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Argomento presente: « UNA DOVEROSA AGGIUNTA »
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ID: 6168  Discussione: UNA DOVEROSA AGGIUNTA

Autore: Vito D'Adamo  - Email: Viad37@online.de  - Scritto o aggiornato: sabato 30 giugno 2007 Ore: 22:13



Caro Gigimari,

nel tuo libro “CD Torre del Greco“, a pag. 221, prima colonna sub “Letteratura torrese (Bibliografia)”, avverti che “Torre del Greco vanta una vasta tradizione letteraria. Qui mi limito ad esporre l’aspetto bibliografico per ragioni di snellezza del veicolo elettronico che trasporta questo lavoro. I libri che citano Torre del Greco o che ne riportano notizie sono centinaia; tratterò solo quelli scritti per Torre e su Torre”.
Rispetto il tuo punto di vista e la tua decisione di contenere le note bibliografiche entro i limiti, imposti dalle esigenze editoriali; desidero, tuttavia, proporre un’aggiunta, che considero doverosa: inserire, cioè, due scrittori, uno torrese, l’altro, per linea paterna di diretta discendenza corallina, importato da piccolo nella nostra Città. Ambedue, anche se con diverso spirito, hanno trattato diffusamente di Torre del Greco, di storie, di luoghi, di espressioni dialettali, di usi e costumi locali.
Il torrese: Nino Longobardi, fu giornalista e columnist delle “Cronache italiane”, sul “Messaggero”, quotidiano di Roma, e autore di “Diario di un ex fumatore” (tra i quattro finalisti del concorso Estense); gli fu assegnato un primo Premio Marzotto per un’inchiesta sulla Sardegna; ed un secondo Premio Marzotto per le succitate “Cronache italiane”. Scrisse “Il figlio del Podestà” (il padre, Gaetano Longobardi fu Podestà di Torre del Greco dal 1927 al 1937), edito da Rusconi nel 1976; lo scrittore narra, in pagine, improntate del suo particolare umorismo, fatti e misfatti locali.
Enzo Aprea, nacque a Pola, ma trasferitosi con la famiglia a Torre del Greco, vi trascorse i suoi anni giovani. Giornalista, lavorò per la RAI e per la BBC. Scrisse, inoltre (cfr. i siti a lui intestati in vari motori di ricerca): “Poesie, l’Altro, e l’intervista di Maurizio Costanzo” per i tipi di Tullio Pironti editore; un libro che narra il suo calvario d’inaudite sofferenze con rabbia, umanità e speranza, intercalando capitoli di ricordi torresi a quelli del male che, nel suo fatale progredire, lo ridurrà a un tronco, privo di braccia e di gambe.
Ho notizia, vaga, che a Torre del Greco esisterebbe una biblioteca intestata ad Enzo Aprea. Avrei piacere che così fosse e che qualcuno me ne desse conferma.

Ti saluto, con la stima che le tue ricerche e la tua opera meritano.

Nonnovito.




HK – 26.06.07.

 
 
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ID: 6224  Intervento da: ciro Adrian Ciavolino  - Email: ciroadrian@libero.it  - Data: sabato 30 giugno 2007 Ore: 22:13

Non l'abbiamo dimenticato.
qualcosa di Enzo potrò scrivere, in qualche momento migliore.
A quest'ora non lo farei con la dovuta grazia.
a presto.
Adri.


ID: 6223  Intervento da: Penza Francesco  - Email: francopenza@interfree.it  - Data: sabato 30 giugno 2007 Ore: 20:41

L’INFINITO ottobre 1974 del Dott. Franco Penza

IO E IL VIBRIONE di ENZO APREA

Per anni, col vibrione sono stato culo e camicia. Per uno che ha vissuto a Torre del greco la giovinezza e l’adolescenza il vibrione è di famiglia. Si chiama compare. Entra in casa e se ne va quando vuole e sta addosso a tutti più o meno confortevolmente. Ci accorgemmo della sua presenza all’arrivo degli alleati, quando fummo tutti costretti a metterci in fila e a farci imbiancare di DDT che i soldati ci spruzzavano addosso con le pompe di flit.
Era un vibrione più tranquillo, allora, e la sciolta ce la portavamo addosso per mesi. Per placare le fitte allo stomaco, che erano sfuriate di fame pura, mangiavamo frutti di mare che pescavamo noi ragazzi tra gli scogli della Scala o del Cavaliere o alla Torre di Bassano. E, con i frutti di mare, scorpacciate di polvere di piselli. Quindi, sciolta e tifo petecchiale. Bagni di DDt e limoni. Ci salvavamo così, anche perché il vibrione, come dicevo, era più tranquillo. Gli scarichi a mare c’erano, ma non erano così conditi come dopo che centinaia di palazzi allucinanti sono stati innalzati come un invalicabile muro tra il golfo e il Vesuvio. Allora il vibrione mangiava appena, spuntini, tramezzini di liquame sbiadito, acqua-acqua, niente di sostanzioso e si accompagnava zoppicando ai pidocchi che, in quel periodo, erano davvero in auge.
E, per noi, quelle grandi mangiate di cozze, di vongole, di tartufi, di angine erano continue vaccinazioni. Potevamo considerarci mitridatizzati e, a mano a mano che i palazzi aumentavano anche le diarree. Ma eravamo ancora abbastanza forti.
Dopo l’arrivo degli americani ci fu il boom dei cammei e delle collanine di corallo. A Torre del Greco, quelli che avevano saputo fare incetta di conchiglie e fatto sgobbare a mare i poveri marinai delle coralline, diventarono industriali. Spedivano cammei appena abbozzati con quattro colpi di bulino, con brutte facce e brutti fiorellini, che loro stessi con disprezzo chiamavano chionze, in tutte le parti del mondo.
E facevano soldi mai visti. E, con i soldi, diventavano appaltatori, e di soldi mai visti ne videro tanti che, ad fazzoletto di “parula”, al posto dei pomodori saporiti, dei friarielli o broccoli di rape e perfino dei garofani, mettevano un palazzo. E, se il vibrione si è ingrassato e si è fatto pure la villa nelle acque del golfo, deve dire grazie anche ai cammei, al corallo e un poco anche a me e a tutti quelli che, come me, inconsapevoli untori del nostro tempo, di notte, andavano scavando intorno e accanto ai pozzi neri del paese, alla ricerca dei rimasugli di corallo che lavoranti del passato avevano sotterrato, mai pensando che quei pezzettini di rametti rossi, che a loro sembravano scarto, sarebbero diventati oro puro dopo dieci, venti o trent’anni.
L’associazione che mi viene tra vibrione e cammei sta nell’incontro d’allora con i pozzi neri di Torre del greco,. Andavamo in tre o quattro. Io, Piscitiello, che eravamo le menti, e altri due addetti allo scavo. La puzza ci impregnava camicia e pantaloni e respiravamo a stento per tutta la notte. Ma i soldi piacevano anche a noi e il gioco valeva la candela perché un chilo di scarti di corallo ce lo pagavano fino a trentamila lire. Accadeva spesso, però, che la nostra presenza coincidesse con quella dei latrinari. Arrivavano con un carro tirato da un vecchio cavallo. Sul carro c’erano tre botti. Davanti e di dietro, le botti piccole. In mezzo, la botte grande. Ma grande.
E si capisce il perché della derisione e degli sfottò da parte dei paesi confinanti, Ercolano e Torre Annunziata, che alla base del blasone cittadino di torre del Greco, avevano aggiunto “Tina di mezzo”.Botte di mezzo, cioè la botte più grande, quella sempre più colma di liquame –parlando con rispetto- ma era merda, che i latrinari andavano poi vendendo per le campagne come concime.
Di scavatori clandestini, a Torre del Greco, ce ne furono centinaia. Scavavano tutte le notti in tutti i posto in cui si sospettava o si sapeva dell’esistenza, in passato, di un laboratorio di corallai. E non si andava troppo per il sottile. Il piccone spaccava pavimenti e, con i pavimenti, spesso anche i tubi delle fogne che erano di coccio e antichissimi. Mai nessuno li ha sostituiti. Il carro con le tre botti percorre ancora ogni notte le stridette della vecchia città a prelevare concime dai vecchi pozzi neri e i latrinari guardano, con rabbia, le lunghe file di palazzi che sono sorti a monte, a destra e a sinistra di Torre del greco e che scricano i loro rifiuti direttamente al mare, proprio accanto alle spiagge e agli scogli dove, un tempo, andavamo a sfamarci di cozze, di patelle e di ricci. E pensano, i latrinari, che è davvero un peccato che tanta ricchezza vada ad ingrassare sempre di più tale “vibrione” che loro, in fin dei conti, non sanno neanche chi è.

Nell’estate del 1974 con Michele Sorrentino, Brulè, la dott. Marino, mentre mangiavamo la pizza marinara da Vincenzo a Via Roma, Enzo scrisse l’articolo “Io e il vibrione” di getto. Cominciava la sua tragedia del morbo dal suo alluce destro.


ID: 6211  Intervento da: salvatore argenziano  - Email: salvatore.argenziano@fastwebnet.it  - Data: venerdì 29 giugno 2007 Ore: 00:37

Questo ricordo è tratto dal libro di Enzo Aprea

L'altro.



torreomnia.virtuale.org/RicordoNr6.pdf


ID: 6210  Intervento da: Serena Mari  - Email: sery_mari@hotmail.com  - Data: venerdì 29 giugno 2007 Ore: 00:31

GRAZIE A SALVATORE ARGENZIANO Vito D'Adamo è stato esaudito sia per ENZO APREA CON UN SUO RACCONTO che per NINO LONGOBARDI.

NINO LONGOBARDI:

www.torreomnia.it/forum/bacheca/pdf_exe_messaggi/ninolongobardi.pdf

ENZO APREA:

www.torreomnia.it/forum/bacheca/pdf_exe_messaggi/ricordonr6.pdf

Serena Mari


ID: 6201  Intervento da: Vito D'Adamo  - Email: Viad37@online.de  - Data: giovedì 28 giugno 2007 Ore: 16:22

Rif. ID:6169 e ss.

Cari amici,
mi compiaccio vivamente per i numerosi riscontri, relativi ad Enzo Aprea, presente nel ricordo di tutti. Ma perché la biblioteca, a lui intestata è chiusa?
Anche io ebbi un fugacissimo incontro con Enzo, l'ultimo, purtroppo, presso un'agenzia di viaggi di Palermo, anni '60. Poi, mai più; e poco ho potuto seguire del suo lavoro di inviato speciale, di scrittore e di poeta. Ebbi tra le mani, una rara volta, un settimanale col suo articolo sui vibrioni, e fu come farmi un tuffo al "Cavaliere" sotto il sole picchiante delle estati coralline, affrancato da impegni scolastici.
Entrò, mi vide, mi corse incontro:
- Vito!
- Enzo!
- Che fai qui?
- Cerco di rientrare a Catania per questa sera, ma tutti i posti sono prenotati e sarà difficile che qualcuno rinunci all’ultimo momento.
Enzo, invece, andava a Roma, reduce di un servizio sulle isole, che fanno da corona alla Sicilia.
Doveva sbrigarsi, gli disse l’impiegata, raggiungere Punta Raisi al più presto. Poche frasi potemmo scambiarci. Avevamo esordito ricordando alcuni degli assidui frequentatori del Gran Caffè Palumbo. Quindi, un abbraccio e via.
Partiii il giorno dopo, di mattina presto e per tutta la notte non feci che pensare a quel breve incontro e a quel che poteva promettere come rimpatriata; avvertivo, però, come un inquietante presagio di addio. In quei lunghi anni ho potuto leggere, e solo per fortuito caso, qualcosa di suo, che ogni volta mi rinviava a quel pomeriggio panormita.
Non seppi mai della crudele malattia, che l’aveva colpito, e me lo ricordo allegro compagnone pieno di vita, e così rimane antro di me. Seppi solo qualche anno dopo della sua morte e di ciò che ve l’aveva condotto, e fu un duro sapere e fu ancor quello che oggi sento.

Molti gli interventi, a ricordo di Enzo, e credo ve ne saranno ancora. Di Nino Longobardi, però, non se ne è accennato. Qualcuno me ne sa dire qualcosa?

Caro Penza, oggi ho ricevuto la tua lettera. Del pensiero e del contenuto ti ringrazio e ne parleremo al prossimo incontro. In attesa, ti saluto con cordialità e ti abbraccio...da lungi.

Come abbraccia dalla Foresta Nera tutti gli amici
Nonnovito.


ID: 6179  Intervento da: Serena Mari  - Email: sery_mari@hotmail.com  - Data: mercoledì 27 giugno 2007 Ore: 13:18

E' un plebiscito con ENZO APREA.

Ci mesavigliamo solo di non aver ricevuto almeno un rigo di Ciccio Raimondo e Ciro Adrian Ciavolino.

Il buon Enzo Aprea non si merita di essere così dimenticato.

Serena



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