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Argomento presente: « IN OMAGGIO AL POETA SOVENTE »
ID: 8342  Discussione: IN OMAGGIO AL POETA SOVENTE

Autore: Salvatore Argenziano  - Email: salvatore.argenziano@fastwebnet.it  - Scritto o aggiornato: domenica 16 marzo 2008 Ore: 22:09
















Pigia la freccetta per l'ascolto de "'A rumba d'e scugnizzi" cantata dalla Compagnia di Canto Popolare, in omaggio a Nichele Sovente , regola il volume


Nella foto a lato: Michele Sovente

Poeti contro paroliberi la nostalgia
è il verso
di Mario Franco

SI FA presto a dire poesia. Ma che cos´è? Saltati da tempo i paletti della retorica e delle regole metriche, l´esigenza di circoscrivere, definire, il concetto di poesia sembra lontano e senza importanza. Le scritture verbo-visive del Novecento, dai futuristi fino alle esperienze delle neoavanguardie degli anni sessanta, sembrano aver messo in crisi qualsiasi nostalgia di uno statuto che identifichi l´opera poetica. In questa assenza, riaffiora il vizio antico di intendere la poesia come attività consolatoria, sentimentale. Da qui il proliferare di poeti e poetesse, paroliberi e parolieri, il compiaciuto riaffiorare di un «estro» esagitato e affettato. Il poeta come una rockstar: non c´è fiera letteraria o kermesse estiva in cui la poesia non venga servita urlata, videografata, resa «evento multimediale» con contorno di esercizi creativi musicali, ginnici, gastronomici.
Ne parlo con il poeta Michele Sovente, che aveva individuato già anni fa questa strana deriva del concetto di poesia e, nel 1978, scriveva: «?pianificati, omogeneizzati / ciberneticamente programmati / riflessi condizionati. / Ecco: via gli stimoli aggressivi / i conflitti sempre e solo regressivi / uno il potere, una la scienza: / gli Audiovisivi?».
«È invece nel silenzioso ascolto delle più profonde ragioni dell´anima ? afferma - che va scovata la poesia. Tutto il resto è spettacolarizzazione. La poesia traffica più con gli spectra, con i fantasmi, con gli specula, gli specchi, i riflessi, piuttosto che con lo spettaculum. Non vale l´argomentazione che in questo modo.

Nell'immagine a lato; commento sulla creatività di Neruda

Si avvicineranno, è vero, ma a cosa? C´è ancora qualcuno che crede che si possa scoprire Beethoven per averne ascoltato un frammento come ritornello di una marca di brandy? «Ma non sarà che queste posizioni nascondano un che di moralistico? Potrebbe esserci un retaggio dei tuoi anni in seminario, chiedo polemicamente. Piccolo e riccioluto ha occhi mobilissimi e sorriso infantile. È un tipo, come si dice, che «non si fa passare la mosca per il naso». Ed infatti alla mia interruzione scherzosa reagisce precisando, seriamente e puntigliosamente. Orfano di padre e con la madre impegnata a tirar su la famiglia gestendo un piccolo bar che l´impegnava il giorno intero, Sovente ricorda il Seminario Minore di Pozzuoli su al Rione Terra, dalla quinta elementare al quinto Ginnasio, come un´esperienza dura, ma fondamentale nella sua formazione. Non c´era, e non nacque, quella che si chiama «vocazione», ma ci fu, invece, la scoperta della letteratura.
Un intero, nuovo mondo si aprì ai suoi occhi. I preti guardavano con sospetto, ma c´era sempre il modo di aggirare la loro severa sorveglianza. Ebbe come complice Salvatore Piscicelli, il regista di "Immacolata e Concetta" (1980) e "Le occasioni di Rosa" (1981), anche lui involontario seminarista ed anche lui avido di letture «trasgressive»: nascondendosi in bagno, leggevano a turno libri come "Così parlò Zarathustra" di Nietzsche, "Lo straniero" di Camus, "La nausea" di Sartre, oppure i primi volumi di poesia, come "Ossi di seppia" di Montale. Nel 1964 dalle finestre del seminario Sovente assiste, in piena notte, all´incendio della cattedrale di Pozzuoli: l´universo favoloso del Rione Terra sembra incendiarsi con la cattedrale. Di questa esperienza e di questa emozione c´è ora testimonianza in uno di quei libricini in trentaduesimo che pubblica la libreria Dante e Descartes. Dal 64 al 67 Michele frequenta il liceo al Seminario Maggiore di Capodimonte. Il clima è cambiato, siamo in piena trasformazione conciliare e presessantottina. L´insegnamento dei vari professori è ricca di stimoli. Armando Dini, professore di logica, durante le lezioni fa ascoltare i dischi dei Beatles e ne parla con competente partecipazione. Francesco Giovinazzo legge in aula Montale, Ungaretti, Pratolini, Silone? A lui il giovane Sovente dà in lettura i suoi primi versi ed il professore lo invita a partecipare a qualche concorso letterario. Sovente vi partecipa con lo pseudonimo di Marcello Polsini, per sentirsi libero di scrivere ciò che gli pare.
Quando nel ?68 si iscrive all´Università, partecipa alle manifestazioni di contestazione e simpatizza con Lotta Continua. Alla Facoltà di Lettere, è affascinato da Salvatore Battaglia, ed a lui, nel ?73, chiede la tesi, "Montale e la poesia alto-borghese". Quando Battaglia muore, Sovente si laurea con un suo allievo, Giorgio Fulco. Dopo la laurea, Mario Pomilio e Luigi Compagnone lo aiutano a inserirsi nella vita culturale di Napoli. Lo presentano a Mario Stefanile, responsabile delle pagine culturali del "Mattino", che gli affida, nel ?74, la critica letteraria del giornale. Prosegue intanto il suo impegno politico: sul finire degli anni Settanta partecipa ad incontri e manifestazioni nei Campi Flegrei, tra 1´Olivetti e la realtà proletaria del Fusaro, di Baia, di Cappella. È tra quelli che occupano gli spazi del Lago Fusaro perché passino ad un uso sociale. Si intensifica anche la sua attività poetica. Nel ?78 pubblica con Vallecchi "L´Uomo al naturale" e nell´81 "Contropar(ab)ola". Nei suoi versi, intanto, è comparso il latino. Una lingua morta? «Intanto, i poeti, come diceva Pascoli, sono sempre poeti di lingua morta. Poi il latino è specchio di una dimensione psichica, esistenziale, mitopoietica, che avevo come nascosto ai margini della coscienza. Dal gennaio al maggio dell´80 scrissi, furiosamente, il poemetto "Per specula aenigmatis", pubblicato da Garzanti nel 1990. Ne fui stupito io stesso continua Sovente tanto che al libro posi un´epigrafe: «Non ego latine scripsi. Lingua latina me scripsit» (Non sono stato io a scrivere in latino - la lingua latina ha scritto me)». Il latino di Sovente, un latino magmatico e polifonico, che si interroga sul senso del vivere e del tempo, affascina il regista radiofonico Giuseppe Rocca, che dagli "Specula" trae un radiodramma che partecipa al "Premio Italia". Intanto all´italiano ed al latino si affianca il dialetto cappellese, lingua sulfurea ed instabile come la terra dei Campi Flegrei. In dialetto cappellese è scritto il poemetto "Cabaletta", pubblicato da Goffredo Fofi su "Linea d´Ombra". Nel 1998 con "Cumae" (Garzanti) questo triplice livello linguistico, che per Sovente costituisce una vera e propria «lingua una-e-trina», si afferma come «interprete delle infinite voci dell´anima. Ed ogni volta che una lingua muore è scritto nella motivazione del più importante riconoscimento italiano, il Premio Viareggio, che il volume si aggiudica, è una parte del mondo che scompare con essa.

Nell'immagine a lato: un tema estremamente poetico al naturale, tratto da "Io speriamo che me la cavo"

Sovente ne è convinto al punto che di lingue ne usa tre, diverse, ma collegate tra loro da un rapporto di parentela, anzi di filiazione: l´italiano, la lingua della nostra identità nazionale, il dialetto, lingua del nido in cui si sono conosciute le prime parole colte sulle labbra della madre, il latino, la grande lingua del nostro passato da cui tutte le altre, anche quelle della culla, derivano. Il risultato è una delle espressioni più alte della nostra poesia contemporanea».

E Giovanni Raboni afferma che «solo poche volte la ricerca poetica degli ultimi decenni ha saputo dare frutti altrettanto sostanziosi». "Carbones" (Garzanti, 2002) rappresenta la successiva tappa di questo percorso.
E perché al lettore sia chiaro questo singolare poetare di Sovente, facciamo un piccolo esempio, scegliendo una delle più brevi poesie di "Carbones".

Cominciamo con la stesura in italiano: «Le nuvole una volta guardavo lontano / e per vie buie sentivo il brusio / di appena nate erbe lontano: un bambino / con il serpente giocava.». Siamo in un ambito poetico evocativo, con immagini tra il decadente e l´ermetico. Ma ecco cosa succede se queste immagini sono dette in dialetto: « ?I nnùvule na vòta luntano vuardavo / e p´ ?u scuro r´ ?i vvie ausuliavo / ?u suscio ?i ll´evera nuvèlla luntano: / ?int´ ?u ciardino nu criaturo cu na serpe pazziava.». Ecco che siamo entrati nel mondo favolistico, scuro e barocco, di un Basile. Ora invece in latino: «Quondam nubila longe adspiciebam / et obscuras per vias sentiebam / herbas longe novas: cum aspide / puer in horto ludebat.». Siamo in piena decadenza imperiale. Cuma è già in rovina ed i poeti sono attratti dai mystéria che scorgono nel paesaggio, nella natura magica.
Ma una domanda è d´obbligo: è difficile essere poeti a Napoli? «Sappiamo tutti che qui non c´è industria culturale, che la vita per un intellettuale è più difficile. Io non debbo fare l´opinionista da Costanzo o tenere una rubrica su un settimanale illustrato, quindi questa condizione non mi pesa; ho pubblicato con importanti editori nazionali e non saprei vivere altrove. A Napoli mi legano i miei studi, l´insegnamento ormai ventennale presso l´Accademia di Belle Arti, il piccolo borgo dove vivo, Cappella, che non c´è su nessuna carta geografica, ma per me è importante come Cuma, Baia, Pozzuoli, con il loro fascino di tufo, terme, statue romane, spettri che salgono dai numerosi colombari di zolfo, di laghi, che mi esaltano e mi commuovono. Napoli ed il mondo flegreo sono uniti da una medesima condizione: il conservare, a dispetto della modernità, un´irriducibile anima arcaica e l´essere continuamente fatti oggetto di saccheggio, degrado, barbarie. Ma vivere qui, significa stare in contatto con stimoli creativi forti. Per me è come ascoltare improvvisi echi, farsi portare per mano dal sortilegio».

MARIO FRANCO


A cura di Salvatore Argenziano della redazione

 
 

ID: 8352  Intervento da: la redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Data: domenica 16 marzo 2008 Ore: 22:09



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ID: 8343  Intervento da: Salvatore Argenziano  - Email: salvatore.argenziano@fastwebnet.it  - Data: sabato 15 marzo 2008 Ore: 14:03
















Pigia la freccetta per l'ascolto de "'Reginella" cantata da Lina Sastri, in omaggio a Salvatore Argenziano, regola il volume


Michele Sovente.
Nato nel 1948 nei Campi Flegrei, a Cappella, dove vive, insegna all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Alcuni suoi libri di poesia sono: L’uomo al naturale, 1978; Contropar(ab)ola, 1981; Per specula aenigmatis, 1990; Cumae, 1998, premio Viareggio; Carbones, 2002. Molte sue poesie sono scritte in tre versioni, napoletana, latina e italiana. La sua antologia poetica in napoletano è solo una parte limitata della sua feconda produzione artistica. L’edizione domenicale de Il Mattino riporta una sua considerazione poetica.


ACROSTICO OMAGGIO A UN AMICO
Chélla léngua luntana

Saje penzò comm’a na vòta
Ausuliànne ll’acqua
Lucènte ca ’ntrasatto s’arrevòta.
Vire ’int’ ’u scuro
Ati ccose, chèlli rrose ca na vòta
Tu tremendìve. E piénze
Ógne ghiuórno a tutte chélli
Rruvine ca schióppano
E se spànneno.

Ati pparole siénte.
Rire comm’a nu criaturo.
Grare e viche ’ntruppecùse vire
E ’ntrasatto te piglia ’a paura.
Nun te saje stò
Zitto e comm’a na vòta parle
’Int’ ’u scuro. Sóngo passate
Anne e anne ma tu
Nunn ê perduto chélla léngua
Ormaje luntana cchiù r’ ’a luna.

QUELLA LINGUA LONTANA

Sai pensare come una volta
Ascoltando l’acqua
Luccicante che di botto si ribalta.
Vedi nel buio
Altre cose, quelle rose che una volta
Tu scrutavi. E pensi
Ogni giorno a tutte quelle
Rovine che sbocciano
E si espandono.

Altre parole senti.
Ridi come un bambino.
Gradinate e vichi ripidi vedi
E alle spalle ti assale la paura.
Non sai stare
Zitto e come una volta blandisci
Il buio. Sono andati via
Anni e anni ma tu
Non hai dimenticato quella lingua
Oramai lontana più della luna.

ORIENS ILLA LINGUA

Silenter frementem sequeris
Aquam sicut olim
Luce plenam et a vento percussam
Vides in tenebris
Alias res, illas rosas quas
Tu olim stringebas. In te
Omnes vivunt
Ruinae
Et ubique florescunt.

Alia verba audis.
Rides sicut puer.
Gradus vicosque asperos vides
Et metus te capit ex abrupto.
Nescis tacere et ergo
Zelaris sicut olim
Intimas tuas umbras,
Anni annique lapsi at tu
Numquam illam perdidisti linguam
Orientem sicut nuda oritur luna.

A Salvatore con Stima e amicizia

Michele Sovente



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