La
fine dell'incubo
All'alba
del 4 luglio 1830 la vivida traccia luminosa, emessa da un singolo razzo,
solcò lo sfumato chiarore del crepuscolo di Algeri. Difficile per
chiunque credere che quel modestissimo segnale era il tanto atteso inizio
della fine della corsa barbaresca. E come, quasi tre secoli innanzi aveva
profetizzato il padre Dan, l'opera di annientamento si attuò per mano
dell'esercito francese, in conseguenza di un ennesimo oltraggio della
Reggenza di Algeri.
Il razzo, infatti, lanciato dal quartier generale del corpo di
spedizione francese, ordinava la contemporanea e convergente apertura del
fuoco delle batterie d'assedio contro i caposaldi nodali della città (125).
Il
diluvio devastante di granate, fu almeno per qualche ora, controbbattuto
dall'artiglieria barbaresca, certamente ridondante per quantità di pezzi,
ma altrettanto giubilata per concezione tecnologica. L'esito scontanto non
si fece attendere troppo: dopo pochi tiri le eccessive sollecitazioni agli
affusti, imposte dai pezzi costretti a tirare con alzo massimo, iniziarono
a sconnetterne l'assemblaggio: uno dietro l'altro si fracassavano,
tacitando la relativa bocca. Ancora non scoccavano le 9 che la piazza
cessava la reazione balistica.
Scaduta la necessità di rispetto delle distanze, le artiglierie
francesi fatte avvicinare alle fortificazioni della città,intrapresero,
con assordante fragore, la loro irreparabile opera di
demolizione.Scomparsa nel frattempo qualsiasi estrinsecazione di difesa
coordinata:la popolazione, atterrita, dalla inusitata violenza del
cannoneggiamento e presaga dell'imminente conquista,non contemplandosi
ormai alcuna credibile inversione di sorte, implorava la capitolazione. Il
dey dal canto suo, rinchiusosi nella Casbah, tentava di avviare estreme
trattative con il comandante nemico, fidando con ciò di arrestare lo
scempio, e magari di conservare il potere.
I cannoni francesi non dimostrarono però il benché minimo segno
di diradazione del tiro, continuando a battere con micidiale cadenza la
città,sconvolta da un imbelle terrore.
In breve il dey recepì l'assoluta sterilità delle sue profferte, ed
anche il semplice patteggiamento della resa si confermò irreale: unica
salvezza l'accettazione pronta ed incondizionata delle clausole francesi,
peraltro, estremamente dure e vincolanti. Nel corso della notte dovette
apporvi la firma: i vincintori dal canto loro garantivano esclusivamente
il rispetto dei beni, delle persone fisiche e della libertà di religione.
Per il resto pretesero l'immediata consegna dei forti e l'occupazione
militare a tempo indeterminato di Algeri.
Moltissimi algerini, affatto convinti delle concessioni, e forse
timorosi di possibili ritorsioni e vendette, già nella stessa notte, in
lunghe carovane abbandonarono la città, nella quale rimasero alla fine, i
mori, ed i turchi, rinchiusisi nelle proprie caserme.
Tra le prime incombenze dei conquistatori il sequestro del tesoro
della Casbah, costituito dai residui del denaro accumulato con secoli di
crimini ed abiezioni.Il simbolico recupero emblematizzava la fine
irreversibile della corsa. Il dey vistosi ormai esautorato da ogni potere,
il 20 giugno si imbarcò sulla fregata La
Jeanne d'Arc messagli a disposizione dal comando francese, con
l'intero suo seguito,110 persone di cui 55 donne, e si fece sbarcare a
Napoli il 25 seguente, dove vi soggiorno per alquanto tempo, trasferendosi
sul finire dell'ottobre a Livorno, e quindi a Parigi.
Cessata
completamente la corsa e soppressi i suoi orrori la pesca del corallo trovò
finalmente un sostanziale miglioramento. L'avvento della navigazione a
vapore aveva d'altro canto abbreviato i viaggi ed ampliato il traffico
mercantile, distogliendo, però, per i suoi equipaggi non pochi pescatori
corallini.
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La Ferdinando I, la prima nave a vapore del Mediterraneo, in
navigazione.
Dopo
il 1830 mediamente 200 coralline torresi risultano attive lungo le coste
dell'Algeria almeno fino al 1860. Si colloca proprio: "...alla prima
metà del secolo XIX, periodo di notevole estensione dell'uso del corallo
nei paesi di Europa e di prevalente attività dei pescatori sulle coste di
Barberia, il rapido sviluppo di quella provetta lavorazione del corallo
nel Napoletano, che poi ha finito col costituire una caratteristica di
Torre del Greco." (126).
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