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LE MATTIZIE DI BOTTEGA
Concluderò questo capitolo con delle facezie. Il rapporto di gomito nelle botteghe artigiane è più costante e comunicativo di quello domestico, tranne nei casi di incomunicabilità, che sfociano, il più delle volte, in un mutismo squallido e deprimente, non da napoletani, in ultima analisi. Le goliardie liceali napoletane degli anni ’60 sono sconosciute alle mie gaie signorinelle: Francesca e Virna, le prime due cambiali, infinitamente care, d’una quaterna che la vita mi ha dato. Se tutte le cambiali fossero così... mi indebiterei fino al collo! Quelle locuzioni argute ed ilari degli adolescenti post-bellici si diffondevano in ogni ambiente, dalla scuola alla strada, ai sodalizi, alle botteghe. I miei ex apprendisti, durante le visite odierne, mi rammentano queste gioiose mattizie adatte per farla in barba alla monotonia d’una lunga giornata di lavoro. Ammesso e non concesso che io ti dicessi di fare poco il berloffo, tu che faresti? Oppure le caricate traduzioni letterarie di nutriti epiteti in vernacolo, le quali suonano: Vai ad operare in ciò che sta sotto il naso di colui che un giorno ti si spense, comunemente conosciuta come:

Va’ fa’ mmocca a chi t’ è mmuorto. O, ancora: All’alma di colui che a te percosse i funerei rintocchi dei sacri bronzi, che sta per: All’anema ’e chi te sona ’a campana a mmuorto. Inoltre: Adesso piroetto sulle tue guance una discreta dose di enzimi orali, cioè: Mo te sputo ’nfaccia. E via dicendo... Le contumelie moderate si limitano a 1’Eva t’amo tanto, che faceva inviperire le ragazze d’allora. Che, dire, oggi, al coetaneo sessantottino: Levate ’a mutanda, equivale al dammi un bacio d’una volta.
Noi anta ci scandalizziamo anche perché ignoriamo che i giovani si sforzano a naturalizzare il linguaggio sessuale (il che non è turpiloquio) allo scopo di esorcizzare l’ipocrisia bigotta del passato. E, fateci caso, alla fine si finisce ancora col parlare di morte e di sesso, quando c’è di mezzo la vita. Molte di queste trovate attingono, però, da una tale letteratura popolare teatrale pre-alfabetismo, come la maggioranza dei proverbi e delle locuzioni popolari partenopee. Le diffusero personaggi come Pulcinella o Felice Sciosciammocca, i cui autori attingevano a loro volta dal popolo.