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Argomento presente: « 3 CONCHIGLIE di C. Ad. Ciavolino UNO »
ID: 7859  Discussione: 3 CONCHIGLIE di C. Ad. Ciavolino UNO

Autore: Ciro Adrian Ciavolino  - Email: ciroadrianc@libero.it  - Scritto o aggiornato: venerdì 28 giugno 2013 Ore: 23:55


Pigia la freccia per l'ascolto di "vierne" canta Murolo. Regola il volume
CONCHIGLIE
di CIRO ADRIAN CIAVOLINO

Mattiniero come me, un buon signore, uomo di lettere, di scuola, s’accosta con l’auto alla siepe del bar dove m’attardo per alcuni minuti sfogliando il quotidiano che leggo da una vita, mi fa sporgere per avvicinarmi a lui e mi chiede cosa è il Rosso Quinacridone, o la Terra di Cassel, colori citati nell’ultimo scritto per Conchiglie, discorrendo delle comete.
Gli rispondo che ho citato colori poco conosciuti proprio perché qualcuno potesse farmi, come egli stava facendo, tale domanda e che sarebbe stato facile dire, che so, ocra gialla, rosso porpora o verde smeraldo.
E sempre da maestro, ancorché direttore di scuola, suggerisce al piccolo alunno scrittore quale sono, che avrei potuto e dovuto citare le ricchielle. Poi va via perché deve andare via. Ci penso, e penso anche che avrei potuto scrivere un libro intero sull’argomento, ma appollaiati sulle mie spalle ci sono i padroni del vapore, quelli che hanno promosso questo giornale, mi ricordano che dovrei essere più breve, poi si pentono, si beano della mia scrittura e dicono scrivi quanto vuoi tu. Ora devo parlare delle ricchielle, devo rispettare il richiamo del maestro.
Quelle comete che mandavo nel cielo dall’àstico, quel mio aereo hortus conclusus, erano spesso ervose, come le due vecchiette di Via Gradoni e Canali che le confezionavano, non erano equilibrate e spesso pendevano da una parte, se non facevano, proprio pazze, giravolte e capriole fino a frantumarsi su altri àstichi o nei giardini.

Immagine a lato: Non c'è altra simbologia di amore poesia e libertà superiore a quella dell'aquilone

La pendenza doveva essere corretta apponendo all’angolo opposto al lato, come dire, zoppo, una striscia di carta. Spesso il delicato peso non era adatto, si riportava indietro il velivolo e si provava molte volte fino a quando la cometa non trovava il giusto assetto di volo. Era la ricchiella, orecchio.
Ma altri orpelli corredavano la cometa al momento del suo completo trionfo, sul filo che l’aveva portata in alto si infilavano, quando il nostro gliuòmmero s’era assottigliato perchè aveva ormai sciolto tutto il filo, dei pezzi di carta rotondi con un
buco in mezzo e che andavano verso la nostra apoteosi. Erano i telegrammi. Correvano verso la nostra stella colorata in volo, la nostra timida cometa pazzerella e malinconica al cospetto dei cometoni, i pachidermi dell’aria, con il oro incedere lento, costruiti con carta pesante, oleata, dei quali si sapeva per voce popolare chi ne fossero i proprietari, erano nel cielo con una identità araldica, severi come troni con un re assiso a legiferare sugli spazi celesti, agghindati di nastri colorati come Limousine alla Madonna di Montevergine o alla Festa della Madonna ‘a Neve, che Anna mi ha portato a vedere in una tiepida mattina di ottobre.
Ma se di queste cose io vado scrivendo, devo rendere omaggio alla pavida modesta cometella, la più piccola che avemmo, di un solo colore e senza il vezzo di una frangia e che impazziva appena ncocciava in un alito di vento, aveva vita breve, nasceva e moriva quasi subito, una morte infantile, insieme a tante altre, una aerea strage degli innocenti sotto le daghe di un Erode eolico, la sua distanza dalla terra non consumava neanche una matassina di quel fragile cotone tricolore. La nostra cometella veva anche una sorella povera, quella che costruimmo con un foglio di quaderno, sottraendo alla cultura e alla storia una pagina che avrebbe meritato la nostra scrittura, le nostre mazzarelle e roccocò, una pagina di quaderno ridotta a quadrato avendo l’accortezza che il superfluo tagliato dal rettangolo divenisse, non reciso dalla pagina, la coda stessa di quella cometella che s’appendeva, senza fare le ciappe, ad un filo di cotone rubato dalla macchina per cucire Singer, sul cui pedale esercitammo le
nostre esili gambe. La lasciammo cadere verso la strada, dai ferri del balcone, tentammo una corsa nel vicolo, ma non andò mai in alto, accompagnava verso la terra i nostri occhi delusi, mentre planavano sulle nostre teste i cometoni, aquile multicolori che volteggiavano sfregiandoci con la loro austera presuntuosa presenza, fortezze volanti, macchine da guerra che terrorizzavano i nostri cieli e le nostre notti, quando sognavamo di levitare come in un quadro di Marc Chagall, quello che fece volare Modugno nel blu vestito di blu.
Ma a quel tempo eravamo già cresciuti e non potevamo fare altro che volare con i nostri colori e con la nostra penna, come continuiamo a fare, in quest’angolo di cielo.
Chissà cosa ne pensa ora il buon Gioacchino.

Per gentile concessione di



CIRO ADRIAN CIAVOLINO

 
 

ID: 7929  Intervento da: luigi suarato  - Email: luigisuarato@virgilio.it  - Data: mercoledì 19 dicembre 2007 Ore: 15:49

Caro Ciro
io navigo sottonatale, deposte le stecche mi rilasso e contatto amici e conoscenti per parlare un poco.
C'era una cosa che volevo sempre trovare l'occasione di dirti, ed è un sentito ringraziamento per le sensazioni che mi sai dare con alcuni dei tuoi scritti.
Ultimamente leggo (o rileggo) sulla Tofa le tue conchiglie e ricordo con grande nostalgia cose del passato, rivedo luoghi mai dimenticati, ma come sai descriverli tu è il massimo!
Da ragazzo ho vissuto nei luoghi dove tu vivevi, ti ho visto dipingere in vico pozzo n°4 quando ti chiamavi ancora GGiro Ciavolino, in una casa al 1° piano nel palazzo di Eliuccio Polimeno, a fianco di Bottiglieri (Lorenzo era amico e compagno di scuola), i cinema Iris, Vittoria, e finanche il locale dove si dava l'opera dei pupi erano i luoghi dove mi portava papà.
Ora vivo fuori Torre e tu sei stato pure a casa mia.
Ti saluto caramente, ti auguro Buon Natale e Felice anno nuovo.
Luigi Suarato


ID: 7876  Intervento da: Ciro Adrian Ciavolino  - Email: ciroadrianc@libero.it  - Data: venerdì 14 dicembre 2007 Ore: 13:11

CONCHIGLIE DI CIRO ADRIAN CIAVOLINO


Pigia la freccia per l'ascolto di "Barcone sulitario del torrese Raimir
cantata da Vittorio Parisi il 1933". Regola il volume

CONCHIGLIE
di Ciro Adrian Ciavolino


Gli asciugamani non erano nati asciugamani, erano teli ricavati da lenzuola stremate, e avevano orli con ricuciture alla bell’e meglio intraprese da mani ruvide di mille domestiche faccende. Di questi, di varia misura, ordinati in comò immensi forniti di tiraturi che mal sopportavano secolari scorrimenti, qualcuno serviva per proteggere di notte i cuscini dalle nostre untuose chiome ancora scure, per improbabili brillantine, sostituite da compatto olio di cucina, non proprio raffinato, che d’inverno gelava e inventava denso come sugna.
Sì, era spesso quell’olio la nostra brillantina Linetti, mentre le nostre bocche spalancate per meraviglia e ammirazione cadevano sulla lucente capigliatura di Fred Astaire, una fascia luminosa come scia di cometa non abbandonava quella testa nera neanche in una ardita piroetta, Ginger Rogers tra le sue braccia volava, noi sognavamo l’America al ritmo dei fox-trot, nel ticchettìo del tip-tap, un sogno in bianco e nero, di celluloide.

Nella foto a lato: quello che rimane oggi dell'ingresso del Cinema Iris

Al Cinema Iris c’era il Varietà, e il cantante di giacca mostrava il dorso della sua mano per far luccicare l’anello di brillanti mentre tirava dalle maniche i polsini ornati di gemelli, dalla testa la brillantina trovava estuari nelle sue tempie, per il caldo, e nei nostri occhi affioravano bagliori d’invidia per tanto lucore. Dopo anni,ci spostammo più su nella nostra città, al Cinema Corallo o al Cinema Oriente, e qualche volta film e varietà si sposavano, era l’avanspettacolo, una forma mista di intrattenimento, della quale qualcuno sente ancora nostalgia. Ne fecero storie capolavoro Fellini e Lattuada, con Luci della Città, e vennero Vita da cani di Steno e Monicelli, Ci troviamo in Galleria di Mauro Bolognini, i Vitelloni e Roma, ancora Fellini, Siamo donne, dove Visconti propone la mitica Fioraia del Pincio che canta Come è bello far l’amore quanno è sera, una monumentale Anna Magnani che ritorna in Risate di Gioia di Monicelli, con Totò.

Ecco, Totò. Gigi De Luca mi invita al Trianon, il teatro napoletano che fra cinque anni festeggia il centenario, sorto sulle mitiche mura greche di Neapolis. Lì ha portato un giro d’amore come valzer, alcuni pezzi del nostro grande attore, nella sede più verace, ripercorrendo momenti di grandi interpretazioni del principe dando allo spettacolo una veste da antico varietà, dove anche alcune impacciate versioni diventano genuine proprio come fossero volute, senza cercare raffinatezze ed estetismi che ne avrebbero violato il significato di autenticità, anche nelle ballerine, dai sapori stile anni quaranta, 8 gambe 8, come allora si scriveva sui manifesti, in qualche botta di cellulite e smagliatura nelle calze a rete, ancor più avvicinandole alla tradizione; e poi in qualche ricerca di luci nelle scene, negli strass, nei lustrini, nelle piume, nella scena di fondo con l’immancabile Vesuvio.


Nella foto a lato: l'attore torrese Gigi De Luca con Eduardo

Repertorio De Luca in Torreomnia:
www.torreomnia.com/gigi_deluca.htm

Gigi De Luca entra ed esce dal suo camerino visibile sulla scena, dove attende al suo trucco, ai vestiti e ai cappelli, è Totò, è una summa della maschera d’autore e attore di varietà, nelle sfumature più nobili: quasi mi aspettavo che nel tondo solco luminoso dell’occhio di bue si alzassero come arabeschi spire di fumo, veniva voglia di ascoltare chiamate dalla platea, come in quella filmografia citata, o altra. Il teatro Trianon riacquistava, quella sera, seppure nelle levigatezze del recente restauro, il sapore o i colori del suo tempo antico, noi vedevamo Totò, riproposto senza alcuna ricerca imitativa, rivisitato nei giochi dadaisti e futuristi della sua marionetta, attraversando molti film o qualche sketch da riviste, pervenendo in una prova d’attore che Gigi De Luca, soltanto lui, oggi come oggi, poteva dare. E le canzoni ancora ci accompagnano, Carmè Carmè, Core analfabeta, e la magistrale interpretazione della universale ‘A livella come sottofinale, ed ancora Malafemmena, concertatain un mosaico di note e di voci femminili su attenti arrangiamenti di Tommaso Maione.
De Luca Totò ha consegnato al pubblico una valigia, quella che sempre apriamo, una eredità. E’ il varietà, è il Trianon.
Grazie, amici, per una serata lunga un secolo.



Ciro Adrian Ciavolino



ID: 7862  Intervento da: la redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Data: giovedì 13 dicembre 2007 Ore: 15:07

CONCHIGLIE DI CIRO ADRIAN CIAVOLINO


Pigia la freccia per l'ascolto di accenni sul teatro torrese presenti nel testo che segue". Regola il volume

CONCHIGLIE
di CIRO ADRIAN CIAVOLINO


Alla fine degli anni settanta avevo, come dire, un incarico in qualche modo pubblico, mai ostentato, in dieci anni, neanche con un solo manifesto, come taluni fanno per il piacere di cogliere l’occasione, firmando, per verificare e far verificare la propria esistenza. Mettiamo un manifesto, qualcuno diceva: l’ho sempre evitato.
Era in quel tempo che venne qui una ragazza, subito si appalesò di forte temperamento: faceva teatro.
Faceva teatro con ragazzi, iniziava allora, chiedeva d’essere presente in qualche manifestazione che in città s’andava preparando.
E’ passato del tempo, abbiamo valicato qualche decennio, e un altro ancora, quella ragazza di allora ritrovo nel corridoio del teatro Oriente dove di questi tempi si produce una serie di spettacoli, quella sera ne avevamo visto uno di livello europeo, quello di Mauro Gioia, insieme ad un gruppo sparuto di spettatori.
Ritrovo la ragazza di quegli anni, ora impegnata signora dello spettacolo che non tradendo Napoli, ancora porta la nostra cultura oltre impensabili confini: è Laura Angiulli, che è riuscita anche a conquistarsi un teatro tutto suo, la Galleria Toledo, in via Concezione a Montecalvario - poesia di un nome - ai quartieri spagnoli.
Sette giorni dopo, è il 20 di gennaio, lei porta qui un eccellente atto unico di Manlio Santanelli, Il baciamano, con due soli interpreti, un uomo e una donna, due figure della rivoluzione napoletana del 1799, in una livida luce che si riverbera su un numero infinito di caldaie, bacinelle ed altri utensili, rigorosamente di grezzo colore ferroso, su una scena di fondo come sudario, insanguinato, che rappresenta come una sinopia o una Sindone, come in un macellum, tutta la tragicità di quei pochi mesi rivoluzionari.>

Nella foto a lato Laura Angiulli, regista e direttrice artistica della “Galleria Toledo - Teatro Stabile di Innovazione” di Napoli. Ultimo film: "Tatuaggi" con Marcello Colasurdo, Antonio Pennarella, Lello Serao.

Lei, Janara, deve distruggere, uccidere, fagocitare il giacobino prigioniero, ma esaltandosi, infine, con il baciamano del giovane, ritrovando sopite istanze d’amore.
La trama sottile, allusiva, allegorica, merita altre penne ben più felici della mia, io posso narrare del mio incantamento alle voci dei due attori, alla ricerca filologica di una lingua napoletana di quel tempo, nella quale Alessandra D’Elia ha riversato tutte le vocalità da popolana disperata, con modulazioni alte che rincorrono quelle basse, roche, o sussurrate, spegnendole in un sibilo talvolta dolorante, talvolta sognante.
Ma le luci, i tagli di quelle luci trovate con i pochi mezzi che l’apparato teatrale offriva, potendo Laura Angiulli, regista di rara sensibilità, esprimere meglio con altre macchine teatrali, sono bastate per ritrovare la pittura napoletana partendo, che so, da Caravaggio, passando per Battistello Caracciolo o Mattia Preti, e via via fino all’ottocento, fino a Migliaro.
Soltanto pochi giorni prima eravamo stati, insieme ad un mio gruppo di lavoro lucano, a Castel Sant’Elmo, proprio in quel castello che aveva visto la rivoluzione napoletana che fa da sfondo alla tragedia rappresentata in teatro.
Alessandra D’Elia - Janara - è la figura dominante che si agita con movenze degne di quadri d’autore, intorno al corpo inerte del prigioniero legato - Marco Matarazzo, il giacobino - disteso al suolo nella rigidità del bianco e nero, come di una apparente morte.
Infine c’era una sorpresa: sommessamente Laura Angiulli, accanto a me seduta, soltanto dopo, veramente soltanto dopo le mie osservazioni sia sulle qualità vocali che figurative della protagonista, mi rivelava che la ragazza era sua figlia. Come quasi trent’anni fa, Laura ancora ci esprime la immutata voglia di andare col suo teatro non solo nei luoghi deputati a tanto ma, come sempre ha fatto, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, dovunque un messaggio di cultura possa portare un contributo, un ventata di vera cultura.
Il suo interesse diviene il nostro, ma impotente in questa città così distratta, dove sono crollate tutte le istanze; e nei tempi della sua giovinezza c’erano qui fermenti d’arte e di cultura ormai smarriti. In questa città, dicevo, travolti come siamo da nuove cancrene, dove ognuno di noi è quasi costretto a rifugiarsi dietro i propri spessi sipari, facendo capolino sulla carta stampata, nei forum, nei web, mentre chi dovrebbe sorreggere la cultura è sempre più indaffarato nel mestiere della politica per soddisfare i propri interessi.

Nella foto a lato: alcuni volti degli attori citati dall'autore

Stiamo ancora vivendo nella memoria delle grandi serate di Nicola Di Donna, Gennaro Vitiello, Lucio Beffi, Lello Ferrara, Pier Luigi Ortiero, Pierino Vitiello, Gigi De Luca, Gianni Pernice. Son venuti altri, eppur bravi, ma non è come allora. Ci manca una identità: è stato uno scippo, si sa chi ci ha scippati.
Se non si capisce chi, ve lo posso dire in un orecchio.
Oppure no, posso dirlo anche qui. Quando volete.

Per gentile concessione di



Ciro Adrian Ciavolino


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