La prima volta di Enzuccio

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Un lungo, tozzo muretto delimitava la spiaggia dalla stretta via del porto. Qui venivano depositate, come in un cimitero, vecchie e sgangherate coralline e barche da pesca. Il loro fasciame fradicio e seccato dal sole faceva intravedere dai larghi squarci neri madieri di quercia, che richiamavano alla mente costole di carogne in decomposizione. Prive di bompresso, di antenne, con alberature spezzate, coricate sui fianchi come a cercare la posizione migliore per riposare in pace, con il loro aspetto dimesso, quelle vecchie imbarcazioni suscitavano sempre delle forti, malinconiche emozioni!
Ma, quando ci si avvicinava o ci si avventurava per giocare, dalle carcasse si levava una puzza di nafta, frammista a quella di innumerevoli deiezioni umane e di animali che si univa a quella del legno, ormai fradicio, formando un cocktail insopportabile. Per questo le escursioni erano sempre brevi, laddove avrebbero potuto fare la felicità di un giovane fantasioso. Enzuccio era uno di questi e quante volte si era provato a rimanere a bordo di una di quelle ex imbarcazioni, immaginando onde fragorose, vele gonfie di vento, navigazioni avventurose alla ricerca di banchi di rosso corallo, si era dovuto sbarcare dopo appena dieci minuti! Però quell'angolo di marina lo aveva spesso disegnato tentando di emulare il pittore De corsi, che abitava poco distante, lì nei pressi del Castello Baronale, e che di quegli scorci era il geniale interprete con la sua tavolozza intonata sul grigio. Peppenell' 'a cortulella "lavorava" proprio al porto, o meglio "dietro" ed era stata scelta da 'a licella per l'iniziazione di Enzuccio.
Quella domenica 19 settembre 1954 Enzuccio non l'ha mai dimenticata. Si festeggiava quel giorno uno dei Patroni della città, S. Gennaro. Ma non per questo egli la terrà poi bene in mente. Quel pomeriggio sarebbe venuto 'a licella ed insieme si sarebbero recati giù al porto per il "sacrificio". Quasi non aveva toccato cibo per la tensione. Sbocconcellò solo una "zeppola" prendendola furtivo dal cestino sopra la mensola della cucina e che la mamma aveva fritto e guarnito con marmellata di cresommole che a lui tanto piaceva per il pizzicore che procurava sotto al palato.
A sera si festeggiava l'onomastico del padre. Sarebbero venuti i suoi amici… Franchino 'a licella comparve puntuale come un innamorato sotto al suo balcone, gli fece segno e lui sgattaiolò infilando veloce le poche rampe di scale che lo separavano dalla strada. Tra il rumore delle stoviglie la madre gli gridò dietro qualcosa, ma lui non l'aveva sentita. Con i loro vestiti leggeri a tinte chiare si incamminarono in quel tardo pomeriggio domenicale attraversando la città quasi appisolata. Pochi passanti, quasi nessuna automobile. Piazza Santa Croce, inondata di luce, era completamente deserta. Al suo centro il nero cerchio dei sedili di ghisa, ed i quattro chioschi verdi ai suoi angoli proiettavano lunghe ombre sul selciato dandole un'atmosfera inquietante, come quella che si può osservare in certi quadri di De Chirico.
Attraversarono rapidamente via Diego Colamarino e, superata la chiesa di S. Maria delle Grazie, scivolarono lungo la discesa di S. Anna, rasentando l' assolata sagoma dell'antico Convento degli Zoccolanti incastonato nella sua "terra frutteto" che si allungava fin quasi al porto lì ai confini dalla frondosa Castelluccia. Il suono cadenzato del clacson di un'auto civile li sorprese accanto alla chiesa di S. Maria del Principio. L'ex Casa del Fascio, ora Ospedale A. Maresca, stava per accogliere nel suo pronto soccorso qualche infortunato. Si fermarono voltandosi incuriositi a guardare la "giardinetta" proveniente velocissima dalla discesa or ora percorsa. Niente feriti sanguinanti o persone portate in braccio. Videro una bella giovane che, aiutata da una anziana donna e dall'autista, dopo essere scesa dall'auto, calma, con il suo pancione si avviava con passi lenti ma decisi verso l'entrata del pronto soccorso. I due amici si guardarono e sorridendo con le destre e le sinistre unite allungarono in avanti le braccia formando delle allusive circonferenze e facendo seguire al gesto le destre oscillanti. Senza parlare si erano detti allegri: all'anema da panza!
Ripresero il cammino ma dopo quella visione i due fecero un tratto di strada senza più parlare come assorti in riflessioni di una qualche importanza. Ruppe il silenzio Franchino 'a licella che chiese: Oh, i sord' 'i ttiene cu' ttico? Un annuire con la testa, quasi una riverenza, fu la risposta di Enzuccio mentre percorrevano l'ultimo tratto di via C. Battisti tenendo di fronte i cancelli chiusi dei Mulini Meridionali Marzoli. Si fermarono ad ammirare per qualche momento il panorama dalla sommità della scala che unisce via Calastro alla sottostante via del porto. Il maestrale, data l'ora aveva esaurito la sua forza. Soffiava, lievemente e a tratti, facendo sventolare mollemente il tricolore esposto sul balcone della vicina Capitaneria. L'azzurra penisola sorrentina e Capri ed Ischia ed infine Napoli le potevi afferrare con le mani, sotto un cielo azzurro chiaro ove altissime si andavano formando innumerevoli bianche "pecorelle". Nel porto, allineate come in parata, le "menaidi" con le loro tipiche ruote di prua ed i lunghi remi riposti diligentemente nella maniera solita e coperte dalle spesse e grigie tende "olona" dondolavano con impercettibili ma instancabili movimenti. Piccole imbarcazioni a remi, come canotti o veloci lanzetelle, si vedevano entrare ed uscire dal bacino portuale comparendo e scomparendo dietro la lanterna della lunga diga foranea o gli scogli della Scarpetta sovrastata dalla bianca, piccola chiesa di S. Maria di Portosalvo.
Discesero le due "appese" rampe di scala e si ritrovarono come sul fondo di una "bolgia infernale". Levando gli occhi in alto a destra lo spettatore infatti poteva vedere ergersi a ragguardevole altezza, compatto, dal colore grigio scuro, quasi metallico, l'antico fronte basaltico risalente alla terribile eruzione vesuviana del 1631. Con il suo bordo frastagliato, le sue linee spezzate dava un senso di oppressione e di apprensione come se da un momento all'altro quella massa potesse riprendere la marcia ogni cosa travolgendo! Enzuccio si ricordò per una sorta di associazione di idee dell'illustrazioni dell'Inferno incise da Gustavo Dorè. Aveva recentemente avuto occasione di vederle e di restarne impressionato al circolo artistico D. Morelli in piazza S. Croce dove aveva accompagnato il masto. Stava ricordando con chiarezza il corpo di Taide, "…la puttana che rispose al drudo suo…"quando Franchino lo distolse con un: Ma che cazzo stai pensanno? Jammo, sagli' appriesso a mme, chella sta 'a cca ddereto! Chi? Taide? fece Enzuccio e l'altro senza capire gli lanciò un'occhiataccia interrogativa. I sacchi di grano all'arrivo e di farina al ritorno dai Molini Meridionali Marzoli venivano scaricati e caricati sulle navi tramite la "lupa": un sistema di nastri trasportatori che era coperto per tutta quanta la sua lunghezza da tettoia e pareti metalliche e per questo somigliava ad un lungo vagone ferroviario posto sopra la diga foranea.
Questa struttura dalla diga allungandosi poi sulla banchina nel punto ove questa, prima largo spiazzo, iniziava a restringersi per formare la lunga curva, declinante a sud sud est, con la sue discese a mare, Le sue bitte, i suoi anelli ferrosi, formava una specie di "ponte dei sospiri" dalla cui estremità rivolta al mare sporgeva una sorta di barcarizzo che veniva calato nelle stive per le varie operazioni.
Una scala in ferro portava dallo spiazzo della banchina

sulla sommità della diga ove poggiava il "vagone" quasi all'ombra dell'altissima e snella ciminiera nei tipici mattoni rossi che caratterizzano, assieme al basalto finemente lavorato, l'intero complesso. Per una cinquantina di metri la sede della diga era occupata quasi del tutto dal vagone. Una sola stretta striscia larga poco più che mezzo metro lasciava libero il passaggio di una persona alla volta. Chi vi si avventurava aveva alla sua sinistra le ondulate lamiere del lungo marchingegno e sulla destra non passamani o comode balaustre, ma il vuoto e la sottostante scogliera a rispettabile profondità.
La vista era però spettacolare con in primo piano i bagni della Scala, l'immancabile ferrovia, il suo verde retroterra, e verso il mare aperto si poteva vedere Resina, Portici, tutta Napoli e la collina di Posillipo. Ma a Franchino 'a licella e a Enzuccio 'u purpetiello in quel momento interessava ben altra bellezza, e non erano i soli! Raggiunsero la sommità della scala mentre Franchino stava proprio decantando all'amico le attrattive di Peppenella 'a corta. "Tene ciert' 'i ziz…" la frase gli si smorzò in gola quando vide una lunghissima fila di gente che se ne stava addossata alle lamiere ondulate del "vagone". Tutti clienti? Possibile? Ebbe per un attimo il timore che Peppenella se la fosse presa di festa, data la festa e che quelli stavano lì per altra ragione. I loro volti dovettero trasformarsi in due grossi punti interrogativi se un uomo di una certa età pensò di rassicurarli con un mesto "Nu poco 'e pacienza! Aspettammo 'o turno!". Altro che festa! Peppenella stava lavorando a pieno ritmo. Erano quasi una trentina gli utenti! Di tutte le età e condizioni.
Franchino fece passare avanti Enzuccio e si pose poco discosto per andarsene avendolo solo accompagnato. Lo avrebbe aspettato giù sulla banchina dove, postosi a fianco a qualcuno dei tanti pescatori, ne avrebbe seguito i lanci e la fortuna! Gli occhi di Enzuccio guardavano il mare sottostante ma non lo vedevano, tutta la sua attenzione era rivolta alla fila che lentamente si accorciava: uno scatto ogni cinque minuti circa… Intanto dietro a lui altri sopraggiungevano. Li si udiva schiamazzare nel mentre salivano la scala in ferro e poi li si vedeva accodarsi taciti ed assorti in un unico pensiero: fottere! Una strana emozione di petto aveva iniziato a prendere Enzuccio e cresceva a mano a mano che si avvicinava al luogo in cui Peppenella stava operando.
Ecco, ora la poteva finalmente scorgere se pure ostacolato da chi gli stava avanti. Si pose ad osservarla con attenzione come se gli altri non esistessero. Ciascuno infatti ignorava l'altro come per una sorta di difesa psicologica. Niente morale, niente riflessione. niente di niente. Solo il desiderio di espellere da sé una parte di sé nel modo che la natura matrigna e maliziosa costringe a fare avendo Ella unito all'azione quel particolare piacere che le creature provano ogni qual volta uniscono gli opposti sessi.
Per essere corta era corta ma era ben fatta, Peppenella. Così sembrava ad Enzuccio. Aveva i capelli nerissimi e furono la prima cosa che di lei aveva intravisto quando era ancora lontano nella fila. Erano aggiustati a permanente, tutti arricciati torno torno, dalla fronte alla nuca. Orecchini di corallo, non penduli, assieme ad un'esile collana pure di corallo ornavano il volto ed il collo di Peppenella. Un volto bruno dall'ovale caratterizzato da mascelle squadrate ma non eccessivamente; sulla bocca piccola spiccava un rossetto carico, carico. Una bianca maglietta fatta a rete, a giro maniche, una larga gonna "a campana" di stoffa leggera stampata con figurine di ochette e stelline variopinte le arrivava poco sopra ai ginocchi, un paio di zatteroni con suola di sughero molto alta e tomaia di bianche lucide strisce di stoffa incerata completavano il suo abbigliamento. In quanto a zizze aveva ragione Franchino, le aveva veramente belle! Enzuccio le aveva viste bene quando quintultimo della fila le si era fatto più dappresso ad una distanza di sei, sette metri.
Era la sua una posizione simile a quella di chi viaggiando in treno, in piedi nel lungo corridoio affollato, se ne sta appoggiato agli scompartimenti e può guardare fuori scorrere il paesaggio o sbirciare all'interno allungando lo sguardo fino in fondo, movimento di chi gli sta avanti permettendo. Vedeva perciò ad intermittenza le scene degli amplessi che Peppenella offriva per cento lire. Dopo aver preso veloce dalle mani del cliente la somma e biascicato qualche parola alzava la bianca maglietta mostrando i suoi bei seni, abbondanti ma sodi, lievemente più chiari del resto del corpo abbronzato dal sole, levigato dal sale. Essi si alzavano ancora stretti nella maglietta rimanendo per qualche istante come incagliati all'orlo della stessa per poi, fuoriuscendone, ricadere insieme con un improvviso movimento. I capezzoli oscillavano una due volte e si fermavano all'unisono, duri, come ad indicare il cielo. Le braccia alzate in questo movimento lasciavano scoperti i ciuffi nerissimi delle ascelle. Alzava poi la gonna inserendo il bordo anteriore nella cintura che aveva alla vita e nuda rimaneva in attesa a gambe lievemente divaricate. Anche la pancia era piacevole a vedersi, con il pube prominente e stranamente imberbe come quello di una bambina. Le due corte gambe, come le braccia avevano un non so che di piacevole, di grazioso come quelle bambole di cartone gessato che venivano poste in genere sopra i letti del popolo basso a gambe aperte e che i maschietti immancabilmente andavano a visitare "sotto".
Tra quelli che si approssimavano a mano a mano a Peppenella nel mentre questa "faceva" c'era chi volgeva lo sguardo altrove e chi invece aguzzava incantato lo sguardo e aumentava così la propria eccitazione. Enzuccio guardava e non guardava. Per un tratto aveva anzi fissato la sua attenzione sulle onde del mare sottostante dove proprio in quel punto della diga era privo di scogli, spazzati via da qualche violenta libecciata. Un occhio al mare ed uno alla "corta" che si copriva e scopriva con identici, stereotipati movimenti. Ma quella faceva anche qualcosa d'altro. Adesso l'aveva notata meglio. Mentre il cliente, scostatosi da lei, si rimetteva in ordine gli abiti e magari si accendeva un sigaretta per poi veloce allontanarsi lungo il grigio arco della diga, per scendere sulla banchina interna dalle scale, situate molto più avanti, lei prendeva qualcosa appesa ad un grosso bullone sporgente dalle lamiere ondulate e con mossa fulminea se la portava tra le gambe, quindi con altrettanta sveltezza la riponeva al suo posto.
Una unica pezza! Uno straccio solo! Una umida mappina usava per nettarsi, per detergere la sua natura. Enzuccio rimase interdetto, stava per venire il suo turno, davanti a lui solo quell'uomo di una certa età che gli aveva rivolto prima la parola, quello della pazienza. Fino a quel momento il suo uccello se l'era sentito svolazzare nella gabbia desideroso di uscirne e volare, volare! Quella maledetta pezza, grondante di sperma collettivo, appesa ad un bullone, sotto i raggi di un sole ormai al tramonto, aveva smorzato come per incanto la sua libido. Rimase come incantato a guardare l'uomo, che molto alto rispetto a Peppenella, l'aveva aiutata a salire su un "basolo", che lì si trovava apposta, ed aveva iniziato a penetrarla in una maniera quasi animalesca, canina, con colpi ripetuti, sempre gli stessi, senza posa. Ma "a corta" schiacciata quasi contro le lamiere se ne stava stoicamente a pararli cercando solo di tenere lontano grosse e brutte mani dalle sue belle zizze!            (Continua)