Ciccio Raimondo
 

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Stesso autore  "poesie d' 'OsaCicc"

Costumi audacissimi, degli slip, che si stringevano alla vita al di sotto sempre dell'ombelico con due lacci passanti da quattro asole di metallo per lato che dopo i primi bagni si arrugginivano e davano tanto fastidio alla pelle. Sotto i caldi raggi del sole, felici per il solo fatto di esistere, lui e la sua rumorosissima comitiva, a parte i tuffi, a parte la pesca delle angine, a parte la raccolta delle cozze lungo le scogliere o delle "arzichelle" sopra le "chiane", in quel periodo fecero quasi una simultanea collettiva esperienza sessuale.
La presenza di coppiette che nelle acque e dietro gli scogli o lungo la massicciata della vicina ferrovia, tra gli antichi ruderi delle Terme romane o nelle recenti moderne casematte costruite tempo prima a difesa del territorio da un attacco nemico dal mare, si davano da fare aveva suscitato la loro ancora infantile curiosità timorosa per certe visioni così esplicitamente carnali, se pur fugaci e misteriose.
Così dai succinti costumi incominciarono quell'estate a far letteralmente "capolino" i loro giovani uccelli con le ali aperte, pronti a spiccare il volo dell'avventura sessuale. Sul finire, dunque, di quell'estate la comitiva aveva transumato tra la nera striscia di spiaggia che andava dal ponte di Rivieccio fin sotto la severa e squadrata mole della torre di Bassano con alle spalle la strada ferrata che si faceva "sentire" con i passaggi cadenzati dei suoi treni ed anche con l'odore particolare del ferro dei binari, e del ferodo dei freni che di tanto in tanto colonne di vento in discesa faceva tracimare dall'infuocato alveo ferroso attraverso i sempre mossi canneti.
In questo paesaggio un poco più isolato rispetto ai bagni del Cavaliere, che lì, sotto l'alto muro di cinta del cimitero nuovo, brulicava di gente di ogni età i cui accenti familiari di tanto in tanto arrivavano alle orecchie trasportati dal maestrale, alla spicciolata o proprio tutti insieme in un certo momento della giornata ci si "rintanava" tra gli ombrosi basalti della scarpata, odorosi di selvatica vegetazione o tra i "cassoni", infossati nella scura rena frammista alla sottile, biancastra cenere vesuviana del 79 d.C., per celebrare un rito antichissimo e nuovo, eccitante e piacevole assai: la masturbazione. Uno alla volta, per vie diverse, spinti dalla natura ormai così prepotentemente sollecitata e dalle facili occasioni che la strada e l'ambiente offriva a quel tempo, ciascun componente la banda di cui faceva parte Enzuccio 'u purpetiello, con in testa Umberto 'u capuocchio e Franchino 'a licella aveva fatto anche la sua prima esperienza sessuale vera, con una femmina cioè, al di là delle esercitazioni collettive giù a mare.
Questo era diventato in breve un argomento non secondario di conversazione quando, dopo il lavoro, nel tardo pomeriggio, si ritrovavano a giocare a sott' 'o muro, a 'n tacca vreccia, o se ne stavano seduti lungo i marciapiedi a ridere e a scherzare, dimentichi a volte della vita che intorno pure si svolgeva. A quell'età l'amicizia e la vita di clan sono caratteristiche universali. Istintivamente, naturalmente, emergono nel gruppo le figure trainanti, i capi tacitamente riconosciuti. La loro preminenza può essere originata da qualità fisiche o da doti di intelligenza e di forte personalità. 'U capuocchio e 'a licella assommavano queste qualità ed insieme condizionavano con le loro scelte la vita del gruppo. Erano stati i primi ad andare a puttana e si sentivano perciò già "uomini fatti".
Qualche "masto" più "masto" si era preso il compito di introdurli ai piaceri di Venere. Quella Venere che tanto spesso vedevano scolpita nella corniola o nella sardonica conchiglia. Veramente non si trattava proprio di quella ma di una miliardesima copia che in vari gradi ed in ogni tempo ed in ogni dove ha sempre espresso ed esprime comunque la Forza Vitale della Natura in lotta con la Morte. Unica sua arma, sempre vincente: l'Amore nel suo duplice, stupefacente aspetto fisico-spirituale. Per la maggior parte avevano seguito l'esempio dei capi e per questo si sentivano più importanti, più "esperti". Ciascuno raccontava a modo suo la propria "prima volta" facendo in genere delle descrizioni della donna con immagini iperboliche che ad un ascoltatore più preparato avrebbe ricordato più che la Venere di Botticelli sculture preistoriche in genere acefale e ridondanti di curve con prospere natiche, con vasti ventri, con seni generosi.
Solo Enzuccio 'u purpetiello non aveva ancora fatto l'esperienza diretta con l'amore. Era rimasto al "cinque contro uno" come, ridendo, anzi sghignazzando, gli ricordavano quasi tutti i suoi amici. La cosa, cioè il fatto che veniva preso in giro, non lo aveva preoccupato più di tanto all'inizio, ma poi con il passare dei giorni aveva notato che i suoi "punti" all'interno del clan stavano paurosamente subendo un calo vistoso nonostante la sua riconosciuta bravura come disegnatore, apprendista incisore.
Ogni riunione stava diventando una vera tortura. Frizzi, lazzi, ammiccamenti, mezze frasi di cui i giovincelli avevano subito appreso ad usare stando con i grandi, non venivano risparmiate al suo indirizzo. 'U capuocchio e 'a licella gestivano sapientemente la "manfrina", fingendo di redarguire i provocatori, ma sotto, sotto, li ispiravano e li incoraggiavano. Fu così che poco alla volta proprio i due capi, una botta al cerchio ed una alla botte, riuscirono a convincere il recalcitrante e timoroso Enzuccio ad affrontare la prova.
Ed invero lui stesso era affascinato e ansioso di "fare" questa esperienza ora che tutti i suoi compagni l'avevano fatta. Si sentiva come inferiore e quasi ne stava prendendo una fissazione. Per questo alla fine la decisione fu presa. Capuocchio e licella lo avrebbero accompagnato. Si tenesse pronto. A settembre inoltrato le giornate erano splendide. Non più la luce del sole di piena estate, non più alte temperature. L'aria meno calda rendeva il paesaggio più godibile nei dettagli e nei colori. La città ancora intatta, a parte le ferite belliche di una decina di anni prima, si offriva ai nativi e ai villeggianti nel suo incanto.
Verde. Verde. Verde dappertutto. Verde dalle mille gradazioni che da sotto il cono della montagna in moltissimi punti arrivava fino al mare! La comitiva continuava di sera a riunirsi. Sciamava spesso per la ripida discesa di via A. Luise o saltellando ancora giù per le gradinate della “ciucciara” si recava vociante alle Cento Fontane per bere un poco di quell'acqua così saporita e fresca e di cui si sentiva lo scrosciare molto prima di vederla. Il monumento con i suoi zampilli lo si poteva vedere, infatti, solo quando si era giunti sul ciglio del nero scalone perennemente bagnato. Si sbucava poi, passando sotto i ricostruiti ponti della ferrovia sulla spiaggetta alle spalle della quale ancora si affacciavano i ruderi della Polesella e della Tianara.

continua

La prima volta
di Enzuccio
di Francesco Raimondo

(racconto)

Per gentile concessione dell'autore

Enzuccio abitava "'ncopp' 'a guardia" nel centro storico di Torre del Greco dove era nato sul finire degli anni trenta, poco prima dell'inizio della guerra di cui aveva vissuto assieme alla famiglia, modestissima, e a tutta quanta la città le paure e gli orrori. Nelle sue orecchie di bambino il sibilo delle bombe con le loro terribili esplosioni, negli occhi immagini di palazzi sventrati, di macerie, di morti ammazzati per le strade sia essi uomini o povere bestie ancora attaccate alle carrette, come era avvenuto in quella pasqua insanguinata del 1943! Alla guerra poi era seguita la pace. Ma Enzuccio era stato segnato dalla terribile esperienza. Fu quella una generazione a cui i grandi, senza esserne in alcun modo coscienti, come sempre avviene, avevano sottratto l'adolescenza che con i suoi sogni, con le sue fantasie rende più accettabile, più soffice poi l'impatto giovanile con la realtà della vita.
A tredici, a quattordici anni, nei vicoli e nelle piazzette o nei larghi chiassosi di Torre anche Enzuccio e la sua comitiva di coetanei, che formava quasi sempre una banda di quartiere, giocavano. Ma nei loro giochi si poteva notare un non so che di serioso. Poco più che bambini assumevano atteggiamenti da grandi, imitavano infatti più che gli eroi dei film americani proiettati al cinema Savoia, al Vittoria, "pidocchietto", all'Iris, al Garibaldi, i loro padri e zii e nonni alle prese questi ultimi con i problemi della vita. E la vita in quegli anni era difficile; molto difficile per tutti: per i poveri come per i ricchi. Ciascuno infatti aveva i suoi problemi da risolvere in un dopoguerra che sembrava non aver mai fine e che per Napoli e provincia durerà fino alla prima metà degli anni sessanta!
Ma questo discorso ci porterebbe molto lontano perciò torniamo a bomba ad Enzuccio ed ai suoi coetanei che per la maggior parte dopo la scuola elementare dai maestri passavano ai "masti". Qualcuno, come il nostro Enzuccio, si era trovato seduto accanto ad un banco assieme ad adulti artigiani assai poco propensi a ritenerlo ancora un bambino. Qui aveva fatto conoscenza con "fusetti", con "pece greca", con gli acuminati bulini e le pietre per affilarli, con i "pezzi" di conchiglia tagliati in varia misura e qualità e destinati a diventare cammei e monili e amuleti e "chionze" che in quel periodo a Napoli facevano ancora la felicità dei soldati e dei turisti americani.
Qui ancora veniva iniziato dagli adulti ai misteri del sesso e dell'amore. Cammei riproducenti delicati, classici profili di donne belle, dai capelli ondulati, ornati di fiori, dagli sguardi sognanti, dai colli lunghi, levigati e lucidi, dai seni turgidi come la materia in cui erano incisi, si alternavano ai corni, agli "scartellati", agli "alati cazzi" ricavati dalle parti meno nobili della conchiglia e che in varie misure e fogge e fattura venivano prodotti per un mercato più osé.
Seduti a quei banchi beveva la vita con i suoi tabù, i suoi pregiudizi, e imparava da quei "masti" il bene come il male. Ed un altro ancora, vivendo le stesse esperienze di vita, imparava invece ad avere dimestichezza con crogiuoli, con trafile, con pinze, con incudini e martelletti, con acidi e mordenti e con tavolette di amianto di cui non ancora si sapeva quanto fosse pericoloso e che veniva maneggiato, "respirato" con incolpevole ignoranza. Le giovani mani toccavano e l'oro e l'argento e il corallo e le pietre preziose che su quei banchi venivano assemblati in artistici gioielli. Nella bottega del falegname, come immerso nel frastuono della via o del vicolo o del cortile con le loro continue sollecitazioni, c'era chi imparava, aiutando il masto, a riparare e a costruire mobili anche se la sua prima occupazione era per il momento quella di ravvivare il fuoco della fornacella sotto il "cato cu' 'a colla" di pesce o di coniglio" con i "ricci" raccolti da sotto al bancone. Sapeva già distinguere il legno di noce da quello di abete o di castagno ad occhi chiusi, solamente annusandoli, malgrado il fumo.
E si andava innamorando così, fisicamente, del suo futuro mestiere! Gli amici di Enzuccio, quelli del quartiere, quelli che formavano la sua banda, erano come lui apprendisti artigiani, a quella, se vogliamo, ancor tenera età. Umberto 'u capuocchio, Franchino 'a licella, 'Ntonio 'ntoff' 'i cannuol', Giggino 'u fil' 'i fierro, Pitruccio cap' 'e cavallo, Cicciotto 'u pasticciotto, Nicola 'u piscetiello, Aniello 'u scazzato, questi in genere i loro nomi con l'immancabile "strangianome". Anche Enzuccio aveva il suo: purpetiello. Si era all'inizio dell'autunno di uno dei primi anni cinquanta: il cinquantaquattro.
L'estate era stata molto calda. Enzuccio 'u purpetiello intruppato nella sua banda aveva trascorso le domeniche scorrazzando tra il lido Cavaliere e quello della Scala con puntatine anche nelle acque limpide del porto e della Scarpetta. Durante la settimana ciascuno al proprio posto, a lavorare. Il sabato metà giornata e la domenica tutti al mare! Una maglietta, un calzoncino corto l'immancabile paio di zoccoli, una sacca di tela per la colazione, l'asciugamani ed il costume da bagno.
Erano di moda quelli costituiti da due pezze di stoffa abbastanza grezza di colore vario, ma in genere di un blu carico.