prima nella velocità che tra due metodi si misura da 1 a mille, poi nel costo di esercizio che si misura da 1 a 500.
Quindi dopo lo scoglio della prestampa si presenta quello della produzione. Realizzare in casa un deplians a colori che prevede venti copie è anche pensabile. Ma già 100 copie occorre un riproduttore laser a colori. Per 500 copie ancora è idoneo un sistema di stampa digitale da service. Per 1000 copie ed oltre è indispensabile la stampa offset. 
 La composizione di un libro è semplice quando si tratta di testo corrente, come questo che avete sotto gli occhi. Le cose si complicano quando si ha a che fare con pubblicazioni ricche di titoli di vario stile, tabelle, diagrammi, chiose, illustrazioni, ecc. Ma oggi le “applicazioni dedicate” sulle varie piattaforme informatiche hanno superato ogni difficoltà. Anche la semplice impaginazione di libri con testo corrente, però, deve seguire delle regole ben precise.
La fine di una pagina non dovrebbe avere una parola divisa, non deve terminare con asterischi o fuselli, si dovrebbero sfruttare le possibilità delle varietà di tono dei caratteri, possibilmente senza variarne lo stile ed utilizzare il corsivo ed il maiuscoletto per le differenziazioni. Le note vanno disposte a piede di pagina o a fine capitolo e di corpo inferiore a quello del testo.
Le caratteristiche principali di un libro sarebbero, in ordine progressivo: l’occhiello, che ripete il titolo dell’opera; il frontespizio, che ripete le notizie di copertina; il retrofrontespizio, che rivela la proprietà letteraria; ancora il Copyright e, in qualche caso, la firma autografa dell’autore; l’introduzione e finalmente il testo, diviso in capitoli, questi sezionati in paragrafi con titoli e sottotitoli, fino agli indici, il colophon o soscrizione: finito di stampare, ecc., dulcis in fundo l’errata corrige.
Perché Gutenberg, insieme alla stampa, invento l’errore di stampa, poiché non s’era mai sentito prima l’errore di scriptorum. In uno dei suoi primi libri l’orefice di Magonza scrisse spalmorum invece di psalmorum, nel famoso “Psalmorum Codex” del 1457.
I caratteri mobili, essendo tali vengono inavvertitamente spostati. Hai voglia di leggere la bozza, dieci, cento volte, nulla da fare. Un editore diceva: La composizione di un libro senza nessun errore equivale ad un’opera d’arte. Oggi l’errata corrige è in disuso. I libri sono lo stesso zeppi di errori, ma data la società consumistica, chi volete che esibisca un documento di prodotto guasto al posto del certificato di garanzia?.