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'A muta 'i sallione
di Peppe d’Urzo

Indimenticabile personaggio di una Torre del Greco che non c’è più... Il suo nome era Angela (Angelina) Scognamiglio, da tutti ricordata come "’A muta i Sallione", presumibile strangianome appartenente al padre, ed anche "’A muta i ’ncopp i fierri".
Era nata a Torre del Greco il 03/12/1894 ed ivi deceduta il 29/06/1977, da Raffaele, mediatore di corallo, persona autorevole e di rispetto, dalla bionda chioma e cacciatore col "ribbotto" (fucile a due canne, doppietta), e da Maria Emilia Vinelli, dalle origini genovesi, detta "’A console", in quanto figlia di un’autorità statale. Dai ricordi del nipote Ciro Galatola (della stirpe de "’U spagnuolo"), risulta che Angelina nacque sordomuta, come un’altra sorella ed un fratello. Sotto i 20anni questa giovane, in crescendo "diminuer" psicofisico e penalizzata da una precaria condizione costituzionale e corporea, decise di andarsene di casa, ove abitava con la famiglia al I° vico Trotti. Non legando più, per incomprensioni e continui disaccordi familiari, andò a vivere da sola, trascurandosi quasi del tutto ed assumendo sembianze mascoline, in località "’Ncopp i fierri" e precisamente a "vico cieco a Cavour", in un piccolo basso ("vascio") al cui esterno edificò una baracca, alloggio ideale per cani e gatti... Lasciati i rapporti con la gente, si dedicò anima e corpo agli animali.
Questa scelta fu causata anche da un "incidente" domestico che coinvolse, unitamente ad un sorellina che perse la vita mentre piangeva nella culla. Optò per questa "fuga", allontanandosi da chiunque, con furioso rammarico, cercando probabilmente quel affetto che non aveva mai ricevuto da chi la circondava, nei tanti cani e gatti che riempivano il suo tempo. Era ben trattata dalla gente, fra cui anche esponenti del clero.
Con lei c’era sempre un cane bastardo che le faceva compagnia; quando dormiva, metteva una gatta, ai piedi del letto, di guardia; aveva paura dei ladri.

 

Era solita sedersi su alcuni gradini o scale di muri e muretti; le prime tappe le effettuava di fronte la propria abitazione, al c/so Cavour nei pressi del civico 7; qui seduta su di uno scalino di pietra dura, controllava le carrette di un certo "’U uagliuzziello", e, se qualcuno osava toccarle, gridando a modo suo con forzati monosillabi, era capace di rincorrerlo...; poi vicino al bar Romito ("Notte e juorno"), all’angolo di via Beato V.zo Romano e c/so Umberto I, e, per storica consuetudine, nei pressi del bar-pasticceria "Blanco" (vetrina di esposizione) e sui gradini di p.zza Santa Croce,

ove anticamente si trovava la tabaccheria di Maria Cuomo (coniugata con P/le Magliacane), in seguito gioielleria, articoli da regalo, pelletteria e orologeria di Vito D’Urzo. Aveva un personale modo di vestire, tutto particolare;

           

sia nei periodo estivi che invernali, indossava pantaloni; erano a "zuombafuosso" e scendevano su scarponi militari (glieli procurava "Peppe ’u trumbone", un certo G.ppe Di Franco); classico era il berretto di tessuto bianco (tipo "Marines") che a volte alternava con una "scarpetta" (foulard di lana) di colore giallo; questi peculiari copricapo che nascondevano i suoi corti capelli, le fasciavano le orecchie; il bastone non le mancava mai.
Alcuni compagni occasionali che sedevano con Angelina, furono: "Palumbo ’u cecato", "Andrea 'i Quaranta" (artigiano del corallo di via Costantinopoli) e qualche altro; con essi, dopo che qualche buona anima le donava qualche soldo (fra cui don Ciro Beffi, corallaio, Filippo Raiola, ecc.), si recava nella cantina di "Palatone" a bere un buon bicchiere di vino...
Era una persone abbastanza spigolosa, stizzosa e di difficile presa. Se intuiva che qualcuno la prendesse in giro, poteva diventare vendicativa ed aggredirti col suo bastone...; i ragazzini avevano timore della sua presenza; il suo "look" indubbiamente incuteva una certa preoccupazione in chiunque la vedesse.
I giovincelli della sua zona che erano soliti "radunarsi" in via Gradoni e Canali ("Aret ’u paraviso"), qui ben acquattati, le lanciavano pietre e sassi sulla capanna attigua all’abitazione; qualche giorno dopo "’A muta", turbata dalla grande offesa ricevuta, si recava presso la casa di una certa "Nannina Mazzoccola", con il proposito di picchiare gli autori della sassosa "battage"...
Voleva vivere in pace e non essere "sfottuta"...; purtroppo la sua presenza dava fastidio a qualche vicina di casa che con pazienza doveva sopportare questo stato di cose.
I suoi dirimpettai e attigui confinanti erano: "Mitilde 'a vaccara", "Arturo ’i ’ uagliuzziello" (venditori di frutta), "’A merceria ’i raccio muzzo", "Maria a scarpara" e "Peppino ’u scarpaio" (balbuziente), ecc.. Angelina era una donna religiosa; partecipava a tutte le processioni fra cui l’Immacolata, Tutti i Santi ed altre; non disdiceva di frequentare alcune cantine: "palatone", "Aniello ’i Mazza", "Scippilli"; i soldi che le venivano elargiti, li conservava in barattoli di latta...; un po’ di sussidio lo riceveva dall’Ente Assistenza del nostro Comune, allora ubicato alla IV tr. Teatro.
Di statura media, sociale nel bere ed offensiva con chi la provocava e la offendeva; non volendo, bisticciava con tutti...; non si faceva mai visitare dai medici; morì trascurata, da sola in casa, ed alla fine cercò il conforto della sorella Matilde (classe 1911, vivente).
Quest’ultima era coniugata con Gppe Galatola, marittimo/fuochista con la società "Tirrenia", deceduto; figli: sei maschi e tre femmine.
Ciro, pensionato marittimo, grazie al quale è stata possibile l'intervista per averla conosciuta, dice che era una persona complicata, incomprensibile, a tratti intrattabili ed ostica; difficile era comprendere il suo stato d’animo. Forse la sua condizioni di permanente invalidità nel non poter ascoltare e proferir parole, che, per malasorte, teneva dentro di sé, si trasformava con malanimo in astioso livore verso il prossimo.
Le cure mediche di oggidì, certamente sarebbero state a lei di molto ausilio, ma in quei tempi lontani le carenze della scienza erano palesi; ma le carenze affettive non le sarebbero mancate...
Nei meandri delle nostre tradizioni ed usi locali, volendo o no, quando qualcuno o qualcuna è restia nel parlare o raccontare, viene etichettata come "mucia sorda" e, spesso, comparata alla "Muta i Sallione"...

 

Le foto: Angela Scognamiglio, detta "’A muta i Sallione", seduta al suo solito posto; in Piazza S. Croce; la vetrina di esposizione del bar/pasticceria "Blanco", in via Falanga; Vico cieco a Cavour, ove abitava la "Muta".