La torre del Greco
cromosomica

di
Giovanni Ruotolo

"Sono io la Napoli di cui racconto e altre non ne conosco perché solo di me so qualcosa
se lo so..."
               
                             Giuseppe Marotta


L'INFANZIA ONIRICA

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Il mio amico Enzo 

Il mio amico Enzo e’ ammalato di sclerosi multlipa. Me l’ha confidato una mattina in strada. Era un bel po’ che non ci si vedeva e a dire il vero l’ho trovato alquanto cambiato. L’aspetto trasandato e gli occhi un po’ spenti. Cosi’ parlando del piu’ e del meno me l’ha detto.
Enzo io lo conosco da quand’era piccolo poiche abitava in via Fontana ,vicino casa mia che distava poche centinaia di metri dalla sua. Sin da bambino e’ stato un grande affabulatore, era una sua dote innata.
Non faceva alcuna fatica nel fantasticare , nell’inventare storie che ci tenevano con il fiato sospeso fino alla fine. Ma anche la sua voce era cosi’carezzevole, suadente che ci imprigionava come una magia.
Enzo era come si diceva una volta, senza un minimo di carita’, un figlio di nessuno. Fu adottato da una mia lontana parente, piccola bottegaia, che gia’ aveva quattro figli. Non ha mai conosciuto i suoi genitori naturali, quantunque negli ultimi anni si fosse dato la briga di cercarli. Ma invano.
Ha scoperto dunque di essere ammalato di questa malattia poiche ultimamente era riuscito a trovare un suo fratello biologico. Era di pochi anni piu’ grande di lui e si muoveva su una sedia a rotella.
Un giorno, un maledetto giorno ha scoperto che aveva impercettibili difficoltà nella deambulazione. Cosi’ ricordandosi  del fratello e delle sue difficoltà a muoversi, si era rivolto a un neurologo.
La diagnosi  purtroppo confermo’ i suoi timori .: sclerosi multipla appunto. E fu come se un macigno gli fosse cascato  in testa. Aveva si e no appena sessant’anni  e se era fortunato gli restavano pochi anni ancora di vita buona. Dopo sarebbe stato un calvario.
Da bambino ricordo come ci divertivamo a rinchiuderci in qualche scatolone di cartone mentre fuori infuriava la pioggia. Ci si sentiva al sicuro in quell’alloggio cosi’ precario. Protetti , sentendo il ticchettio dei goccioloni che battevano sul nostro tetto di carta.
Ancora saltano alla mente quelle scene quando sempre nelle giornate piovose si creavano dei veri e propri riiuscelletti che noi chiamavamo lavarelle.  Squazzavamo con i piedi nudi dentro l’acqua,a volte si scivolava e cosi’ si scoppiava  tutti a ridere .
Ricordo che fu lui a farmi conoscere i Beatles.Era un quarantacinque giri e conteneva sul lato principale il bellissimo brano di “She loves you” sull’altro invece “come on”. Una musica cosi’ trascinante che tuttora quando mi capita di riascoltarla mi trasporta indietro nel tempo.
Enzo era un bel ragazzino,basso di statura ma con certi occhi profondi. Sembrava un po’ Al Pacino da giovane, anche se allora Al Pacino ancora non era famoso. Di carattere aperto anche se a volte si mostrava un po’ guardingo. Spesso  era esuberante, pieno di vita.
Una volta gli ho sentito dire” Io non moriro’ mai”.La frase mi rimase molto impressa anche se , a quell’eta’, e’ quasi naturale sentirsi , come Achille, invulnerabili. L’idea della morte non ti scalfisce minimamente,neanche nei momenti di estremo pericolo.
La temerarieta’ e’ la pecularieta’di quell’eta’.A volte rasenta l’incoscienza. Ed ecco quindi i tuffi da altezze ragguardevol i fino a rasentare il fondo, le arrampicate sugli strapiombi senza, per carita’ guardare in basso, i tuffi nel mare in tempesta per farsi avvolgere ed accarezzare dalla spuma del mare. Si, allora eravamo immortali!
A volte non riesco a reggermi in piede, mi fa estrema fatica anche alzarmi dalla sedia. Enzo me lo dice senza alcun segno , apparente almeno, di sconforto. Gli occhi grandi un po’ smarriti nel vuoto. Poi come a riprendersi  mi chiede se mi ricordo di quella musica che spesso amava mettere quando si improvvisava qualche sfetticiola a casa sua. Di quelle con molti ragazzi e qualche sparuta ragazza, spesso sorella di qualcuno. Mi ricordo, era “Apache” degli Shadows. Una cavalcata nell’infinito.
Ci si guarda negli occhi per un po’. Ed e’ come se ci fossimo detto tutto, come se le anime avessero abbracciato tutto quel tempo trascorso, ormai spento.
Per moltissimi anni ci siamo persi di vista, qualche volta ci si incontrava, un rapido saluto e via. Risucchiati ognuno nelle proprie vite, quasi immemori di quella parte di vita trascorsa assieme.
La domenica uscivamo assieme, con noi c’era un altro amico,Ciro, che non ho piu’ rivisto e che se anche mi capitasse di incrociarlo sicuro non lo riconoscerei. Formavamo un trio perfetto, a volte mettevamo anche una maglietta dello stesso colore. Sembravamo il  trio Lescano. Era la Torre di allora una citta’ , almeno sembrava senza ragazze.  Tutte in casa a un certo orario. Cosi’ le strade, specialmente di domenica sera erano di una tristezza incontenibile. Si tornava quasi con il magone. Il tempo passava inesorabile e del grande amore nemmeno l’ombra.
Enzo era li’ per sua figlia. Lei aveva avuto lo sfratto esecutivo e si era in attesa dell’ufficiale giudiziario.
Era in ansia. Dove sarebbe andata ad abitare ? Si chiedeva .Mi guardava smarrito e io francamente non trovavo alcuna risposta decente da dargli.
Ad un tratto c’e’ un parapiglia improvviso: agenti di pubblica sicurezza, autoambulanze e alcune donne che gridano, una ressa incredibile. Tra quelle donne c’e’ su figlia. Fa per accorrere, ma cade. Lo aiuto a rialzarsi ma invano. Si accascia terra . Riesce ancora, con una flebile voce a chiamare la figlia.
Chiamo i paramedici li’ presenti. In men che non si dica accorrono. Gli prestano i primi soccorsi e poco dopo lo portano via con l’autombulanza verso l’ospedale.
Torno a casa scorato, i ricordi affollano la mente,invadono l’anima. Vederlo ora cosi in quello stato mi ha spaccato il cuore. Da ragazzo Enzo e’ stato uno studente brillante, eccelleva in tutte le materie. Io stesso spesso mi recavo da lui quando avevo difficolta’ in alcune materie specie scientifiche. Insomma sembrava proiettato verso un avvenire di tutto rispetto.
Cosa sia poi successo dopo non riesco minimamente ad immaginarlo. Cosa mi chiedo lo ha condotto verso un’esistenza cosi’ precaria. Qui mi perdo in mille congetture. Ma nessuna mi soddisfa. Comunque in tutti i modi avevo cercato di sapere che fine avesse fatto. Se stava bene. Se fosse stato solo un malessere passeggero o che altro.

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Non avevo alcun recapito, non conoscevo nessuno dei suoi familiari, dei suoi fratelli avevo perso le tracce.
Cosi’ impossibilitato a sapere alcunche’ ci metto una pietra sopra e per un bel po’ non ci penso piu’.
Passano tre mesi ed ho l’immenso piacere di incontralo, sul molo di Torre. Sta li che legge il giornale poggiato su un muretto di cemento. Mi avvicino,lui mi vede e felice mi abbraccia.
Non ha una bella cera, gli occhi cerchiati di chi la notte non riesce a dormire e rimugina ,rivoltandosi in continuazione nel letto, sulle cose che avrebbe potuto fare e invece non ha fatto.
Enzo, ma dimmi, che ti e’ successo? Intendo nella vita. Gli chiedo.


Il muro


Aveva sempre creduto che un muro, di quelli alti,  avrebbe potuto nasconderlo alla vita. Ecco, proprio un bel muro a secco, di quelli di pietra lavica e tufo  bene in vista. Immaginava  cosi’di starsene dietro, al riparo dalle insidie e dalle prepotenze del mondo esterno. Acquattato, semmai nella frescura di un agrumeto,  e come Montaigne, immergersi nella lettura di quei libri che, sperava avrebbero potuto dipanare i misteri dell’ esistenza. E questo  desiderio, come una forza imperiosa,lo portava, girando per i vecchi quartieri della citta’, a cercare antichi giardini ben protetti dagli sguardi indiscreti.
Uno in particolare lo aveva ammaliato, piccolo,ombroso, non ferito dai raggi cocenti del sole, e con tante ortensie di un turchese vivace ed aspidistrie in enormi vasi di cotto. Protetto da muri ormai sbrecciati ma coperti da un odoroso gelsomino,affacciava su un mare di un azzurro struggente. E di notte si poteva mirare il golfo illuminato ed in lontananza le luci delle lampare.
E cosi,nella sua ingenuita’, aveva creduto,di poter sfuggire al dolore ed ai fastidi del vivere,dietro un muro come se fosse stato un baluardo. Ma poi col tempo ecco scemare tale illusione. Con gli anni che passavano e con la malattia che lentamente lo divorava, Vittorio non amava piu’ gli angoli quieti ed appartati,anzi li rifuggiva.
Consunto e malinconico oramai amava stordirsi nella confusione come a zittire se stesso. E come un’ubriacatura, uno stordimento al dolore si tuffava nella folla e nei treni gremiti. E di frequente, lui che ne aveva sempre avuto il terrore,viaggiava finanche in aereo. Oramai,colpito in pieno,prendeva la vita di petto come a sfidarla a viso aperto,senza alcun muro di mezzo.


Il fortino

Stasera ho incontrato il Sig. Antonio Pedone con la moglie. Voi mi direte chi e’ questo Sig. Antonio Pedone?
Antonio Pedone e’ uno dei proprietari di quel palazzetto fatiscente, di cui ancora si intravedono i lineamenti in stile liberty,che si trova all’angolo della parte bassa di C. Battisti proprio di fronte alla scuola media.
Prontamente non mi sono fatto sfuggire l’occasione. Gli ho chiesto ,quindi, quanto lui sapesse circa la storia di quel manufatto. Questo e’ il resoconto di quello che mi ha raccontato.
In quello stesso luogo, dove tutt’ora  si trova il palazzetto, sembra che, non so quando ,siano  stati trovati i resti di quelli che furono i basamenti di un fortino che ,a sua volta, faceva parte di un complesso di difesa piu’ vasto che prendeva tutta l’area dei mulini. Infatti lo storico torrese F. Balzano cosi scrive:

“Da tempi remoti esisteva un fortino sulla riva di Calastro per la probabile difesa dei pirati del Mare. Il fortino fu demolito un anno dopo il delitto Cuocolo perché fosse costruito il Mulino Feola-Marzoli su un'area di mille metri quadrati. Uno dei maggiori dell'Italia meridionale che macinava 8000 quintali di grano il giorno. Durante gli scavi per la costruzione del Mulino fu rinvenuta una fonte d'acqua e dei minerali”.

Fu demolito il fortino quindi nel 1906. Esso, e quindi anche i resti del basamento, risalirebbero al periodo vicereale spagnolo, quindi dalla meta’ del 600 in poi.
Tornando al  Sig. Pedone verso la meta’ dell’ottocento nello stesso edificio che vediamo oggi, anche se in seguito e’ stato un po’ rimaneggiato, c’era una corderia, ovvero una fabbrica di corde per le imbarcazione e poi divenne alla fine dell’ottocento, sede della Banca Commerciale Torrese. Detta banca falli nei primi decenni del novecento, chissa’ se fu dovuto allo scandalo che porto’ al fallimento della Banca Romana, e fu quindi messo all’asta l’edificio. L a compro’ nel 1920 un certo Sig. Antonio Pedone,che,come e’ facile intuire, era il nonno del nostro amico Antonio.Da allora la proprieta’ e’ rimasta sempre in possesso della famiglia Pedone.
Antonio mi raccontava  poi che il palazzetto si estendeva,come area verde, fino dove fino a poco tempo fa c’era il ristorante Luna Rossa, e proprio li’ c’era il cancello di ingresso al parco ed in fondo il bell’ edificio. L’attuale scuola non c’era ed al suo posto si ergeva una bella pineta e dietro di esso c’era una scuderia con tanti cavalli. Dalla terrazza poi si poteva ammirare tutto il golfo di Napoli, non essendoci ancora alcun edificio ad oscurarne la vista. Una veduta incantevole!
Attualmente l’edificio e’ in stato di completo abbandono. E’ diviso tra diversi eredi che fino adesso non hanno trovato alcun accordo per riattarlo. Ed e’ facile immaginare che se dovesse persistere questo stato di incuria,il manufatto, come gia’ alcuni, prima o poi potrebbe tracollare, con buona pace di tutti.