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Argomento presente: « D'ADAMO AD ARGENZIANO »
ID: 8602  Discussione: D'ADAMO AD ARGENZIANO

Autore: Veronica Mari  - Email: veronicamari@libero.it  - Scritto o aggiornato: mercoledì 23 aprile 2008 Ore: 19:22

Nota arrivata in redazione per conoscenza (la redattrice Veronica Mari):

----- Original Message ----- From: Salvatore Argenziano
Subject: Na Vita Storta
Un racconto scritto alcuni anni fa, senza pretese letterarie, per sperimentare la grafia del dialetto torrese ed oggi aggiornato nella forma.
Spero di non annoiarvi.
Salvatore
-------------------------------------------------
Carissimo Salvatore,
non sono riuscito, purtroppo, ad "aprire" l'allegato. Potresti rinviarmi il racconto in altro formato (doc, rtvl...)? L'Autore e lo scritto m'interessano molto, come pure m'interessa la collocazione degli elaborati, proposti, nell'insieme, alla Comunità di Torre del Greco (leggi: FORUM). Io, a dirla schietta, andrei oltre questa se pur interessante fascia di Autori-lettori e ne faccio formale richiesta di discussione. Non so che cosa pensi al riguardo, ma una decisa sistemazione, una svolta, una particolare rubrica, a questo punto s'impone. Mi piacerebbe che sull'argomento intervenissero anche il nostro Webmaster Gigimari, la redazione, i corrispondenti più attenti ed attivi.

Grazie e ciao: sentiamoci.



Bisnonnovito dalla Germania

 
 

ID: 8617  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: mercoledì 23 aprile 2008 Ore: 19:22


Saluti e salute a tutti,
parola di un medico geriatra,
complimenti per le fatiche letterarie di Nonno Vito e Salvatore. E' bello in questa sede ogni tanto vedere uno che si complimenta.

Caro Gigi, ieri il prof. Nicola Sannolo, che negli anni '60 era nel teatro del Popolo, mi ha detto che venerdì c'è stata una commemorazione su Gianni Pernice al teatro Oriente. Come mai non ne abbiamo accennato nulla? Come pure le espressioni di S. Raiola su Tutto è, che parlava della mediocrità dei pittori torresi, non hanno visto la luce. Buone cose a tutti di comunità.

Dott. Franco Penza



ID: 8616  Intervento da: Vito D'Adamo  - Email: Viad37@online.de  - Data: mercoledì 23 aprile 2008 Ore: 19:07

Caro Salvatore,

“Na Vita Storta”, invero molto probabile, che presenti, vuol essere un memoriale degli avvenimenti, vissuti dal protagonista, il “corallino” Ciro Gargiulo, a cavallo delle vicende, che trasformarono Napoli in simbolo - pietra di paragone - pietra di scandalo dell’intera Nazione.
Accompagni la narrazione alle visioni da incubo del “sotterraneo” Bosch, in un incontro, che rende appieno l’idea di quanto un essere umano possa aver sofferto come persona e come soggetto politico-sociale, se giungi a raffigurarne l’esistenza nelle oscure punizioni, di cui sono “vignettate” le allegorie del pittore fiammingo.

Clicca sull'immagine a lato per entrare in uno degli ultimi lavori di Argenziano.

Pongo qui in risalto il tuo senso artistico, spronato dall’agitazione degli avvenimenti, che narri, agli accostamenti di una cruda iconografia: Napoli si frantuma nel Bosch e Bosch diviene Napoli; è Torre del Greco, trascorsi i tempi degli umili mestieri, è la Campania non più, non mai “felice”. È quello che, fatalmente, sarà convogliato nelle “Vele”, a Scampia, donde persino il Bosch si ritira inorridito di fronte ad un’umanità, non ancora da punizione sotterranea e postmortale, ma sofferente alla luce accecante del sole nostrano, quando ci si mette, esibendo la visione delle sue larve, dei suoi zombi barcollanti per droga, in un totale meretricio delle coscienze, di fronte al quale persino la Chiesa non osa più parlare di speranza, recupero impraticabile.
“Un miracolo è sempre possibile, come fatto extra ordinem, ma oltre ogni supposizione di speranza”. Un inferno? La vita, qui. Corre su binari, non offre possibilità ne-anche di deraglio.
Tu racconti in vernacolo; e noi potremmo anticipare la fatale consecutio degli avvenimenti; di quelli, vale a dire, che purtroppo sappiamo che capiteranno ogni giorno.
Dove il pentimento, il desiderio di cambiare? Siamo monnezza e ce la teniamo stretta, col timore che altri se ne impossessi e ci tolga anche questo nostro estremo compiangerci.
Qui il filo di speranza si spezza, diviene disperazione, scompare, non esiste più neppure come presentimento, come intuizione del suo essere. Si volatilizza.
Narrando, a ben considerare, ci limitiamo alla testimonianza di quanto ognuno ben conosce, gli capiti o no nel corso dell’esistenza, tenuta ben salda tra corsie, che non lasciano spazio a sviamenti. Sono, tuttavia, parole, tali restano, ben scritte, meglio esposte, frasi messe in fila dalla logica del pensiero creativo, dell’arte, ma che, in effetti, servono poco, sono di quasi nulla applicazione pratica, non cambiano niente.
La domanda è questa, allora, tormentosa: “Qual è la funzione dell’arte, della letteratura, della scrittura, del narrare, nel dipingere la realtà, nell’accusa, nel battersi il petto, nel soffrire insieme con la creatura prodotta, presumibile o vera che sia, alla quale ci si riferisce, commuoversene, se poi è limite ad interventi incerti? Resta solo un piacere, in dare e avere? Pura ricerca del senso del bello? Solo estetica? A che può servire?
Il discorso è tutto aperto.

Il tuo racconto, caro Salvatore, – che è anche un buon resoconto -, mi è piaciuto, ho fatto le mie dimesse considerazioni, te le mando. Non chiedermi, però, un parere quanto alla forma e alla presentazione dialettale, all’esperimento, con che l’hai plasmato: sono il meno idoneo a pronunciarmi in merito. Non sono neanche un intenditore da sottocategoria dialettale, fosse anche del mio “borgo natio”. Il dialetto l’ho masticato poco nei miei anni giovani, ché mi serviva un approfondimento costante del mio italiano. Oggi balbetto, e molto male, in diverse lingue. Molte le ho smesse definitivamente, e le parlavo. Nel “mio” dialetto, a lenga turrese, non ho fatto progressi, ma l’intendo, anche se non riesco a penetrarne le sfumature. Insomma, sono stato troppo tempo lontano, assente.
Oramai parlo solo con la penna sulla carta, mediante la tastiera con il PC. Ho raggiunto ottantuno anni e, forse, anche il Tao. Sono felicemente distaccato; non solo, ma in due: proprio come abbiamo insieme cominciato e come ora ci troviamo, mia moglie Margherita ed io.
Che dirti, cosa consigliarti? Continua a scrivere a “narrare agli uomini le loro storie”, anche se in lenga turrese. Scrivere è un imperativo al quale non possiamo sottrarci, che non dobbiamo osare di eludere, nel tentativo, appunto, di trovare ragioni e risposta ad interrogativi, grandi e inquietanti come il mare.

Ti abbraccia Bisnonnovito.

Testo originale - Haslach/K. 23 Aprile 2008.


ID: 8603  Intervento da: Veronica Mari  - Email: veronicamari@libero.it  - Data: lunedì 21 aprile 2008 Ore: 16:04

SERVIZI DI REDAZIONE:

CARO VITO, SE TI FA PIACERE LO PUOI SCARICARE DA QUI (link Vesuvioweb)

Di Salvatore Argenziano
"Na vita storta" in Lenga turrese

Clicca sull'immagine qui sotto:






Veronica Mati, redattrice



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