ID: 9108 Discussione: CHIOSI: L'UOMO CHE VISSE DUE VOLTE
Autore:
Penza Francesco
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francopenza@interfree.it
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martedì 7 ottobre 2008 Ore: 10:52
LE POESIE DI MARIO CHIOSI

PRESENTAZIONE
Mario Chiosi ha scoperto alle soglie della sua anzianità la seconda giovinezza mentale, dopo un’esperienza patologica, che lo ha condotto prima all’al di là e poi il ritorno all’al di qua, con un poetico rigagnolo, che nel suo dialetto riporta scene quotidiane e nella madre lingua bacchetta i politici, non all’altezza del compito. Il nostro poeta usa una scrittura prevalentemente fonetica, altri invece si limitano ai soli segni di sincope e di apocope, ormai consacrati dall’uso e da tutti adattati. Se lo scritto di Mario avrà forza terapeutica, mi auguro che gli anziani, e non solo, Lo eleggano a modello di vita.
Nunzia Marino
 Si dice che, sul punto di varcare l’ultima soglia, un uomo rivede, come in una sequenza filmica, tutta la propria vita: forse per un estremo, urgente esame di coscienza che provochi il pentimento, tale da consentire il perdono di Dio? Mario Chiosi fu dunque sul punto di varcare la soglia, quando un’Arcana Volontà lo arrestò sul limitare, rinviandolo tra gli uomini. Non impunemente si getta uno sguardo sull’aldilà. Chiosi ritornò fra gli uomini, ma qualcosa era mutato. Per dire questo mutamento si fece scrittore e poeta, o meglio “cantastorie”. Dallo sguardo sull’abisso zampillarono, come da fonte inesausta, le immagini di un’esistenza, riscattate dalla concretezza della quotidiana contingenza, per elevarsi a valore universale, in modo che il ricordo del passato divenga monito accattivante per il futuro. ITALO SARCONE

A cura del Dott. Franco Penza
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ID: 9339 Intervento
da:
Penza Francesco
- Email:
francopenza@interfree.it
- Data:
giovedì 4 settembre 2008 Ore: 13:49
" 'A fortuna ro culorutto" modo di dire consueto nel dialetto vesuviano risale ai sararaceni"
Carissimo Franco, ricevo la tua con le poesie di Mario Chiosi che leggo volentieri. Non sono un critico letterario e non mi permetto dare giudizi di merito. Posso solo dire che non è il genere di poetica che preferisco ma ciò è solo una scelta di gusto e non un giudizio estetico. A me piace poco a cartulina napulitana. Preferisco porre attenzione al problema linguistico ma ne ottengo l'ennesima conferma della assoluta sottovalutazione dei napoletani per la loro lingua. Chi si permetterebbe di scrivere versi in francese solo perché viaggiando all'estero riesce a farsi capire?
Spesso noi napoletani crediamo di conoscere l'ortografia della nostra lingua per scienza infusa e rifiutiamo qualunque corso elementare di lingua patria. Purtroppo non basta leggere i poeti classici napoletani per la notevole varietà di grafia di ognuno di loro. Oggi sono in corso studi e ricerche scientifiche per la unificazione della grafia napoletana e pur se non tutti i ricercatori sono d'accordo tra di loro ma alcuni dati fondamentali sono stati accettati. Leggere le grammatiche è abbastanza noioso perciò suggerirei ai neo poeti, anche se ottantenni, di leggere le poesie di Raffaele Bracale. Ottime poeticamente e ortograficamente. Per il detto "A furtuna r'u culorutto" ti ricordo quanto già ti dissi telefonicamente. Avere l'ano dilatato (rotto) era una specie di "assicurazione infortuni" in caso di prigionia con i saraceni. La sodomizzazione dei prigionieri era prassi comune, senza intenti punitivi ma per il costume sessuale di quei popoli. Si era privilegiati, quindi trattati bene in un ambiente di inedia, lavori forzati e punizioni. Da qui pure ("Che mazzo"= che fortunato!) (Colpo di culo= colpo di fortuna), ecc.
Per la sodomia sulle coralline torresi non c'è da meravigliarsi, data la convivenza per mesi ed anni in mare di solo uomini, analogamente a quanto avveniva (avviene?) nei collegi maschili e, con tutto il rispetto dovuto, nei seminari. A volte nell'equipaggio veniva imbarcato un addetto ai servizi (cucinare, lavare e altre incombenze meno faticose) e questi era un femminiello con funzione di sfogo per l'equipaggio.
Come il famoso termine "oregon" spagnolo, tanto per stare in tema, che entrò nella lingua partenopea al tempo delle dominazioni tradotto come "Oricchione", quindi "Ricchione" (grosso orecchio): un allungamento meccanico forzato alle orecchie degli omosessuali per distinguerli dagli etero.
Per l'amico avellinese Melchionne posso solo dirti che questa sera, arrivando a Bologna, ho trovato nella posta un gradito omaggio, un volume dei Modi di dire calitrani del carissimo amico Raffaele Salvante di Calitri. Suggerisco una visita al sito di Salvante http://www.ilcalitrano.it
Domani ritorno in campagna ma, se mi riesce, prima di partire, ti telefono. Un carissimo abbraccio,
Salvatore. |
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ID: 9110 Intervento
da:
Penza Francesco
- Email:
francopenza@interfree.it
- Data:
mercoledì 9 luglio 2008 Ore: 03:24
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ID: 9109 Intervento
da:
Penza Francesco
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francopenza@interfree.it
- Data:
mercoledì 9 luglio 2008 Ore: 03:10
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