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Il mio amico
Enzo
Il mio amico
Enzo e’ ammalato di sclerosi multlipa. Me l’ha confidato una
mattina in strada. Era un bel po’ che non ci si vedeva e a
dire il vero l’ho trovato alquanto cambiato. L’aspetto
trasandato e gli occhi un po’ spenti. Cosi’ parlando del
piu’ e del meno me l’ha detto.
Enzo io lo conosco da quand’era piccolo poiche abitava in
via Fontana ,vicino casa mia che distava poche centinaia di
metri dalla sua. Sin da bambino e’ stato un grande
affabulatore, era una sua dote innata.
Non faceva alcuna fatica nel fantasticare , nell’inventare
storie che ci tenevano con il fiato sospeso fino alla fine.
Ma anche la sua voce era cosi’carezzevole, suadente che ci
imprigionava come una magia.
Enzo era come si diceva una volta, senza un minimo di
carita’, un figlio di nessuno. Fu adottato da una mia
lontana parente, piccola bottegaia, che gia’ aveva quattro
figli. Non ha mai conosciuto i suoi genitori naturali,
quantunque negli ultimi anni si fosse dato la briga di
cercarli. Ma invano.
Ha scoperto dunque di essere ammalato di questa malattia
poiche ultimamente era riuscito a trovare un suo fratello
biologico. Era di pochi anni piu’ grande di lui e si muoveva
su una sedia a rotella.
Un giorno, un maledetto giorno ha scoperto che aveva
impercettibili difficoltà nella deambulazione. Cosi’
ricordandosi del fratello e delle sue difficoltà a
muoversi, si era rivolto a un neurologo.
La diagnosi purtroppo confermo’ i suoi timori .: sclerosi
multipla appunto. E fu come se un macigno gli fosse cascato
in testa. Aveva si e no appena sessant’anni e se era
fortunato gli restavano pochi anni ancora di vita buona.
Dopo sarebbe stato un calvario.
Da bambino ricordo come ci divertivamo a rinchiuderci in
qualche scatolone di cartone mentre fuori infuriava la
pioggia. Ci si sentiva al sicuro in quell’alloggio cosi’
precario. Protetti , sentendo il ticchettio dei goccioloni
che battevano sul nostro tetto di carta.
Ancora saltano alla mente quelle scene quando sempre nelle
giornate piovose si creavano dei veri e propri riiuscelletti
che noi chiamavamo lavarelle. Squazzavamo con i piedi nudi
dentro l’acqua,a volte si scivolava e cosi’ si scoppiava
tutti a ridere .
Ricordo che fu lui a farmi conoscere i Beatles.Era un
quarantacinque giri e conteneva sul lato principale il
bellissimo brano di “She loves you” sull’altro invece “come
on”. Una musica cosi’ trascinante che tuttora quando mi
capita di riascoltarla mi trasporta indietro nel tempo.
Enzo era un bel ragazzino,basso di statura ma con certi
occhi profondi. Sembrava un po’ Al Pacino da giovane, anche
se allora Al Pacino ancora non era famoso. Di carattere
aperto anche se a volte si mostrava un po’ guardingo. Spesso
era esuberante, pieno di vita.
Una volta gli ho sentito dire” Io non moriro’ mai”.La frase
mi rimase molto impressa anche se , a quell’eta’, e’ quasi
naturale sentirsi , come Achille, invulnerabili. L’idea
della morte non ti scalfisce minimamente,neanche nei momenti
di estremo pericolo.
La temerarieta’ e’ la pecularieta’di quell’eta’.A volte
rasenta l’incoscienza. Ed ecco quindi i tuffi da altezze
ragguardevol i fino a rasentare il fondo, le arrampicate
sugli strapiombi senza, per carita’ guardare in basso, i
tuffi nel mare in tempesta per farsi avvolgere ed
accarezzare dalla spuma del mare. Si, allora eravamo
immortali!
A volte non riesco a reggermi in piede, mi fa estrema fatica
anche alzarmi dalla sedia. Enzo me lo dice senza alcun segno
, apparente almeno, di sconforto. Gli occhi grandi un po’
smarriti nel vuoto. Poi come a riprendersi mi chiede se mi
ricordo di quella musica che spesso amava mettere quando si
improvvisava qualche sfetticiola a casa sua. Di quelle con
molti ragazzi e qualche sparuta ragazza, spesso sorella di
qualcuno. Mi ricordo, era “Apache” degli Shadows. Una
cavalcata nell’infinito.
Ci si guarda negli occhi per un po’. Ed e’ come se ci
fossimo detto tutto, come se le anime avessero abbracciato
tutto quel tempo trascorso, ormai spento.
Per moltissimi anni ci siamo persi di vista, qualche volta
ci si incontrava, un rapido saluto e via. Risucchiati ognuno
nelle proprie vite, quasi immemori di quella parte di vita
trascorsa assieme.
La domenica uscivamo assieme, con noi c’era un altro
amico,Ciro, che non ho piu’ rivisto e che se anche mi
capitasse di incrociarlo sicuro non lo riconoscerei.
Formavamo un trio perfetto, a volte mettevamo anche una
maglietta dello stesso colore. Sembravamo il trio Lescano.
Era la Torre di allora una citta’ , almeno sembrava senza
ragazze. Tutte in casa a un certo orario. Cosi’ le strade,
specialmente di domenica sera erano di una tristezza
incontenibile. Si tornava quasi con il magone. Il tempo
passava inesorabile e del grande amore nemmeno l’ombra.
Enzo era li’ per sua figlia. Lei aveva avuto lo sfratto
esecutivo e si era in attesa dell’ufficiale giudiziario.
Era in ansia. Dove sarebbe andata ad abitare ? Si chiedeva
.Mi guardava smarrito e io francamente non trovavo alcuna
risposta decente da dargli.
Ad un tratto c’e’ un parapiglia improvviso: agenti di
pubblica sicurezza, autoambulanze e alcune donne che
gridano, una ressa incredibile. Tra quelle donne c’e’ su
figlia. Fa per accorrere, ma cade. Lo aiuto a rialzarsi ma
invano. Si accascia terra . Riesce ancora, con una flebile
voce a chiamare la figlia.
Chiamo i paramedici li’ presenti. In men che non si dica
accorrono. Gli prestano i primi soccorsi e poco dopo lo
portano via con l’autombulanza verso l’ospedale.
Torno a casa scorato, i ricordi affollano la mente,invadono
l’anima. Vederlo ora cosi in quello stato mi ha spaccato il
cuore. Da ragazzo Enzo e’ stato uno studente brillante,
eccelleva in tutte le materie. Io stesso spesso mi recavo da
lui quando avevo difficolta’ in alcune materie specie
scientifiche. Insomma sembrava proiettato verso un avvenire
di tutto rispetto.
Cosa sia poi successo dopo non riesco minimamente ad
immaginarlo. Cosa mi chiedo lo ha condotto verso
un’esistenza cosi’ precaria. Qui mi perdo in mille
congetture. Ma nessuna mi soddisfa. Comunque in tutti i modi
avevo cercato di sapere che fine avesse fatto. Se stava
bene. Se fosse stato solo un malessere passeggero o che
altro. |
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Non
avevo alcun recapito, non conoscevo nessuno dei suoi
familiari, dei suoi fratelli avevo perso le tracce.
Cosi’ impossibilitato a sapere alcunche’ ci metto una pietra
sopra e per un bel po’ non ci penso piu’.
Passano tre mesi ed ho l’immenso piacere di incontralo, sul
molo di Torre. Sta li che legge il giornale poggiato su un
muretto di cemento. Mi avvicino,lui mi vede e felice mi
abbraccia.
Non ha una bella cera, gli occhi cerchiati di chi la notte
non riesce a dormire e rimugina ,rivoltandosi in
continuazione nel letto, sulle cose che avrebbe potuto fare
e invece non ha fatto.
Enzo, ma dimmi, che ti e’ successo? Intendo nella vita. Gli
chiedo.
Il muro
Aveva sempre creduto che un muro, di quelli alti, avrebbe
potuto nasconderlo alla vita. Ecco, proprio un bel muro a
secco, di quelli di pietra lavica e tufo bene in vista.
Immaginava cosi’di starsene dietro, al riparo dalle insidie
e dalle prepotenze del mondo esterno. Acquattato, semmai
nella frescura di un agrumeto, e come Montaigne, immergersi
nella lettura di quei libri che, sperava avrebbero potuto
dipanare i misteri dell’ esistenza. E questo desiderio,
come una forza imperiosa,lo portava, girando per i vecchi
quartieri della citta’, a cercare antichi giardini ben
protetti dagli sguardi indiscreti.
Uno in particolare lo aveva ammaliato, piccolo,ombroso, non
ferito dai raggi cocenti del sole, e con tante ortensie di
un turchese vivace ed aspidistrie in enormi vasi di cotto.
Protetto da muri ormai sbrecciati ma coperti da un odoroso
gelsomino,affacciava su un mare di un azzurro struggente. E
di notte si poteva mirare il golfo illuminato ed in
lontananza le luci delle lampare.
E cosi,nella sua ingenuita’, aveva creduto,di poter sfuggire
al dolore ed ai fastidi del vivere,dietro un muro come se
fosse stato un baluardo. Ma poi col tempo ecco scemare tale
illusione. Con gli anni che passavano e con la malattia che
lentamente lo divorava, Vittorio non amava piu’ gli angoli
quieti ed appartati,anzi li rifuggiva.
Consunto e malinconico oramai amava stordirsi nella
confusione come a zittire se stesso. E come un’ubriacatura,
uno stordimento al dolore si tuffava nella folla e nei treni
gremiti. E di frequente, lui che ne aveva sempre avuto il
terrore,viaggiava finanche in aereo. Oramai,colpito in
pieno,prendeva la vita di petto come a sfidarla a viso
aperto,senza alcun muro di mezzo.
Il fortino
Stasera ho
incontrato il Sig. Antonio Pedone con la moglie. Voi mi
direte chi e’ questo Sig. Antonio Pedone?
Antonio Pedone e’ uno dei proprietari di quel palazzetto
fatiscente, di cui ancora si intravedono i lineamenti in
stile liberty,che si trova all’angolo della parte bassa di
C. Battisti proprio di fronte alla scuola media.
Prontamente non mi sono fatto sfuggire l’occasione. Gli ho
chiesto ,quindi, quanto lui sapesse circa la storia di quel
manufatto. Questo e’ il resoconto di quello che mi ha
raccontato.
In quello stesso luogo, dove tutt’ora si trova il
palazzetto, sembra che, non so quando ,siano stati trovati
i resti di quelli che furono i basamenti di un fortino che
,a sua volta, faceva parte di un complesso di difesa piu’
vasto che prendeva tutta l’area dei mulini. Infatti lo
storico torrese F. Balzano cosi scrive:
“Da tempi remoti esisteva un fortino sulla riva di Calastro
per la probabile difesa dei pirati del Mare. Il fortino fu
demolito un anno dopo il delitto Cuocolo perché fosse
costruito il Mulino Feola-Marzoli su un'area di mille metri
quadrati. Uno dei maggiori dell'Italia meridionale che
macinava 8000 quintali di grano il giorno. Durante gli scavi
per la costruzione del Mulino fu rinvenuta una fonte d'acqua
e dei minerali”.
Fu demolito il fortino quindi nel 1906. Esso, e quindi anche
i resti del basamento, risalirebbero al periodo vicereale
spagnolo, quindi dalla meta’ del 600 in poi.
Tornando al Sig. Pedone verso la meta’ dell’ottocento nello
stesso edificio che vediamo oggi, anche se in seguito e’
stato un po’ rimaneggiato, c’era una corderia, ovvero una
fabbrica di corde per le imbarcazione e poi divenne alla
fine dell’ottocento, sede della Banca Commerciale Torrese.
Detta banca falli nei primi decenni del novecento, chissa’
se fu dovuto allo scandalo che porto’ al fallimento della
Banca Romana, e fu quindi messo all’asta l’edificio. L a
compro’ nel 1920 un certo Sig. Antonio Pedone,che,come e’
facile intuire, era il nonno del nostro amico Antonio.Da
allora la proprieta’ e’ rimasta sempre in possesso della
famiglia Pedone.
Antonio mi raccontava poi che il palazzetto si
estendeva,come area verde, fino dove fino a poco tempo fa
c’era il ristorante Luna Rossa, e proprio li’ c’era il
cancello di ingresso al parco ed in fondo il bell’ edificio.
L’attuale scuola non c’era ed al suo posto si ergeva una
bella pineta e dietro di esso c’era una scuderia con tanti
cavalli. Dalla terrazza poi si poteva ammirare tutto il
golfo di Napoli, non essendoci ancora alcun edificio ad
oscurarne la vista. Una veduta incantevole!
Attualmente l’edificio e’ in stato di completo abbandono. E’
diviso tra diversi eredi che fino adesso non hanno trovato
alcun accordo per riattarlo. Ed e’ facile immaginare che se
dovesse persistere questo stato di incuria,il manufatto,
come gia’ alcuni, prima o poi potrebbe tracollare, con buona
pace di tutti. |