ZINGARA
di Clelia Sorrentino
Editrice La Torre – 1991
Per gentile concessione dell’autrice
CLELIA SORRENTINO - tra le poche italiane insignite
della Commenda della Repubblica, flegrea, pervasa dallo spirito di una
terra che sa essere solo prodiga di creatività e poesia, vanta le sue
origini puteolane, mentre continua a dividersi tra i tetti romani di Via
dei Coronari e le pendici vesuviane di Torre del Greco.
Unico termine di confronto: un vulcano di energie creative mai disgiunto
dall’impegno sociale dalla militanza culturale. Sposata, due figli,
giornalista con la concreta vocazione della scrittrice e della musicista
(le sue due grandi passioni: la letteratura e il pianoforte), trova il
tempo di collaborare a vari giornali e riviste, mentre dirige il
periodico ’La Torre’ (il più antico della Campania con i suoi 85
anni di appartenenza alla medesima famiglia), di cui è anche l’editrice.
Segni particolari: il coraggio dell’antiformula; la verità senza
mezzi termini; ha dichiarato guerra ad oltranza contro l’ipocrisia o
il déja-vu.
ZINGARA - l’aliena, la diversa, quella che non rientra in nessuno
degli schemi prestabiliti, neanche in quelli ’altri’ assegnati dal
luogo comune, dall’ignoranza, dall’indifferenza verso chi
ostinatamente per autodifesa protegge la propria specificità. Un bel
colpo al gallismo, all’autoritarismo familiare, al luogo comune eretto
a sistema di vita. Un raggio di luce sull’individualità che difende
la propria autonomia. Un carattere in opposizione alla banalità e alla
prepotenza. Uno spazio di rispetto per l’enigma della vita. Questa è Miriam.
LA TORRE è una editrice con un prestigio che le
deriva dalla sua storia. I primi libri - vergati sulla pergamena con la
penna d’oro, essiccati con la sabbia, stampati con i caratteri mobili
e tirati sotto il torchio - tracciati col pennino d’acciaio, asciugati
con la carta assorbente, composti in linotype e stampati su macchina
piana - hanno costituito la preistoria e la storia che conferiscono la
nobiltà della tradizione a questa nostra ripresa editoriale di oggi.
Scritti con la biro, composti in fotolito e tirati in rotativa - oggi
gli scritti de la TORRE si rifanno alla storia ambientale, alle vicende
storiche, geografiche e geopolitiche di questa terra del Sud - come le
successive riedizioni degli Itinerari Torresi. Ci proponiamo di riandare
alle figure caratteristiche, alle tipologie, alle glorie e alle bassezze
del nostro tempo, nella sua altalena di bene e di male, volontario e
involontario, nelle storie delle vicende personali umane, raccontate con
la partecipazione, la gioia e il dolore, che conferiscono sapore e
significazione ai personaggi e ai loro movimenti. L’invenzione e la
creazione riprendono spazi e dimensioni interni ed esterni, interiori e
onirici. Vogliamo portare alla cultura europea il contributo di
caratteri, ambienti, vicende, che rispecchiando il nostro Sud
mediterraneo offrano elementi conoscitivi di rapporti culturali e di
vicissitudini nostre ed altrui. Vogliamo entrare nello scambio delle
culture e della storia che contribuiscano ad armonizzare, arricchire e
far fiorire le conoscenze reciproche, col rispetto per le specificità e
con il progetto di raggiungere 1’equilibrio fra le conoscenze e la
creatività nostrane e quelle delle altre culture, dei linguaggi, dei
costumi, delle storie, dei problemi e delle loro soluzioni che via via
si prospettano, in questa Europa finalmente resa capace di guardarsi in
prospettiva e di esaminarsi in tutte le sue componenti storiche,
etniche, culturali e creative. Vogliamo in una parola entrare nel
futuro, auspicarlo fertile e produttivo di incontri, di scambi e di
conoscenze.
All’attivo: centinaia di articoli, racconti,
favole, romanzi e tutto con la semplicità che deriva da una cultura
assimilata, quella che, senza rinunciare alla grande lezione, si propone
presente ed attuale per essere all’altezza dei tempi. La trilogia dei
romanzi: Disamaro, L’Uomo Braccio, Una panchina per Dafne, e la
testimonianza di una napoletanità interpretata alla giusta distanza,
con serenità di giudizio, con quell’imparzialità che consente di
comprendere la fortuna-sfortuna di nascere a Napoli, nella ragnatela
delle contraddizioni, delle mezze bugie, delle fughe liberatrici.
Si scrive soltanto una meta del libro, dell’altra
meta si deve occupare il lettore.
JOSEPH CONRAD
Cap. I
E' SCOMPARSA
DONNA MIRIAM
OSVALDO: Ora che ne sarà di me? Ho perduto il mio
timone, il mio faro. (Parla al telefono, anzi grida perché sua madre
Generosa è corta d’orecchie, tatt’intorno tek, pennelli) Se ne è
andata! Eppure non le mancava niente... Che dici? Ma si, ha trascinato
con sé tutte le cianfrusaglie, come le chiami tu; 1’armadio è vuoto,
non aveva molta roba... Le solite manie tue... No, che non ha rubato
niente! Donna essenziale non accumulava, non aveva bisogno di specchi,
disdegnava gli orologi che schiavizzano 1’uomo, seguiva ritmi
naturali, senza forzature e quando qualcosa era di troppo, via...
Anche le poche foto scattate da me, sparite con i negativi; documenti
non ne possedeva. Certo, ha lasciato tutto in ordine, asettico come lei.
Ora che ci penso era incapace di sentimenti, eppure tu lo sai, non le ho
fatto mai mancar niente. Eppoi pareva soddisfatta del suo stato; faceva
da padrona qui, entrava, usciva quando voleva; nessun controllo, io
sempre fuori dai piedi. Direi che era felice.
Quando venne la prima volta non credeva ai propri occhi, quasi ci
aveva i lucciconi, come a dirmi: - Te fortunato, è mai possibile che
solo alcuni godano di questa pace? Ne avrei diritto anch’io! -
(Rimira fuori dai balconi lo scenario della costiera dispiegato in tutta
la selvaggia bellezza dinanzi alla sua disperazione).
Poi con l’andar del tempo, la routine... Ogni cosa scontata, come
dovuta, fa una smorfia di scontento). Un posto di sogno, mare
cielo silenzio. Sono io ora a non avere più la mia pace.
(Urla dalla cornetta) Da tutto il mondo vanno vengono, ci lasciano
il cuore quando sono costrette ad abbandonare queste meraviglie, e lei
che dava la caccia al sole, le ho offerto perfino 1’occasione di un
corso di perfezionamento di violino col Grande Vegliardo, ma un’apprendista
stregona e indocile ad insegnamenti, a regole, poi sfortuna volle che
Lui si ammalasse, lo tengono in vita senno la Fondazione a suo nome
addio, con quelle fottutissime dialisi e flebo continue; lei che con il
sole aveva incontrato me, giovane artista, l’amore; viveva da gran
signora in una casetta di campagna, con ingresso indipendente, servita
no, ma certamente riverita: donna Miriam di qua, donna Miriam di la,
come ad una grande dama, i miei omaggi, i miei rispetti, bacio le mani,
e nessuno a chiederle dei suoi trascorsi, io, discretissimo, meno che
mai.
Non conosceva neanche bene la nostra lingua all’inizio, lo strano è
che non faceva il minimo sforzo per impararla, ci si comprendeva a
sguardi, fra dialetti e slang napoletano ed americano, poi, d’un
colpo, la conosce a menadito. L’unica persona che frequentasse: quella
zitellaccia per vocazione, poco importa se qualcuno se la è filata per
qualche tempo, della mia inquilina, affittuaria nostra da una vita,
quell’essere impossibile che occupa con la mole sua il casolare decine
di scale più in su del nostro.
La snob maledetta, li arroccata estate e inverno, per settimane curva
sulla macchina da scrivere, lei e le sue infernali spy-storie che chi ci
capisce niente! Come si chiama? Boh, pure la memoria fa cilecca; ah, si,
Angela Marini.
Accanto a me in tre anni ha imparato ad esprimersi, come dicevo, prima
giusto con le mani e con quattro parole storpiate di ordinaria
amministrazione. Un discorso filato, che dico? Un concetto era pura
follia pretenderlo...
- Da dove vieni, dove vai? - Per le strade del mondo. Pareva la Sibilla
Cumana. |
L'autrice
oggi durante una premiazione
Ma ora mamma, che fai, con i pappici che ci ho in
testa, ti fai venire delle idee, mi propini qualcuno degli immancabili
buoni consigli? (qua va a finire che il sordo divento io se questa
non si decide ad andare dal dentista, a parlare come tutti i cristiani
con decenza tra i denti e non fra le gengive! Borbotta tra sé e sé)
Dici tu che un buon consiglio e più utile di cento mani? Ma questo l’hai
trovato nei miei libri, l’hai rubato ad Euripide e l’hai fatto tuo
nella tua morale contadina.
Geniale! (scatta in piedi dalla sedia dov’era stravaccato).
Debbo convenirne. Come non averci pensato prima!
Mi scapicollero pei gradini a scandagliare la zitellona se l’ha
incontrata prima della grande fuga. Ma invece di mettere i campanelli al
collo dei gatti (può darsi che me la veda comparire davanti da un
momento all’altro), faccio finta di niente, se ci riesco a
contenermi, a cancellare questa faccia appesa, distrutta.
(Subito in allarme). Per carità, niente pullman, rimani a Napoli,
buona-buona a casa, fatti fare compagnia da tua figlia Maddalena,
abitate porta-a-porta e ce ne avete cose da dirvi, a me saresti solo d’impaccio,
sia che Miriam ritorni, sia che stasera io debba parlare col
commissario.
Luca è amico mio e bisogna che io trovi i toni giusti, che discutiamo
tra uomini, col cuore in mano.
Piuttosto telefonami sul tardi. Sta’ tranquilla che appena so qualcosa
ti riferisco. Ciao, ma’, (batte un piede sul pavimento per l’impazienza)
non trattenermi, non mi fai combinar niente. E piantala di chiamarla
zingarona ché mi inquieto sul serio, zingara sarai tu e quelle papere
delle figlie tue.
Come ho capito che ha fatto fagotto? Semplice. Ha portato via gli
scialli, il suo violino e le grandi ceste colorate che le fungevano da
valigie e, ora che ci penso, 1’enorme corno di corallo rosso che aveva
appeso sulla porta, all’interno, per tenere lontani, diceva lei, gli
spiriti maligni dalla casa.
E inutile che gongoli - a che livello sei sceso, povero figlio mio. - Di’
la verità, te la godi quest’uscita dalle scene.
E io che continuo a parlare con te vecchia pazza
(sbatte il telefono interrompendo la comunicazione). (Si
precipita per le scale esterne alla casa, ma Angela non c’è. La porta
è serrata dal catenaccio, come quando si parte per una lunga assenza).
- Proverò a chiamarla a Napoli. Tutte le ielle arrivano insieme. Sta’
a vedere che veramente la scalogna si abbatte su questa casa da che lei
l’ha depauperata del suo corno protettivo!
(Tenta di telefonare al Commissario). Mannaggia! E' in ferie. Una
volta si andava in ferie in agosto, le città un deserto, i posti
vacanzieri come questo un’orgia. Ora è cosi estate, inverno, durante
tutti i fine-settimana, per tutti i mesi dell’anno (sbatte
ripetutamente la testa al muro, con impotenza). (Si riprende) Ma...
e Bianca, che fine ha fatto? (Cerca fuori al terrazzo; torna
sconsolato).
Anche la cagna si è portata via. (Si lascia ricadere sulla
sedia).
Era andata al paese per la spesa e dal salumiere un gruppo di
bambini tormentava una bastardina azzoppata, dal manto candido. La
bestiola guaiva da far pietà. - Porco mondo -bestemmiava quel buon
uomo del droghiere, cercando di strappare alle grinfie dei piccirilli
la vittima, zampette all’aria sul pavimento, sottoposta a curiosità e
a strazi morbosi- la povera bestia ci ha già il suo trauma, vi ci
mettete pure voi a sfrucoliarla? Fuori di qui! Io ci ho il mio
daffare, i clienti che mi portano fretta.- Difatti a stento gli avventori degnavano di uno sguardo superficiale
la scena, velocemente raggiungendo le vetture che li accoglievano coi
loro pacchi sui comodi sedili. Miriam riesce a sottrarla alle sevizie
dei piccoli, la porta a casa, la rimette in sesto con le sue premure e i
medicamenti speciali di cui ha sempre qualche saggio nelle ceste.
L’animale stravede per lei, si agita, fa ballare la coda; ad un minimo
suo canticchiare (spreca I’ugola anche per i cani), le zompa al
collo, come una pupa le pone il capo sulla spalla e si strofina lì
dove una vena pulsa, stormendo strofette per lei, -Bianca dal
bianco mantello- le si rivolge la padrona- Mmmm, Mmmm, Mmmm - lei
grugnisce beata, gola a gola sul mio divano bianco. E manco si accorgono
che è arrivato il padrone di casa. La fugo. Mai troppa confidenza, e che
diamine! gli animali vanno tenuti in giardino, tutt’al più sul
terrazzo di cucina; da un contatto troppo intimo possono venire malanni,
allergie. Si è raggiunto un compromesso: sul terrazzo, ma libera, senza
catene, né canili, solo una vecchia coperta per il freddo. E invece
più volte le ho sorprese rientrando, a sfrenarsi entrambe in camera di
Miriam che dimostra carisma e affiatamento eccezionali con le bestie.
Era un piacere osservarla protesa verso l’alto, scimmiottata sulle
estremità anteriori da quel minuscolo soldo di cacio, poi afferrarlo
per le zampette e trascinarlo in un girotondo festoso a due voci in cui
prevalgono i bau-bau. Debbo confessare che aveva vinto lei, spesso univo
alle loro voci la terza: la mia, fedele al detto: rispetta il cane per
il padrone. Nel mio caso la padrona è stata feroce: nemmeno un osso per
ricordo mi ha lasciato.
Già, affermava. - Tu non trovare tempo per altro che tua arte.
Probabilmente aveva ragione: - E' questo il limite dell’artista?
(Si accascia a gambe larghe sulla sedia, le braccia penzoloni sulle
cosce, osserva disgustato le palme delle sue manacce goffamente
accartocciate verso l’alto).
- Sono un fallito; è amaro riconoscerlo proprio ora che cominciavo
ad avere fiducia nelle mie possibilità di sfondare nel lavoro, di
arrivare quale artista, io che mi ero sempre sentito insicuro e
ossessionato anche negli affetti. Noi tutti vagheggiamo l’indipendenza,
ci riempiamo la bocca della parola libertà e
invece non c’è niente di meno appagante dell’avere le... mani
libere, vuote come le mie, cui non è rimasto neanche il classico pugno
di mosche...
(Fissa angosciato le linee della mano sinistra abbandonata sul
ginocchio).
Lei mi diceva: "Qui sono segnate le linee delle tue tante vite
in cui ti illudi di imbastire e di disfare. Ce n’è una stratificazione
incredibile, tutta in superficie. Mai vista una vita tanto inconcludente
e con uno sperpero di sessualità epidermico che non si riscatta in
ricerca di rapporti veri. Vedi? Sotto il ditone, nella parte imbolsita,
proprio accanto ad una linea della vita che si presenta lunga, monotona,
banale, c’è questo accavallarsi di rughette avvizzite. Confermano che
sei incapace di incidere sulla tua esistenza con iniziative piene di
fede sul piano umano. E ancora la piega della fantasia scende giù
diritta e spacca a metà il palmo della mano, straripa in te a detrimento
della concentrazione sulla praticità delle cose. Ti fa vivere in modo
fasullo: corri a vacante, t’illudi, rischi delusioni se non ti adegui
al reale".
Le racconto di quella volta che per far contenta mia madre mi ingegnai
nella vendita di padelle porta-a-porta senza riuscire a piazzarne
neanche una. Era cominciata la psicosi dei ladri di appartamento e degli
zingari; era raro che qualcuno ti aprisse la porta e se, guardingo, la
schiudeva, non appena a conoscenza della tua finalità, te la risbatteva
sul grugno.
La figlia del commerciante mi faceva per di più una corte serrata a
sera, quando portavo il rendiconto negativo della giornata, pronta a
raccogliermi nella braccia dopo le strapazzate di suo padre per la mia
scarsa abilità nelle vendite. Il contratto era però tutt’altro che
consolante a causa del suo alito che non odorava di... gelsomino.
Cosi un giorno che mi girava male e che il boss era
stato più pesante del solito sulle mie capacita di sfondare nella vita,
piantai in asso sia lui che la figlia schiaffandogli platealmente una
padella sul capo, ribadendogli chiaro e tondo che non intendevo
realizzarmi attraverso le sue maledette ferraglie. Mi limitai a chiamare
sua figlia sanguisuga. E già, tutte a me capitavano quelle che
intendevano sfruttare le mie qualità virili senza nessuna
considerazione per il mio essere un umano, come se fossi privo di
sensibilità. Venivano da me con uno scopo, volevano da me solo
"quello".
Pero io scemo non sono, col tempo ho imparato a deludere le loro
aspettative. Strumentalizzazione per strumentalizzazione, tanto vale che
tenga lo scettro in mano io, ed ho ribaltato le posizioni. a con Miriam
e stato diverso, nessuno dei due ha usato o abusato dell’altro, almeno
mi pare.
Non mi rimane quindi che alzarle queste mani, arrendermi a una vita
senza senso, cosi come mi si presenta, accettare la parità, non più
frugare inutilmente, arrampicarmi, considerato che ho ormai perduto le
mie occasioni. E potrò io, sfrenato attivista, anche se a vuoto e senza
regole, in tanta idiozia non morire d’inedia?
Come se la mancanza di un sole che mi aveva completamente abbagliato mi
avesse lasciato orbo, con la destra frugo nelle tasche del panciotto
colorato gli occhiali scuri, alla ricerca di un alternativo sentiero
rassicurante.
Fine Capitolo 1.
Il romanzo completo è composto di undici capitoli.
Rivolgersi all’autrice. |