et iura sacris provvida matribus,
aevoque onustis, ac pueritiae
vidi data, auctas atque proles,
et mala morba procul coacta;
nec plebis almum concinui patrem,
verum precatus sum: <Patriae, deus,
serva Ducem!> Audivit precantem,
nec semel, Onnipotens poetam.
Favete linguis! Fit celebratio
bene imperantum septima Fascium:
explent Viam turbae Sacram, atque
itala signa fremunt ad auras.
An prisca vivunt tempora consulum? An
victis triumphas Teutonibus, Mari,
Cimbrisque? Divinae perenne
sentio numen adesse Romae.
Lustrante divo praetereunt duce
nigrae cohortes agmine triplice,
et, flore primaevo decorae,
carmina sacra canunt Iuventae.
Ridet paternus Dux et euntibus,
ridet renatis viribus italis.
Conclamat urbs aeterna. Phoebus
fulgurat arce super latina. |
e ho visto leggi provvide date alle sacre madri,
ai vecchi schiacciati dal tempo, all'infanzia,
e la prole accresciuta,
e gli insidiosi morbi allontanati;
e non ho cantato l'almo padre del popolo,
ma ho pregato: <Dio, alla patria
serba il duce!>. L'Onnipotente ha dato
ascolto al poeta che non una volta sola ha pregato.
Tacete! E' la celebrazione
settima dei fasci felicemente al potere:
la folla colma la Via Sacra
e al vento garrisce la bandiera d'Italia.
Viva è dunque l'antica età dei consoli?
Ancora trionfi, Mario, su sconfitti
Teutoni e Cimbri? Della divina
Roma sento presente il perenne nume.
Sfilano, mentre il divino duce le passa in rassegna,
le coorti nere in triplice schiera,
e, belle della fiorente prima età,
cantano l'inno sacro alla Giovinezza.
Paternamente sorride il duce a quei che sfilano,
sorride, ché son rinate le itale forze.
Applaude coralmente la città eterna. Apollo
folgora al di sopra della rocca latina. |