Saverio
Perrella,
il poeta dei precordi
un cardiologo che s’intende
di cose di cuore,
di passioni e sentimenti,
un pittore dell’anima
dal tocco leggero
come nuvola evanescente.
Ad una certa ora,
quando l’ultimo negozio aveva chiuso, le strade di Torre
improvvisamente diventavano deserte e silenziose; era l’ora
della cena e di “Lascia o Raddoppia”. Allora ci staccavamo
dai ferri del Caffè Palumbo, lentamente diretti al Metropolitan.
Era presto per l’ultimo spettacolo e tornavamo per San
Michele, prolungandoci fino a Santa Teresa. Saverio evocava
episodi e personaggi di tempi passati, torresi o napoletani, un
passato non nostro perché troppo giovani.
Le lunghe lente passeggiate, in mezzo alla strada, deserta di
persone e automobili, le soste richieste da Saverio nei momenti
topici del racconto, ci tenevano occupati fino a tarda ora,
tanto il film di questa sera non ci interessa.
Quella capacità evocativa del passato, oggi del suo
passato, Saverio l’ha conservata e la infonde a piene mani
nelle sue liriche. Il sorriso compiaciuto di allora, per un
passato altrui, di una cultura partenopea, è sostituito oggi da
una tenera nostalgia di momenti vissuti, di paesaggi familiari,
ora veramente personali.
I bagni alla Scarpetta, al Cavaliere, emozioni di un passato
irripetibile, luoghi della memoria, ricordo di allegre compagnie
e di amici, più che località dell’urbanistica torrese. Così
via Curtoli, evocazione di un umore torrese, non solo di mare ma
anche contadino, di strade che terminavano contro spugnosi
speroni di lava, in vista delle montagnelle rosse.
Con tocco leggero Saverio ricostruisce ambiente, usanze e
tradizioni di un passato che noi della sua età, abbiamo fatto
appena in tempo a vivere, la memoria della nostra torresità. Le
granite di limone al Caffè Palumbo, la Pasquetta sulla rena
della Scala, l’odore di caffè da Carbone, tutti ricordi di un’atmosfera
che ha avvolto e ammantato la nostra gioventù.
Vivevamo in quella realtà, ora memoria di altro tempo. Allora l’evocazione
del passato, certamente non nostro, a qualcuno di noi cresciuto
con Pavese, Pasolini e i foglioni de “L’Espresso”,
sembrava solo romanticume passatista, buono per una serata
scanzonata tra aneddoti di cantine, avventure di opere di pupi e
sporcellamenti alla Ferdinando Russo.
Allora era così. Oggi ci troviamo ad avere un atteggiamento
diverso nei confronti di queste rievocazioni, principalmente
perché questo passato è anche nostro e perché la memoria del
passato è, essa stessa, il nostro essere. Siamo quello e solo
quello, che ricordiamo del nostro passato.
Nelle liriche di Saverio alla compiaciuta ironia di allora, è
subentrata una vena nostalgica per l’essere stato protagonista
di quel tempo, e ciò comporta un profondo coinvolgimento
emotivo.
Il ricordo
affettuoso dei familiari,
/ Papà indossava
i primi matiné, /
la serenità
discreta di un paese non ancora sopraffatto dal rumore,
/ la mandria
scampanante e diradata, /
/ il “miglio d’oro” è come addormentato /
e dall’invasione
motoristica,
/ passa un “55”
/
e dal puzzo
corrosivo dello smog,
/ Che buon odore
che manda Carbone!
odore di caffè e pasticceria. /
I suoi versi,
delicatamente e con incisiva penetrazione psicologica, ci
ridanno il senso del nostro passato, ci fanno rivivere quelle
atmosfere, di un tempo che, per tanti aspetti non era migliore,
ma che ci piace considerarlo tale. Avevamo vent’anni allora.
Salvatore Argenziano |
Correvo
a fare i bagni
a “la Scarpetta”
Correvo a fare i bagni a “la Scarpetta”,
al “Carusiello”, sotto a “o Cavaliere”,
papà con l’immancabile paglietta,
andava a “far la barba” dal barbiere.
Da “i Cappucini”, qualche
villeggiante,
scendeva giù a “la Scala” in carrozzella;
in villa comunale, tra le piante,
si udiva il pianto d’una fontanella.
Via Curtoli, sapeva di giardino,
a sera era deserta ed assonnata....,
vi ci passava qualche biroccino,
la mandria scampanante e diradata....
a me piaceva andarvi a passeggiare!
si udiva sempre un piano strimpellare!
Pasquetta
Il mare ne “la scala” pigramente,
sbadiglia stiracchiandosi al tepore;
nel cielo di un turchino evanescente,
passa un idrovolante tricolore.
Sta un po’ di parapiglia da “Chiarina”
(“il cieco” sta cantando Marechiaro)
c’è chi succhiata l’ostrica e “l’ancina”
s’è fatto uscire il “termine un po’ sparo!”
Sull’arenile vendono lupini,
“lo spasso”, il cocco...Vola un aquilone
tra le grida festanti dei bambini.
Col po’ di brezza, dalle bancarelle,
giunge un odor di cozze, di limoni,
odor di panzarotti e di frittelle!
Arrivarono
in Limousine...
C’è un grande movimento da “Chiarina”
per via di certe “carte di tressette”;
(sono arrivati in una limusina
coi doppio petto a righe e le pagliette).
E’ l’una; la “paranza”
antipasteggia,
succhiando “ancine” e cozze del Fusaro.
Diomede Blanco, “a capo d’’a pusteggia”,
attacca in Si bemolle “Marechiaro”.
Corrono senza posa i camerieri,
tra un gran “ciù-ciù”, che aleggia nel salone;
fra un tramestio di piatti e di bicchieri,
il cuoco impreca ai morti di un garzone.
Al “capintesta” messosi in bretelle,
si porta ad assaggiare del Gragnano:
arrivano prosciutto, mozzarelle,
olive, burro, “ ‘o ppoco ‘e parmigiano....”
La signorina De....,con l’occhialetto,
ancora intenta nella sua lettura,
al cameriere ha chiesto: “uno spaghetto”,
e una mezza porzione di frittura.
Domenica
d’estate
Fuori al “Caffè Palumbo”, don
Peppino,
serve sette granite di limone,
le aspetta con pazienza al tavolino,
dopo la messa, la famiglia Ascione.
Passa una suora con un’orfanella,
un cieco con un cane in compagnia,
Ciccillo ‘e Massa, con la carrozzella,
va a prendere Fanelli, in farmacia.
C’è un buon odore, sta friggendo l’aglio,
si è messo ad arrostire il peperone,
suona “la mezza”, si propaga un raglio,
passa un “55”, un calessino,
il gelataio, un vigile, Gigione,
passa una vela, il mare è cilestrino.... |