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Beato Vincenzo Romano

Il Padre Pio torrese
(tratto dall'opera omonima di 
Mons Michele Sasso, Soc. S. Paolo, per gentile concessione dei fratelli)

        
                Ritratto del Beato (anonimo) 
   conservato nella sua casa a Torre del Greco

Domenico Vincenzo Michele Romano nacque il 3 giugno 1751 e il giorno dopo fu portato al fonte battesimale della chiesa parrocchiale di Santa Croce in Torre del Greco, ridente città alle falde del Vesuvio, al centro del Golfo di Napoli. Dei tre nomi ricevuti prevalse il secondo per desiderio di uno dei familiari, molto devoto di san Vincenzo Ferreri. 
I genitori di Vincenzo, Nicola Romano e Grazia Rivieccio, entrambi di famiglia modesta e pia, abitavano, in via Piscopia, un rione molto popoloso e industrioso, dedalo di vi- coli e viuzze, uno dei piu vivaci e attivi della città. 
La casa di Nicola Romano fu allietata da una numerosa figliolanza: Pietro, poi religioso, Giuseppe, Felice, Gelsomina e Angela. Vincenzo, forse, fu il penultimo dei figli. Ebbe come primo maestro ed educatore don Agostino Scognamiglio, pio e dotto sacerdote, che tanto lo predilesse da fargli da padrino quando ricevette il sacramento della confermazione il 17 luglio 1758. 
Solo più tardi, dopo aver frequentato la catechesi e aver ricevuto 1’approvazione, a circa dieci anni, secondo 1’uso del tempo, si avvicino al sacramento dell’eucaristia. Il padre avrebbe voluto destinarlo all’arte di orefice ma, avendo Vincenzo espresso il desiderio di farsi prete, non vi si oppose. La domanda pero non fu accettata, perché il seminario era invaso dai Torresi e il clero locale era esorbitante. Si pensa allora di farlo ammettere tra i gesuiti di Napoli, ma la Provvidenza aveva disposto diversamente: il cardinale Antonino Sersale accetto infine di ammetterlo, previo accurato esame. Vincenzo lo superò con onore e si guadagnò l’in
gresso al seminario diocesano di Napoli, dove pote giovarsi della guida di uomini di profonda cultura e santità di vita, dei consigli di Mariano Arciero, suo padre spirituale, e degli insegnamenti di sant’Alfonso Maria de Liguori.
Tra Pentecoste e Natale del 1769 Vincenzo prese i quattro ordini minori. Ascese poi al suddiaconato il 13 giugno 1772, impegnandosi con il vincolo della castità perfetta per il regno dei cieli. Il 5 giugno 1773, ricevette 1’ordine del diaconato, che lo consacrava dispensatore della Parola e dell’eucaristia. La meta era ormai vicina. Seguendo i consigli del suo padre spirituale, si era preparato diligentemente, esaminando se stesso: se era entrato nello stato ecclesiastico con la chiamata di Dio, se con la santità e l’innocenza della vita, se con la dovuta capacita e scienza, e se con i debiti fini. Rassicurato dal confessore, ricevette l’ordinazione sacerdotale nella basilica di Santa Restituta da monsignor Giacomo Onorato, delegato dal cardinal Sersale.
Era il 10 giugno 1775 e aveva 24 anni. Celebrò la sua prima messa 1’ l l giugno 1775 nell’antica chiesa parrocchiale di Santa Croce. Nella cura delle anime sembrava avesse fatto il voto di non perdere mai tempo, e s’adopero con tutte le forze a spendere bene i primi anni del suo sacerdozio. Apri una scuola gratuita in casa per i giovanetti torresi e nulla tralasciava: era tutt’occhi e tutto cuore, vigilante e amorevole. Si occupo anche dei ragazzi aspiranti al seminario: come un padre procurava che essi fossero diligenti nella scienza umana e in quella divina. Al di la dell’occupazione scolastica, don Vincenzo si impegno in vari ministeri. Intuendo i bisogni della periferia della città, nei primi tre anni si dedico alla cura della popolazione abbandonata dei campi, celebrando la messa festiva in una cappella rurale, predicando il Vangelo e spiegando i primi elementi della dottrina cristiana. Avrebbe continuato in questo apostolato, se non fosse stato costretto ad accettare 1’ufficio di padre spirituale nella Congrega dell’Assunta, che conteneva ben trecento membri, per lo più gente del popolo. Fu anche eletto cappellano festivo delle monache teresiane, senza tralasciare 1’istruzione e la confessione in parrocchia.
Si dedicò inoltre all’assistenza spirituale dei malati e dei moribondi, opera che gradiva sommamente, incurante

       
              Ritratto del Beato (anonimo)
 conservato nella Chiesa S. Maria del Principio


anche della sua salute. Intanto continuava con indicibile fervore a spargere il seme della parola di Dio nei cuori, predicando sempre al popolo nella chiesa parrocchiale. Ma non tutti andavano in chiesa. Il pensiero dei lontani lo affliggeva, per cui istituì missioni all’aperto.
Sull’esempio di san Francesco de Geronimo girava per i vicoli e per le strade, da solo o coadiuvato da altri sacerdoti, raccoglieva gente ai crocicchi e predicava il Vangelo. Questa pia pratica era definita « sciabica » dal nome di una grossa rete da pesca, con riferimento a Mt 4,13: «Vi faro pescatori di uomini ».
Il 15 giugno del 1794 rimane una data memorabile nella storia di Torre del Greco, che in quel giorno subì una delle più terribili eruzioni del Vesuvio che mai si ricordi. La lava incandescente distrusse nella sua corsa irrefrenabile quanto incontro: campagne, palazzi, vie, monumenti, tutto. Anche la chiesa parrocchiale di Santa Croce, una delle più belle dell’archidiocesi, fu seppellita dalla lava. Resto in piedi solo il massiccio campanile, sotterrato per meta, come 1’albero ancora visibile di una nave che affonda.
La popolazione in preda a uno spavento senza pari, cerco rifugio nei paesi circostanti e a Napoli. La lava, con la sua coltre funerea, aveva coperto di un velo di morte la terra dei padri e il fumo ancor si levava nell’a- ria, quando Vincenzo Romano passo sulle ceneri a benedire, confortare, ravvivare le speranze, approntare i primi soccorsi.
Il suo cuore scoppiava di pianto: vedeva la sua attivita pastorale travolta insieme con le chiese testimoni delle sue fatiche apostoliche: la chiesa parrocchiale, il Conservatorio dell’Immacolata, la Congrega dell’Assunta. Ma si riprese subito. La Provvidenza aveva designato proprio lui come pro- motore della ripresa religiosa e civile della città. I cittadini, radicati alla propria terra, presto tornarono sul luogo e non vollero lasciarlo per abitare altrove, decisi a ricostruire dalle fondamenta. Il desiderio comune era uno solo: chiesa e case, come prima e dove erano prima. Il parroco, don Gennaro Falanga, ormai anziano e inabile, si era ritirato e aveva suggerito al cardinale il nome di Vincenzo Romano, il solo, a suo giudizio, in grado di affrontare la situazione in quel momento tragico.
L’unico a non credere in si stesso era proprio lui, don Vincenzo, che pregò e scongiurò prima il parroco e poi il cardinale di esonerarlo dall’incarico. Ma nulla fece recedere il cardinale dalla sua decisione
e lo costrinse a ubbidire. Vincenzo Romano si piegò alla volontà di Dio e si rimboccò le maniche per riportare le pecorelle disperse nell’ovile. Esortò i fedeli ad avere animo grande, spingendoli a credere nella potenza di Dio che sorpassa ogni conoscenza. Incomincio lui per primo a portare le pietre sulle spalle e animò i fedeli con il suo esempio a prendere pietre, terreno, cemento per gettare le fondamenta per la ricostruzione.
Raccolse sotto le macerie i vasi sacri d’argento e, con i ducati ricavati dalla vendita, il 5 giugno 1796, dopo una solenne processione, pose la prima pietra per la riedificazione di Santa Croce, affidandosi completamente a Dio, consapevole che «se il Signore non costruisce la casa invano vi faticano i costruttori » (Sal 126,1).
Il 29 settembre 1799 mori, a circa 89 anni, il parroco Gennaro Falanga e a voce di popolo fu proposta al cardinale la successione di Vincenzo Romano. Come il santo Curato d’Ars, Vincenzo avverti la paura di un ministero cosi impegnativo com’e quello del parroco, e gli vennero in mente le parole di Paolo: «Quanto a me, di niente mi glorierà, se non delle mie debolezze» (2Cor 12,5). Lo spirito di umiltà, illuminato dalla fede, disponeva perde quell’anima all’obbedienza evangelica.
Il 29 dicembre 1799, da monsignor Turrisio, vicario generale dell’arcivescovo, ebbe il possesso canonico della parrocchia di Santa Croce. Si inginocchiò e disse: «Signore, niente io posso, niente io sono, niente io so, la cura e vostra, sulla vostra parola, come san Pietro, io mi getto in questo mare... ».