Rivista Marittima - Flavio Russo - L'oro rosso di Torre - Pag. 37

Un significativo indicatore di tale angosciante situazione può ravvisarsi nel massimale stanziato da una apposita istituzione torrese per il riscatto dei corallari fatti schiavi. Nel 1639, quando si contavano fra i suoi cittadini ben 18 padroni di barche coralline, era stato fondato il 'Monte dei Marinai' finalizzato a fornire in quel malaugurato caso 50 ducati per ciascun membro schiavo. Nel 1724 la cifra fu ele­vata a 75, conferma del montare del timore. Per l'epoca risultava comunque notevolmente inferiore, forse appena un quarto, ai riscatti pretesi dai barbareschi per marinai giovani e robusti,a costituiva una contribuzione che si andava ad aggiungere alle cifre stanziate all'uopo dalle notorie confraternite redentoriste, agevolandone sensibilmente l'azione, e contribuendo a tranquillizzare, nei limiti del possibile, i pescatori. Per meglio apprezzarne la modernità va precisato che si trattava di una associazione di mutuo soccorso e non di una confraternita religiosa, una specie cioè di mutua o di assicurazione nell'attuale accezione del concetto (95).
E' interessante, a questo punto, descrivere sia pur breve­mente il contesto operativo in cui si svolgeva la pesca dei corallari torresi,confermatisi ormai tra i più esperti ed i più numerosi del settore. Nel 1780 fu scoperto un ricchissimo banco di corallo, quasi a fior d'acqua, nei pressi dell'isolotto della Galita, arido scoglio vulcanico ad appena una ventina di miglia da Tunisi. Il significativo dettaglio imponeva una adeguata componente difensiva, non potendosi neppure ipotizzare un impiego tanto prolungato della Marina da Guerra borbonica in acque tanto vici­ne al nemico e tanto lontane dalle proprie.
            La presenza del corallo nelle acque della Galita non costituiva una vera ed assoluta novità: già nel 1707,ed anco­ra nel 1709 il bey di Tunisi ne aveva concesso ai napoletani ed ai siciliani il diritto di pesca,che per l'onere implicito doveva necessariamente presupporre una adeguata certezza di profitto. L'intervento dei francesi della Compagnia era valso a far retrocedere il bey dalla sua decisione,ma al contempo aveva quasi istigato la frequentazione di contrab­bando dei paraggi da parte dei borbonici. Dimostratisi inuti­li tutti i tentativi diplomatici,espletati anche con l'in­termediazione del console inglese, era subentrata una pesca di fatto dai banchi, con ingentissimi rischi e, forse, con accordi sotterranei. Alle reiterate rimostranze francesi, infatti, il bey alla fine rispose che certamente sarebbe stato auspicabile l'allontanamento dei battelli napoletani, ma che non era in grado di poterlo esigere direttamente per mancanza di idonei mezzi: se mai se ne facesse carico Parigi! E la suprema magistratura del commercio francese stabilì, nel 1787, che ogni pretesa sulle acque non strettamente costiere, o territoriale dovesse ritenersi infondata, sentenza per­fettamente in linea con le tesi del Grozio (96). Per cui nessuna accusa si poteva muovere perchè:  

     "...riuscì agli stessi pescatori di trovare una secca distante dalla Galita venti miglia, e verso Greco quanto a Tramontana, dove fecero una ricca pesca, siccome fecero nel 1784. Nel 1785 cominciarono ad inoltrarsi sempre più verso il lido, ed in distanza di dodici miglia fuori Capo Negro fecero la terza pesca... Così tutta l'intera pesca del corallo in quei mari forma l'estensione di sessanta miglia per Ponente a Libeccio, e si allontana dal lido dodici, quindici, venti e quarantatre miglia..."(97)

            Dal canto suo re Ferdinando, forte della sentenza e ben accorto a non contraddirla nella definizione delle distanze, con un tardivo dispaccio datato 15 aprile 1788,autorizzava i corallari alla:

      "...libera pesca del Corallo ne' mari d'Africa ed in altri,ne' quali tutti la M.S. favorirà con ogni conveniente mezzo tale utile industria diretta al mantenimento effettivo di una considerevole popolazione,la quale non trovando alle falde del Vesuvio sufficiente sussistenza,e lavoro per pro­cacciarsela,deve per ogni giusto riflesso esser protetta,ed incoraggiata nell'indicato uile ramo che da tanto tempo professa.Onde ai medesimi si lascerà libero il tempo di pescare all'Isola della Galita, e ne' suoi contorni, come quella,che se ne ritrova lontana a diciotto o venti miglia; purchè non si gettino essi nella Costa,rompendo la prescritta distanza delle dieci o dodici miglia per ogni lato di quella,nè si mescolino co' Battelli Francesi in veruna parte coll'avvertenza che aì primi lamenti della Compagnia i contravventori a tale articolo saranno esattamente puniti per la disubbedienza..." (98).