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Argomento presente: « RACCONTO: FRATTAMAGGIORE »
ID: 6700  Discussione: RACCONTO: FRATTAMAGGIORE

Autore: Vito D'Adamo  - Email: Viad37@online.de  - Scritto o aggiornato: lunedì 30 luglio 2007 Ore: 10:35


Gli operai addetti agli impianti fissi della stazione ferroviaria di Napoli erano in agitazione e rivendicavano “miglioramenti adeguati per le categorie più basse e peggio retribuite, in particolare per manovali, operai, impiegati e capi tecnici della trazione”. Avevano occupato i binari, interrompendo il traffico da e per Napoli.

Tre lunghi convogli, uno proveniente da Stoccarda, l’altro da Roma con destinazione Reggio Calabria e, ultimo arrivo, un rapido stagionale, che aveva traversato più di mezza Europa, terminale Roma, pieno di turisti e di emigrati, erano fermi ed affiancati, a pochi chilometri dal capoluogo campano, nella stazione di Frattamaggiore.
Qui picchiava il sole di luglio. Nei vagoni arroventati, ciascun gruppo familiare, in massima parte emigrati provenienti dall’Olanda, dal Belgio, dalla Germania e dalla Svizzera (e poi quelli che calavano al Sud dal Piemonte e dalla Lombardia, definiti migranti interni: “Beato te che stai in Germania. Io vivo a Torino e sono più discriminato di quanto voialtri all’estero non possiate mai sentirvi”. “Taci, ché almeno tu sei in Italia!”. “Italia, dici? Ma quei polentoni lì ti considerano, e te lo fanno sentire, come se provenissi dal Biafra. Mica te lo mandano a dire, sai. Sul muso te lo spiattellano: ‘Africa’. Ed attuano l’apartheid, altro che ghetto!”); ciascun gruppo familiare, dunque, aveva dovuto istituire turni di guardia a pacchi, borse e bagagli, fatti accorti dalle trascorse esperienze proprie ed altrui. Precauzioni, poi, eccitate dalla lettura di un “Avviso” quadrilingue dell’Azienda Autonoma delle Ferrovie dello Stato, distribuito da un poliziotto italiano alla frontiera italo-elvetica:
“Anche nell’ambito ferroviario si deve lamentare un aumento dei furti a danno dei viaggiatori, furti spesso perpetrati approfittando di resse, talvolta provocate intenzionalmente, all’atto della salita o discesa dai convogli, nonché di distrazione durante la marcia dei treni. Fate pertanto attenzione ai vostri valori e ai vostri bagagli ed aiutateci nell’azione di prevenzione informando subito il personale ferroviario, o la polizia ove presente, di eventuali irregolarità o circostanze sospette”:
I momentaneamente liberi dal servizio di guardia cercavano relativo refrigerio all’ombra, affollando i marciapiedi, i locali della stazione, sostando al riparo della pensilina e sotto i pochi alberi. Fuori della stazione, un lungo viale assolato conduceva al centro della cittadina, oltre lo spiazzo deserto, sul quale s’avventurava momentaneamente qualche isolato viaggiatore, diretto a Napoli o nei dintorni, alla ricerca, subito frustrata, d’una soluzione che gli permettesse di raggiungere la vicina meta al più presto. Qui, sulla facciata esterna della stazione si leggeva, spennellato di nero: “Comunisti, siete i primi della lista”, atre parole dalla minacciosa consonanza.
I convogli, nei vagoni l’inferno, erano ormai fermi da più di tre ore e il mezzogiorno era trascorso da un pezzo insieme con i sapori e gli odori di casalinghe provviste; i viaggiatori, costretti all’esterno, s’ammassavano all’ombra disponibile, nell’afa meridiana. Il Bar aveva esaurito tutte le scorte, comprese quelle dei gettoni telefonici. Il responsabile dell’apparecchio a muro non c’era, né si sapeva dove cercarlo e a che ora potesse arrivare, seppure fosse venuto quel giorno.

Fortunatamente, la fontanella della stazione di Frattamaggiore scrosciava invitante, spruzzando allegramente acqua freschissima su scarpe e piedi nudi.
- Morire di sete, non moriremo-, disse un giovane scamiciato; bevve e si lavò viso, collo, petto, e offrì la chioma al getto pesante e gli scuri capelli gli si arricciarono, madidi.
- Almeno finché non sciopereranno quelli dell’acquedotto -, replicò un altro, sottoponendosi a sua volta al getto.
- Io sarei anche solidale coi lavoratori in sciopero, ma occorrerebbe che questi fossero solidali con me, a loro volta -, affermò subito autocompiaciuto della boutade l’avvocato Bonaccorsi, disceso dall’alto del vagone-ristorante, con voce sonora e rivolto, come spesso gli accadeva, all’ideale che s’era fatto d’un suo uditorio. La frase si dissolse nel vocio generale, fu assorbita dagli accenti variodialettali, non poté impressionare nessuno, ché commenti, supposizioni ed invenzioni, s’intrecciavano alte, voci che esternavano quello che ognuno supponeva stesse intanto accadendo a Napoli: “Sciopero c’è, sciopero dei sindacati autonomi: sono contro i lavoratori!”; “Ti dico che hanno occupato la stazione e di lì non li sloggia nessuno: sono i disoccupati organizzati, corsi a dare una mano ai compagni in lotta, peste per la polizia, chi li tocca?”; “Fosse così solo: ti dico che avranno fatto saltare i binari, a quest’ora!”. La folla si sbandava, si divideva, sciamava, oscillava a queste frasi. Il senso di disagio era compensato momentaneamente con la sensazione che dava lo “scandalo”, provocato dalle ripetute illazioni; dal fatto di non essere nell’occhio del ciclone. Ma tra la gente era prevalente l’adattamento alla situazione d’emergenza.

“Non c’è niente da fare: l’Italia è fatta così”. “So io quel che ci vorrebbe, chi ci vorrebbe”. “Lo sappiamo quel che ci vuole: rimozione delle cause che producono effetti così deleteri; il tutto in direzione di una migliore qualità della vita”. “Che belle parole e quanto sacrosante: come se non sapessimo che per attuare tutto ciò si dovrebbe rivoluzionare dal profondo tutta la società, così com’è attualmente strutturata, pessima per i più che non contano niente, ed ottima per i pochi che contano davvero e che questa rimozione non te la consentono”. “Verrà quel giorno!”. “Una volta si diceva: . Ora ti hanno inventato il compromesso storico e l’eurocomunismo”. “L’eurocomunismo e il compromesso storico te li inventò Giovannino Guareschi con don Camillo ed il compagno Peppone: Gino Cervi e Fernandel”. “Ma non c’è dunque salvezza, non c’è speranza?”. “C’è chi lotta, lo vedete. Siamo in massima parte operai ed emigrati, qui: sapremo bene sopportare le conseguenze di una rivendicazione, immagino”. “Già; solo vorrei sapere perché devono scioperare sempre, quando ritorniamo a casa!”.
- Evidentemente a noi italiani piace vivere così: lo troviamo più stimolante-, concluse un commerciante taglieggiato e che aveva subito di recente i danni provocati al suo negozio dallo scoppio d’una bomba, salutare avvertimento.

Nella Foto a lato: la stazione di Frattamaggiore anni 60

Naturalmente non aveva fiatato con la polizia. Era andato dove doveva andare, aveva parlato con chi doveva parlare, s’era accordato ed aveva sancito il patto con una cena da nababbo: “Tanto, paga il cliente”.

L’avvocato Bonaccorsi guardò la folla, captò un par di frasi, fu disgustato da una zaffata proletaria.
- Siamo effettivamente in molti, al mondo-, disse arricciando il naso e portandovi il fazzoletto profumato, piccato per la mancata percezione delle sue parole da parte degli astanti. Guatò tutta quella gente e rincorse pensieri, che definì incomunicabili, data la componente sociale della massima parte di quel raduno.
- Bisognerebbe sfoltire, sfoltire, sfoltire di molto-. E a chi avrebbero mai affidato la programmazione d’un piano tanto necessario, così impegnativo? Ci pensò su, ma non trovò nell’estesa cerchia di amici, clienti e conoscenti nessuno più adatto di lui a tanta bisogna.
- Si, caro Avvocato, Cavaliere, Grande Ufficiale Nicandro Saverio Bonaccorsi, devesi Lei sacrificare. Nessuno meglio di Lei. Al miglior programmatore sfuggirebbe sempre qualche seppur minimo particolare, senza parlare poi del fattore corruttibilità. A Lei, il Grande Organizzatore, l’Incorruttibile, mai! Provvederà, pertanto, per l’inizio, a programmare lo sfoltimento della popolazione, a cominciare dai settantenni in su. Operazione equa, proporzionata, quindi, alle concrete esigenze; indolore, asettica, corrispondente a una necessità obbiettiva, nel quadro d’una proposta di sterilizzazione dei ceti più prolifici e di una pietosa eutanasia per quella parte dell’umanità, segnata dai mali.
Si sarebbe aspettato il “voi”, l’avvocato Bonaccorsi, o, addirittura, il fatidico “tu”. Ma immediatamente intuì, e tenne gran conto di quella prudenza cospiratoria, l’opportunità d’una mimetizzazione totale e, quindi, anche di linguaggio, in pubblico e in privato, necessaria alla sua fazione per il conseguimento di un ordine nuovo, avverso all’attuale sistema. E qui i vocaboli “ordine” e “sistema” vennero da lui intesi in particolare accezione.
- Onorato, troppo buoni, onorato. E in questa fase, cari amici, non si farà luogo a discriminazioni di sorta: tutti, proprio tutti, prego! E abbruneremo le nostre bandiere per quelli di parte nostra; ci addoloreremo per gli uomini eccezionali, i rappresentativi, i geniali: l’élite, insomma, anche se di parte avversa; soffriremo quel che occorrerà soffrire per la dipartita, immatura, a altamente necessaria, dei nostri genitori, dei parenti più cari, degli amici più intimi...
Non volle oltre confondersi con quella folla, giunto a tal punto. Riascese con gran sussiego al suo posto nel vagone-letto, s’ascose al volgo, s’affondò ancora nel profondo delle sue meditazioni; pregò affinché la prossima amnistia, ancora in fase di progettazione, si estendesse fino a coprire il reato di omicidio colposo; e, infine, s’appisolò nel suo sudore e nell’elaborata digestione del sostanzioso pranzo, da poco consumato; e s’addormentò, elevando fidente la preghiera a Cristo, a ché facesse terminare quello stupido, inconcludente sciopero e punisse a dovere le canaglie, che l’avevano progettato e portato a termine.
“Dove siamo arrivati! - ronfava-: non si fa ricorso alla forza pubblica, non si mobilita l’esercito! Io pago fior di quattrini, io pago, e le tasse e che tasse, a parte quello che consumo durante il viaggio, per un pasto in Wagon-lit da Milano a Napoli, dal luogo di partenza a quello di arrivo, da lì all’eternità...- ed i pensieri gli si confondevano sempre di più nell’irrealtà del momento-, da quest’inferno al Paradiso...”.
Ora era completamente svanito e dimenticò di presentare a San Pietro, per l’esame di ammissione all'Eden, la prescritta copia autenticata della dichiarazione dei redditi; e San Pietro gli consigliava bonariamente di andarla a prendere ed egli rispondeva al Custode Eterno con tono accattivante che forse non occorreva, in quanto il Ministro del Tesoro aveva già dimostrato al Consiglio della Comunità come qualmente l’Italia avesse fatto fronte ai suoi impegni nei riguardi della Comunità Economica Europea e del Fondo Monetario Internazionale; che il tasso d’inflazione era contenuto e non destava preoccupazioni; che la bilancia dei pagamenti era risultata in giugno attiva oltre i 350 miliardi di lire; e San Pietro gli gridava: “Bada!”, facendolo schizzare di colpo fuori del sogno e non era San Pietro che tuonava, ma qualcuno che annunciava: “Comunicazione” in un microfono lontano e gli altoparlanti ne ingigantivano la voce sotto la tettoia, che ne vibrava.
Sobbalzò, l’avvocato Bonaccorsi; e, tutto sommato, fu felice di ritrovarsi immerso nel proprio sudore freddo nel forno dello scompartimento riservato del vagone-letto, fermo per sciopero di categoria a Napoli sui binari della stazione di Frattamaggiore.
Il resto delle sue argomentazioni a San Pietro l’avvocato Bonaccorsi finì di rileggerlo in un sottotitolo del “Mattino”, spiegato sulle ginocchia: “Il governo controlla con attenzione i riflessi negativi sull’occupazione del rallentamento produttivo”.



Vito d’Adamo torrese dalla Germania



 
 

ID: 6702  Intervento da: la redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Data: lunedì 30 luglio 2007 Ore: 10:35

Frattamaggiore e Frattaminore stanno tra Aversa, Casandrino e Caivano, da non confondere con Fratte nel salernitano.

FRATTAMINORE

Le origini di Frattapiccola risalgono alla seconda metà dei secolo XIII quando alcune famiglie che dimoravano nella odierna Fracta si spostarono nelle vicinanze dell'antico sito di Atella per costruire un nuovo villaggio che cominciò a chiamarsi Fractula e più tardi, intorno al 1282, Fractapicula, per distinguersi dall'altra Fracta che intanto aveva aggiunto l'aggettivo maior.
Nel 1500, a Frattapiccola, esisteva una chiesa intitolata a San Sebastiano sul cui luogo in seguito ne fu costruita una più grande, come ampliamento della stessa, dedicata a S. Maurizio; della vecchia chiesa di S. Sebastiano, funzionante come parrocchia fino al 1520, oggi se ne conserva ancora una parte individuabile nel locale della sagrestia. San Sebastiano doveva far parte di un antichissimo convento, quello dei SS. Sergio e Mario, sorto in aperta campagna come è riportato in un antico documento che riferisce di uno scambio di terreni intervenuto tra i fratelli Marcomanno e Giovanni da un lato e i monaci dall'altro. Nella attuale chiesa di S. Maurizio, costruita intorno al 1550 vi si conservano lapidi con iscrizioni di illustri famiglie locali dei secoli XVII e XVIII, quelle degli Iovinella e dei De Ligorio (oggi Liguori) ad una stele romana in cui si legge una dedica agli dei Mani "Dis manibus M. Amulli Epagathi lib primigeni" (Agli dei Mani di Marco Amulli Epagato, liberto della dea Fortuna Primigenia).
Frattapiccola, con il suo castello circondato dal fossato, fu feudo a partire dal XIII secolo; ne furono feudatari, tra gli altri, Pietro Marerio, Pietro da Venosa e Scipione d'Antinoro. Nel 1626 era "utile signore del Castello" Vincenzo Benevento e successivamente il figlio Francesco, all'epoca proprietari anche del complesso di Teverolaccio, nei pressi di Succivo.

maps.google.it/maps?oi=eu_map&q=Frattamaggiore&hl=it


ID: 6701  Intervento da: la redazione  - Email: info@torreomnia.it  - Data: lunedì 30 luglio 2007 Ore: 00:34

Quanti centri urbani vi sono in Campania. Ma quanti ne conosciamo per averli visitati tra centinaia che ricordiamo solo per nome?
Accontentiamoci di queste note di repertorio tratte dalla rete come contorno al realistico racconto di Vito D’Adamo.

FRATTAMAGGIORE

La storia dei territorio frattese ha spesso sostenuto la speranza di far luce sulla civiltà sviluppatasi in epoca pre-romana nell'area d nord di Napoli con al centro Atella, l'antica città osca scomparsa nel XI secolo. L'antichissima produzione della canapa e l'artigianato delle funi sono elementi che stabiliscono una continuità storici tra Fratta e Miseno, porto romano distrutto dai saraceni nel IX secolo. E' convinzione comune infatti, che essa sia stata fondata nel 850 dai profughi scampati alla distruzione. L'agiografia del Santo Patrono Sossio martire misenate impreziosisce questa continuità, coinvolgendo anche una eredità artistica-religiosa proveniente da Cuma, insieme con la devozione di S. Giuliana.

Nella foto a lato: Via Vittorio Emanuele ieri

Alcune testimonianze archeologiche di epoca Osco-Romana (tombe -archi dell'acquedotto atellano - otri ecc.) parlano di un territorio di periferia agricola preesistente all'insediamento frattese, sorto al centro tra l'arca Longobarda e quella Ducale-Bizantina della Campania, altri documenti risalenti al I X-XIV secolo (contratti agrari, pagamento delle decime, la configurazione Abbatiale della chiesa di S. Sossio) parlano dello stesso come di un territorio la cui signoria era probabilmente ecclesiastica.
Durante la dominazione Normanna (1030-1266) Fratta assume la dicitura di Major e si costituisce come casale legato a Napoli per gli affari civili e ad Aversa per quelli ecclesiastici.
Al periodo Angioino (1266-14 42) risalgono molti documenti che parlano di "cannabarj" che commerciano nella città di Napoli. Al periodo Araqonese-Spagnolo (1442-1507) risale la parte più antica della struttura urbana, con la presenza di residenze che valorizzano i palazzi con corti signorili e i "luoghi" come spazio di lavoro contadino e di produzione canapiera. Portali di piperno scolpito, affacci e mascheroni barocchi, trovano modo di esprimersi ad un buon livello architettonico.

Nella foto a lato: Via Vittorio Emanuele oggi

Nel 1493 Frattamaggiore diviene sede della Gran Corte della Vicaria, mentre le sue funi e le sue gomene si esportano in tutto t'impero spagnolo, accompagnando probabilmente anche l'impresa di Cristofaro Colombo.
Nel 1630 l'universitas frattese viene ceduta in feudo al Barone di Sangro, ma tre anni dopo riesce ad operare il suo "Riscatto". Nel periodo borbonico l'artigianato canapiero si concentra in una fiorente industria tessile, che avrà modo alla fine dell'800 e all'inizio dei '900 di assurgere ai massimi livelli europei.
Negli ultimi 30 anni, la città ha cambiato la sua economia, ha modernizzato i suoi servizi, ha esteso la sua configurazione urbana, ed appare uno dei centri più importanti dell'hinterland napoletano. Ha dato i natali al musicista E Durante, al poeta G. Genoino, allo storico B. Capasso.
Nel 1997, con il "Placet" dei Primate dell'Ordine di San Benedetto e con l'intervento dei monaci Sublacensi, Frattamaqgiore è stata solennemente intitolata 'Città Benedettina'. Il titolo è legato alla storia C dita custodia nella Chiesa principale, delle sacre spoglie di San Sosio e Severino, le quali un tempo erano onorate nell'omonimo e antico monastero benedettino napoletano.

La redazione


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