Rivista Marittima - Flavio Russo - L'oro rosso di Torre - Pag. 16

La costa nordafricana 

            La 'reconquista' avviata in Spagna intorno al VIII secolo agli inizi del 1492 pervenne alla sua conclusione. La presa di Granada operata dall'esercito di Ferdinando ed Isabelli ne costituì l'atto finale (55). Ma il problema moresco proprio allora parve ben lontano dalla sua definitiva risoluzione. La vittoria, infatti, appena conseguita non aveva ancora potuto trovare sul piano civile un'adeguata gestione: sia i mori riparati in nordafrica sia quelli rimasti in Spagna, rifugiatisi tra le montagne, costituivano per la corona una crescente preoccupazione. Dai primi si temevano ritorni vendicativi,dai secondi banditismo e guerriglia. Il timore, peraltro non privo di emblematici riscontri, che dall'opposta sponda del Mediterraneo i musulmani con l'aiuto dei correligionari regnicoli potessero avviare incursioni e razzie contro le località rivierasche divenne l'incubo dei sovrani.
            La conquista di Granata si riguardò, in definitiva, non diversamente dall'acquisizione di un ennesimo caposaldo nemico, posto sulla sponda di un fiume di notevole larghezza fungente da temporanea frontiera tra le due etnie. Sull'altra, pertanto, restava sempre intatta e minacciosa la potenza islamica pronta ad approfittare di qualsiasi ribellio­ne interna per attaccare. L'unica maniera quindi per stornare radicalmente l'an­gosciante esposizione sarebbe consistita, non tanto nel chiudere la costa con opere fortificate quanto,piuttosto, nell'eliminare innanzitutto i mori di Spagna e poi quelli nordafricani. Il che significava in ultima analisi continuare la crociata,e soprattutto estenderla al di là del Mediterraneo. In pratica la prima parte del programma, ebbe l'avvio già nel 1493 quando,con intuibili metodi persuasivi, moltissimi musulmani vennero 'convinti' a lasciare la Spagna (56). Di lì a poco la permanenza dei restanti fu subordinata alla conversione, spesso eseguita forzatamente in massa con un corollario di abiezioni e crudeltà ripugnanti. L'odiosa imposizione, ed era facilmente prevedibile, innescò violenti rivolte e incessanti ostilità.Per quanto prontamente represse parvero confermare la sensatezza della paventata aggressione dei mori nordafricani e la non procrastinabile attuazione della seconda fase del programma. Ma quella anacronistica crociata entro quali limiti si sarebbe dovuta estrinsecare ed, in particolare, a quali effettivi traguardi ambiva?

  
          La visione più radicale prospettava una conquista militare permanente del nordafrica da Gibilterra alla Palestina. La più pragmatica,invece, contemplava una semplice riapplicazione della strategia della riconquista, ovvero il controllo territoriale della sola fascia costiera attraverso l'imposizione di numerosi presidios (57).
            Nel 1494,auspice la benedizione di Alessandro VI,e l'istituzione di una immancabile tassa destinata a finanziare le operazioni militari, se ne intraprese l'attuazione. I risultati, per la verità, apparvero subito estremamente modesti, limitandosi  alla con­quista del porticciolo di Melilla nel 1497. Nel 1499 a seguito ad una ennesima ribellione dei mori in Spagna, ai quali si applicò la conversione coatta, si decise di incrementare la campagna nordafricana, ravvisandosi ormai solo nel successo militare la soluzione finale del secolare problema. La stessa regina Isabella ne divenne la fanatica fautrice ed alla sua morte nel 1504 il Cisneros, arcivesco di Toledo (58), già fervente ispiratore, ne raccolse l'eredità propulsiva istigando incessantemente il re a concretizzare l'estrema volontà della consorte.
            Un apposito corpo di spedizione si destinò all'impresa nel 1505 e la rapida conquista di Mersel Kebir confermò se non altro la facile praticabilità del programma. Seguì quindi nel 1509 l'occupazione di Orano, successo che lungi dal placare le richieste del Cisneros, sembrò ulteriormente acutizzarle. Ma la linea strategica del sovrano si era vistosamente allontanata da quella dell'alto prelato intervenendo nella divaricazione nuove ambizioni imperiali. Ferdinando, infatti, coinvolto nelle guerre europee con la Francia, in particolare in Italia, riguardava il teatro nordafricano, nella migliore delle ipotesi,ome un settore secondario, assolutamente incapace cioè non solo di generare ricchezza ma persino di remunerare strategicamente le spese delle campagne, per cui forse: «...soltanto le preoccupazioni dell'Aragonese, troppo tentato dalle ricchezze dell'Italia, impedirono alla Spagna di impadronirsi del retroterra marocchino. Ma l'occasione perduta non si ripresentò mai più..." (59).   
     
      Il massimo impegno pertanto concesso fu l'impianto di una catena di caposaldi fortificati, che ribadendo la potenza spagno­la,avrebbero frustrato,almeno secondo la logica ricordata, future azioni ostili contro il territorio metropolitano ad opera di corsari, la cui aggressività cresceva rapidamente. Il:"...motivo più ovvio per spiegare come mai gli spagnoli non riuscissero a mettere effettivamente piede nell'Africa settentrionale va ricercato nei troppi impegni che essi dovevano sostenere altrove. Ferdinando, Carlo V e Filippo II furono tutti e tre assillati da altri problemi urgenti per poter dedicare altro che una episodica attenzione al fronte africano. Ma quella mancata occupazione dell'Arica costò moltissimo, basti pensare al riguardo all'accresciuta potenza dei corsari in tutto il Mediterraneo occidentale. Tuttavia, a ben guardare, la natura dei luoghi e la scarsità numerica delle forze spagnole ebbero il loro peso nel rendere comunque impossibile un'effettiva occupazione spagnola.' anche lecito supporre che le formidabili difficoltà naturali non sarebbero state insuperabili se i castigliani avessero portato e fatto la guerra in Africa settentrionale in modo diverso. Infatti, furono inclini ad impostare quella guerra come se fosse la semplice continuazione della campagna militare contro Granada. Ma questo significava che, come già nella reconquista, pensavano di agire con spedizioni di razzia col fine di saccheggiare i luoghi invasi e di stabilire in essi dei presidios,ssia guarnigioni di frontiera. Non ci fu allora nessun piano di conquista totale, nè venne approntato alcun progetto di colonizzazione.La parola conquista all'orecchio del castigliano significava sostanzialmente l'impianto di una «presenza» spagnola e cioè l'occupazione di posti fortificati, la soddisfazione di pretese rivendicazioni, l'acquisto di una signoria su una popolazione  sconfitta. Questo modo di fare la guerra, già provato e collaudato nella Spagna medievale,venne ovviamente adottato anche nell'Africa settenarionale, anche se la natura dei luoghi e altre circostanze dovevano far dubitare fin dall'inizio della sua positiva efficacia. E poichè il paese era ingrato e il bottino deludente, l'Africa, al contrario dell'Andalusia, fu poco allettante agli occhi dei combattenti, più preoccupati di ottenere ricompense materiali alle pro­prie fatiche che il premio spirituale promesso dal Cisneros. Quindi, l'entusiasmo per la guerra in Africa si afflosciò ben presto e le conseguenze militari di tale illanguidimento furono quelle che ci si doveva attendere... Proprio in Africa il modo di fare la guerra di crociata,così come era stato praticato dalla Castiglia medievale, si dimostrò inadatto..."(60).
             Finirono così 'presidiate', nel 1510 Buda e Tripoli di Libia,nel 1511 Tenes, Dellys, Cherchel, Mostaganem, e quindi l'isolotto dinnanzi ad Algeri, detto 'Penon', ed altre località ancora negli anni immediatamente successivi.