Tesoretto universale

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BREVE SAGGIO
SUI SENTIMENTI UMANI
NELLA PLAGA VESUVIANA


Da “Tesoretto del pensiero universale” di Luigi Mari - Torre 1985. 

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Non vi é unione monogamica autentica, a mio avviso, se non caratterizzata, già nella fase prematrimoniale, dal noto dualismo odio-amore tradotto in bene-male, cioè mono-sentimento positivo-negativo. Potrei calare qui 1’esempio emblematico del famoso film ”Duello al sole”, di King Vidor con Jennifer Jones, Gregory Peck, Joseph Cotten, Lionel Barrymore, laddove, a conclusione della storia, i partener della coppia di amanti “si ammazzano vicendevolmente” in un delirio maniacale di odio-amore struggente. Ma vado oltre.
Nella fase prematrimoniale il mono-sentimento dualistico amore-odio, cioè bene-male (negativo-positivo) si trova nella sfera sensitiva di entrambi i partners e paradossalmente: “contemporaneamente”. In questa fase prevale in entrambi i soggetti, vicendevolmente, il desiderio di emulazione del modello sociale ortodosso: “completezza nell’unione”, modello subdolo e pseudo-etico dei mass-media rotti persino alla commercializzazione dei sentimenti. Qui l’influenza materna e l’amor proprio patologico sono affievoliti. Il dualismo bene-male e quindi mixato e ritrasmesso dai partners vicendevolmente, in una sorta di illusorio “pseudo-dialogo”.
In seguito, pero, vuoi per l’insorgenza di squilibri relativi al richiamo di fonti sessuali esterne, vuoi per l’influenza del suocerato (che risveglia l’amor proprio difensivo originario), vuoi per l’ingerenza affettiva della prole monoaccaparrato, il dualismo bene-male, comune e armonioso, si riscinde nelle due entità separate. Una sorta di mantice di variabile sdoppiamento di personalità, quindi di ruoli.
Ha voglia di ripetere Antoine De Saint- Exuperi ”Amare non significa guardarsi incantati l’un l’altro, ma guardare insieme nella stessa direzione”.
Nella fase di rottura interiore del rapporto monogamico coatto, dunque, il dialogo trasmissivo riconciliante si biforca in due monologhi unilaterali, generalmente di uguale forza, che rimbalzano vicendevolmente sui partners, non già solo in fase emissiva, ma anche in quella ricettiva, perché ciascun coniuge viene assorbito, a cospetto dell’altro, dal proprio vortice monologante logorroico, solo di tanto in tanto in pausa per deficienza di vigore. Un meccanismo incontrollabile dalla ragione e dalla logica comune perché crudamente istintuale, animale nel senso di antietico e anticonvenzionale.
Cosicché il male, come negatività del dualistico sentimento bene-male, viene attribuito solo al coniuge; il bene, come positività, solo a se stessi, e viceversa, soggiogati dall’istinto di conservazione anomalo dell’amor proprio patologico illimitato, quale, chiaramente, carenza, quindi difesa. Questa negatività, vista tra l’altro anche come assenza di corresponsione affettiva, non è altro che la parte negativa di se stessi (disistima) proiettata sul partner per motivi di esorcismo dipanati dai sensi di colpa inconsci.
Negatività, quindi, come disamore a causa della presenza soffocante dell’amor proprio patologico illimitato, (disistima e non autostima) inibitrice della ”conoscenza” come “amore”. Amor proprio patologico smisurato, abisso incolmabile, fissato in ”cantina” dall’assenza di svezzamento dei timori istintuali di origine prenatale fisici di finibilità, rincruditi nel complesso rapporto infantile dell’età evolutiva per la consapevolezza dell’impotenza sul proprio destino di annullamento finale con probabile assenza salvifica.
Insisto nel chiarire che per “amor proprio” non s’intende qui “l’autostima” che è il legittimo propulsore della personalità. Equilibratore psichico che consente di amare ed essere amati. Ci si riferisce, invece, all’amor proprio ante litteram come egoismo ed egotismo istintuale pre-cultura fuori dalla scienza e dalla storia, che comunque si dipanano da insidiose problematiche esistenziali.
Nei rapporti affettivi spesso assolutistici e possessivi come quello monogamico-legale, i dualismi amore-odio, bene-male fanno leva, dunque, su di un unico perno: l’amor proprio patologico illimitato derivante, dicevo, paradossalmente dalla conflittualità disistima-sedicenza, che sopprime ogni transitività dare-avere affettiva e preclude qualsiasi positività di messaggio.
Dietro un cambiamento lento ma radicale (come d’altra parte gia sta avvenendo) si potrebbe veder sconfitto l’amor proprio patologico, per la prima volta nella storia. Individuandolo si può debellare. L’amor proprio patologico, nella sua poliedricità, detto anche: egoismo, egocentrismo, egotismo, assolutismo, possessivismo, ecc., sconfitto a favore di una convivenza umana finalmente armoniosa (atomica, e Vesuvio permettendo) soprattutto a beneficio dei rapporti di coppia sia regolamentate che libere da vincoli legali.
Il celibato ed il nubilato coatto fanno ugualmente perno su questa estremizzazione dell’amor proprio patologico, spesso compensato o sostituito da sublimazioni parallele: lavoro, successo, danaro, beni materiali.
"L’amor proprio è il più potente ed il solo movente di tutte le azioni degli uomini”, (dalla raccolta di Annarosa Selene).
Nella fase monogamica dell’unione matrimoniale l’amor proprio patologico come difesa si amplifica in molti individui tramite il movente dell’azione coatta relativa agli affetti-desideri sensuali, in quella dimensione ortodossa di mono-direzionalità imposta. Il rischiamo esterno psico-fisico sessuale, come tutti gli appetiti animali, viene sottoposto dalle leggi etiche ad una sorta di strozzatura embolica cosi il vecchio detto ”il matrimonio e la tomba dell’amore” denuncia in maniera esplicita lo squilibrio causato da culture millenarie all’uomo, con la monogamia imposta. E non solo per il maschio. La donna ha solo sostituito la propria sessualità in quanto a pulsioni indiscriminate con la maternità..
Rilke disse: ”Un buon matrimonio è quello in cui ciascuno dei due nomina l’altro custode della sua solitudine”. E a questa solitudine il single antepone “Chi non ha il partner coniugale e prole ha un dispiacere solo” ma senza successo.
Il celibato, intanto, non rappresenta la soluzione alternativa al problema, prima perché esso assume carattere di eterodossia, in secondo luogo, perché rinunciando alla sessualità ”omologata”, l’amor proprio patologico viene sottoposto a tensioni negative diverse, sempre inconsce, prima di tutto la trasgressione di una legge divina, poi la rinuncia mutilante della forma di ortodossia affettiva più diffusa universalmente, quindi una scelta emarginante che presumerebbe agli occhi del mondo libertinaggio e dissolutezza; che prevederebbe solitudine senile ed assenza salvifica post-mortale per trasgressione al concetto divino del matrimonio per una sessualità contro i fini procreativi.
La quasi totalità delle culture occidentali concede di amare molti figli, diversi parenti, disparati amici, ma un solo soggetto sessuale eticamente legale. Sotto la consapevolezza dell’osservanza e dell’adempimento, relativa al vincolo collettivo familiare, nel suo principio irriducibile di indissolubilità, i coniugi si vedono costretti a strozzare, dalla censura inconscia, i loro istinti stimolati dall’esterno, naturali e congeniali alla natura umana (desideri spesso ipersentiti perché proibiti). Voglie istintuali precluse, laddove, nel loro soddisfacimento libero da vincoli drastici, avverrebbe la catarsi fisio-psichica; cosi come si manifesta funzionale 1’equilibrio metabolico di un organismo sano (nel processo gastroenterico) non turbato da diete dimagranti restrittive, alteranti l’efficienza fisiologica a causa della parzialità delle sostanze nutritive assunte.
La soppressione, anche parziale, di qualsivoglia appetito animale, ostacola la catarsi psichica relativa allo scarico di tensioni inconsce di natura esistenziale, e di quelle relative al ritmo spasmodico della vita sociale moderna. L’uomo, più che la donna, regola il suo equilibrio psico-fisico attraverso la sua valvola sessuale virile, la donna spesso ripiega con la maternità sublimata come alternativa dato il ruolo gregario assunto nei secoli rispetto all’uomo.
La donna, come accennavo prima, avverte un po’ meno la pressione dei desideri sensuali esterni, in primo luogo perché le culture millenarie l’hanno voluta fin’ora oggetto passivo della sessualità; in secondo luogo perché il suo equilibrio erotico viene anche “regolamentato” dal ciclo mestruale e soprattutto dalla maternità. Ma la sessualità femminile è gregaria e dipende da quella maschile in fatto di scala di valori solo per una componente culturale e non fisiologica. Pulsioni, orgasmo, drenaggi biologici, contrazioni avvengono ugualmente nell'organismo e nella psiche femminile.
Una zitella non sarà acida perché non ha avuto marito, ma perché non ha beneficiato della sessualità e del surrogato della maternità sostitutiva. Insomma, paradossalmente, la zitella conserva una intensità sensuale superiore ad un partner di coppia. Molte donne sono cromosomicamente frigide, perché la maternità sostituisce, rimpiazza la realizzazione del ruolo come riscatto al grerarismo subito lungo la storia. Altro che frigidità dovuta solo all’ignoranza sessuale del maschio.
Ma la parità dei diritti predicata, a torto o a ragione, dai movimenti femministi di vario indirizzo, offusca oggi 1’importanza del rilassamento psichico derivante dalla efficienza della funzione ovarica, non solo alterandone la già compromessa varietà di umore per un a sessualità storicamente gregaria, ma provocando, tramite il rapporto monogamico della coppia, guasti in base alle nuove tendenze di parità, traumatizzanti ed equivalenti a quelli maschili.
A soffocare molte trasgressioni extra-coniugali è anche la gelosia (riflesso dell’amor proprio patologico), vale a dire non trasgredire per il timore di venir pagati con la stessa moneta, di essere feriti mortalmente, di annichilare la propria cara persona, e a ragione, laddove si è dato il cattivo esempio.
Nel meridione d’Italia, vi è pero una ulteriore deformazione del concetto di trasgressione monogamica. Al maschio vengono consentiti se non privilegi libertinari, certamente una sufficiente tolleranza alla violazione. Solo la donna adotta come deterrente la trasgressione potenziale, la potenzialità della trasgressione. ”Si ll’omme guarda ’e zzizze e ’o culo e pe’ nnatura; si ’a femmena guarda ’nda vrachetta e pe’ ddifetto”. Vecchio detto vesuviano.
L’amor proprio patologico illimitato è instaurato anche nelle madri che lo trasmettono ai figli durante il rapporto possessivo della crescita e varia nel corso degli anni modificando di volta in volta la logica comune. (Vedi varietà di ruoli, ad esempio, nella donna: bimba, ragazza, sposa, madre, suocera).
Una volta adulti lo si sprigiona ad estuario nell’oceano umano, in maniera vicendevole e riproduttiva, come una guerra batteriologica.

L’essere adulto, assorbito dall’amor proprio patologico illimitato e dalla repressione monogamica, sente soffocata 1’energia necessaria sufficiente a dare parte di se agli altri, e soprattutto alla consorte, durante la lunga fase coniugale che, nella maggior parte dei casi interessa i tre quarti della vita di un individuo.
L’amor proprio, come istinto di conservazione inconscio, oppresso dalle minacce terrene e post-mortali, si forma nella fase fetale ed è simboleggiato dalla funzione nutritiva del cordone ombelicale (poiché il feto ha istinto e non coscienza), quindi persiste sotto il bisogno protettivo della gabbana materna nella fase infantile, fino allo svezzamento intorno alla fase puberale, mai totale, a seconda dei costumi dei vari gruppi etnici, ma che raggiunge alti livelli nelle società dove le norme civilizzatrici, contraddittorie ed ipocrite, favoriscono il disadattamento nevrotico.
L’amor proprio patologico strepita a livello inconscio in difesa di tutte le potenziali minacce punitive, specie post-mortali. Tutti i tipi di trasgressioni sociali, che attingono da alcuni canoni religiosi pluriconfessioni vanno contro la natura dell’uomo, con al centro l’amor proprio patologico, sempre propenso, ma contrastato per ogni tipo di soddisfacimento, di appetito psico-fisico. Perché il Dio del Vecchio Testamento castiga l'uomo col sudore della fatica e la donna col dolore del parto, ma tiene fede all' "etichetta" della sua prova di fedeltà: "il sesso da non trasgredire perché scoperto", quindi mperpetuato nel suo insoddisfacimento, laddove la fisiologia rimane "erotica" ma solo per consentore la continuazione della specie, ma non per goderne i benefici dell'amplesso. Benefici non più stimolati nel tempo dall'unione monogamica soprattutto perché in alcune etnie il gregarismo sessuale della donna fa da scudo e ostacolo nel contempo.
La condizione monogamica per unioni legali o meno è pertanto conflittuale. Se si favorisse, non. solo con la tolleranza, la liberta sessuale in seno al matrimonio, a prescindere dalla poliandria e dalla poliginia, è probabile che i matrimoni sarebbero più solidi. Sembra un paradosso. Le regole comportamentali sono comunque sempre infruttuose perché non si possono generalizzare modellare addosso individualmente.
Ma agire a monte si può. Togliere, cioè, dalla galassia sesso l'idea ossessiva di peccato, poi ciascuno agire secondo i suoi parametri mentali, secondo la propria cultura, secondo la propria morale. decisioni che rientrano nella logica delle scelte personali e non vanno generalizzate.
Peccato che le madri non si possano sostituire, almeno per una generazione, con dei computers programmati con l’assenza totale dell’amore materno possessivo. Il sesso, valvola primaria del ”metabolismo” psichico, rivisitato e condizionato alle sue leggi biologiche, sarebbe, finalmente, nella sua efficienza totale, il movente della gioia di vivere, alieno da minacce punitive, libero di galoppare indomito nelle praterie della psiche, librante nel cosmo infinito dell’eterosessualità incondizionata.
E' chiaro che non postulo assolutamente qui amplessi promiscui e incondizionati o canoni erotici
lontani dalle norme etico-morali, che causerebbero, come dicevo, tensioni diverse di inappagamento, ma soprattutto di colpa, come quelle che nutre l'idea di poter spegnere il fuoco con la benzina. Sottolineo solo di "asportare" dalla galassia sesso, come accennavo, l'idea di peccato.
L’amor proprio patologico illimitato, soggiogato dalla colpa atavica della trasgressione, produce, in alternativa, soprattutto desideri sconfinati di potere, quindi ricchezza (avarizia). Protagonismo e perbenismo, ipocrisia, sopraffazione, prevaricazione. Tradimenti, gelosie ecc., rappresentano poi le reazioni incontrollabili dell’appetito egoistico. L’amor proprio patologico nato già sul grembo delle madri dei trogloditi, rimane, al secolo, l’unico vero movente delle tragedie umane, da sempre.
La cultura e la civiltà. hanno solo modificato 1’aspetto di questo ”pozzo senza fondo” dell’amor proprio patologico. Da bramosia di potere, espressa in passato da esplicite, feroci barbarie a cupidigia di possesso, manifestata poi dagli opprimenti regimi totalitari, spesso sostenuti da ideologie ipocrite, camuffate nel migliore dei casi, come oggi, da false democrazie.
L’amore e conoscenza, ebbene, l’amor proprio illimitato non la consente! Nei rapporti assolutistici e possessivi l’amor proprio vive di illogocità. Quando Romeo si accendeva di fiamma per Giulietta, fino allo spasimo, tanto da sopportare le angherie e le minacce della famiglia di lei, era persuaso di amare alla follia colei che credeva fosse l’oggetto del suo amore. In realtà, da buon nobile viziato, egli amava se stesso attraverso lo specchio di lei, facendo dell’amor proprio illimitato il vero soggetto della vicenda. Altrettanto Giulietta.
Nel caso di Renzo e Lucia, invece, il grande amore faceva perno sull’ostacolo: ”non s’ha da fare”. Onore, quindi amor proprio ferito a morte. L’affievolimento delle tensioni sensitive dei due innamorati viene sottolineato dal Manzoni alla fine della storia, a rapporto monogamico legale avvenuto. Persino la bellezza angelica di Lucia si ridimensiona agli occhi di Renzo. L’avvento della prole, infine, innaffia di banalità e mediocrità quell’amore cosi intenso e sublimato. Qui, forse, si identifica una importante componente autobiografica del grande scrittore.
Ho ipotizzato, in sintesi, che l’amor proprio smisurato, come istinto patologico di difesa-offesa, causa della maggior parte dei mali sociali, dopo la sua fase di incubazione prenatale si rafforza nella fase neonatale con i primi impulsi sessuali. Sessualità, poi, vista a livello inconscio, legittima solo se monogamica e proliferante, come suo fine precipuo. Nell’essere adulto tutto ciò che trasgredisce questi canoni etico-religiosi implica traviamento, quindi demerito. Ma se si antepone il principio che la vita è una prova irta e spinosa con ostacoli difficili da superare, allora ogni tessera del mosaico prende il suo posto.
Potrei dire che il matrimonio è contro natura perché la coppia con ordinamento legale coatto non lascia alternative. Ma l'avvento delle separazioni legali e dei divorzi in quasi tutto il mondo o lo stesso celibato rivela che il problema sta a monte, perché la fuoriuscita dal vincolo coatto dell'unione legale non limita né affievolisce i problemi sessuali a monte che si riallacciano all'archetipo di trasgressione divina usando il sesso impropriamente come piacere e non come atto procreativo. Come, ad esempio, la pena doi morte non fa diminuire i delitti perché agisce a valle.
Liberando la sessualità dall’idea di peccato, la si spoglia da tutti quei vincoli distorti da una cultura millenaria e stagnante. Persino Lutero che ha liberato la cristianità dalla castità la tiene sempre legata all'ideo di peccato, quindi di stampo demoniaco.
L’idea assiomatica del legame collettivo domestico indissolubile, suggerisce insufficienti, inconsciamente, i palliativi partitici eterodossi ed eretici, come dicevo, anche le separazioni legali ed i divorzi, anche perché, quest’ultimi, lasciano poi i postumi e gli strascici a tempo indeterminato di diversità e mutilazione morale.
Oggi, alla luce della scienza molte contrapposizioni vengono viste sotto una ottica di sincretismo. Il sesso, uno dei maggiori imputati del peccato, rivisitato da pionieri come Freud, viene visto soprattutto come uno dei maggiori bisogni naturali dell’animale uomo, come una pura componente dell’equilibrio naturale umano e non già più come ”ferri del mestiere del demonio”, per dirla anche con gli accesi sostenitori della ”Teoria della Grazia”.
Non vedo il caso di scomodare ancora personaggi di grande levatura culturale come Agostino o Lutero che però fanno troppo leva su questo binomio ossessivo: demonio e sesso, ne sostengo i pensieri blasfemi di un Gide, disgustato di certe considerazioni di annichilimento ed autocastrazione verso l' "assolutismo-Dio" di S. Agostino. Personaggi come Wilde, Gide, Nietzsche, ecc. fino al nostro Pasolini, in qualche modo vittime di queste insistenze di stampo religioso, (teoria, però, che oggi si affianca a quella dei "geni difettosi" causa dell’omosessualità) si sono votati alla dissidenza, come, sebbene parzialmente, lo stesso Lutero per le palesi motivazioni di dissidenza. Non risparmiava Lutero l’associazion e del sesso al diavolo e ad una concezione scatologica di peccato. (Vedi il dialogo demoniaco dove il peto sarebbe la vocalità del maligno, ecc).
Vecchi canoni mistici, a torto o a ragione, swe non sono stati rovesciati, almeno vengono messi in discussione fino al paradosso. Anatole France disse: ”La castità e la peggiore di tutte le aberrazioni sessuali”, perché la castità cela una sessualità interiore senza sbocchi, contorta e repressa, caratterizzata se non dalla pratica onanistica, da un erotismo platonico sublimato nell’esaltazione artistica, nel fanatismo religioso, nella sublimazione della professione.
La conflittualità: bisogno-corporale contrapposta al bisogno-spirituale, vista in chiave psicanalitica sembra apparentemente conciliata. Vacillando, pero, ai tempi nostri, il dogma religioso, quindi il sostegno salvifico post-mortale (a causa della celerità con cui la scienza ha fatto traballare molte verità da secoli assiomatiche) atte, se non altro a narcotizzare la paura dell’al di là, l’uomo sente maggiore, a livello inconscio, il baratro post-mortale, reagendo, in superficie, con atteggiamenti di apparente dissolutezza, una, sorta di liberatorio scetticismo cinico ridimensionato anche in umorismo diplomatico o clawnesco che attinge nella politica e nel sesso peccaminoso, i due bersagli di dissidenza più in voga. Ma è solo una incerta reazione.
L’uomo solo, avvinghiato dalla piovra del suo sconfinato amor proprio patologico, spesso incapace di amare, bersagliato di teorie e dottrinarismi agnostici, senza più nessun appiglio salvifico (la vita, per lo inconscio non e che una breve anticamera della morte), sotto le pressioni delle settiche leggi delle scienze positive, le quali, per ironia della sorte, aggiungono al danno la minaccia atomica che esclude ogni sorta di palingenesi. "Bisogna diffidare dei tecnici, (per contro), incominciano con la macchina da cucire e finiscono con la bomba atomica”.
Qui conviene prepararsi alla conclusione per non correre il rischio di aggiungere altri nodi alla complicata matassa della letteratura universale, suggerire, cioè, altri spunti che provocano inevitabilmente reazioni di pensiero a catena, sebbene abbiano detto tutto già i greci e i latini.. Ciò che l’uomo non potrà mai dire e nei meandri del cosmo, vale a dire al di la della ragione umana, in una dimenzione che non conosciamo: la casa di Dio.
Giorgio Bassani dice che è possibile conoscere il mistero: ”Per capire veramente come stanno le cose di questo mondo si dovrebbe morire almeno una volta”. Il pensiero umano non ha mai tregua. La cultura, una volta retaggio di pochi, e penetrata in tutte le fasce sociali. I linguaggi di una stessa lingua si moltiplicano, le dottrine si riproducono, si complicano. La diffusione della cultura ha provocato una nuova Torre di Babele?
Luigi Mari - 1985